Giornalismo e catene: “Un clamoroso autogol”

I giornalisti non sono giudici. Ed è giusto che non sia consentito loro giudicare. Ma hanno tutto il diritto, e prima ancora il dovere morale, di divulgare le notizie e informare avvicinandosi il più possibile a quella che loro ritengono essere la verità. Anche quando essa risulta scomoda e può generare il caos.

Iacchité, redazione giornalistica on line che si propone come supporto digitale di Cosenza Sport, aveva già un titolo di per sé provocatorio. Il suo direttore Gabriele Carchidi, poi, aveva promesso scintille ancor prima dell’esordio avvenuto solo qualche settimana fa, e d’altronde chi conosce il cronista cosentino non se n’era meravigliato affatto. Una personalità giornalistica indomabile, la sua, a volte considerata un po’ sopra le righe, sui generis e, perché no, anche un po’ folle. Per fortuna.

La sua penna è percepita molto spesso come un’ascia di guerra o un missile impazzito, capace di dar vita ad estenuanti polemiche ed annosi processi, ma anche e soprattutto un’arma capace di sfondare muri di silenzi e omertà apparentemente invalicabili. Certo, si può essere d’accordo o meno con lui, con quello che dice e quello che pensa ad alta voce, è uno che o si odia o si ama, ma non gli si può riconoscere oggettivamente l’enorme merito di avere più coraggio di certi suoi colleghi inclini, per convenzione o per disperazione, al politicamente corretto.

Fatto sta  che stavolta deve aver colpito il bersaglio sbagliato. O quello giusto, a seconda dei punti di vista. Nella giornata di venerdì scorso, la Procura di Cosenza ha disposto l’immediata chiusura del portale telematico, che al direttore è stata notificata dagli agenti della sezione della polizia giudiziaria a pagine già oscurate…

Per carità, c’era da aspettarsela, prima o poi, una reazione del primo cittadino e, oltretutto, è suo diritto difendere la sua persona e adire le vie legali nel momento in cui ritiene di essere diffamato, ma di solito sono i processi a stabilire chi ha torto o ragione e a individuare le eventuali responsabilità. In questo caso, però, sembra che qualcuno abbia già deciso. Preventivamente, si intende. Solo che in barba ad ogni regola del garantismo, non è stato impedito solo al presunto divulgatore di «notizie false e offensive» di continuare a scrivere, che è già di per sé una brutta cosa finché lo è solo presumibilmente, ma un’intera squadra di giornalisti è stata privata del suo strumento di lavoro.

Un episodio molto simile, per certi aspetti, a quello registrato per il sito del quotidiano “L’Ora della Calabria” tre mesi dopo l’arrivo di Luciano Regolo, il cui rifiuto di non pubblicare una notizia sul figlio del senatore Gentile scatenò le ire dello stampatore Umberto De Rose nella famigerata telefonata con l’editore Alfredo Citrigno.

In questo caso, invece, le notizie avrebbero provocato nella “vittima” tremendi stati di ansia e paure, tali da sentirsi perseguitato. Di qui, l’accusa di stalking. E la Procura, nel giro di pochi giorni, oscura il sito.

Un autogol clamoroso, secondo i numerosi commenti del web, che in queste ore starebbe suscitando l’indignazione e la curiosità dei cosentini. Chi non aveva mai letto gli articoli “incriminati” di Iacchité, sta chiedendo a gran voce di conoscerne il contenuto. E chiede, soprattutto, che la stessa Procura accerti con la medesima celerità i fatti in essi denunciati.

Ad ogni modo, l’inalienabile Gabriele Carchidi, contrariamente a quanto si possa pensare, pare sia poco interessato di sapere se si tratti o meno censura e, sprezzante di qualunque polemica, ha già annunciato che rimetterà in piedi un altro sito. E poi un altro ancora, se sarà necessario. Perché di darla vinta a Occhiuto o ai colleghi giornalisti che per non sporcarsi le mani stanno facendo scena muta, pare proprio non averne nessuna intenzione.

Francesca Lagatta