Giustizia nel caos. I misteri che aleggiano sull’immarcescibile Renzi

di Saverio Di Giorno

Matteo Renzi: per lui valgono i versi che Manzoni dedicò a Napoleone Cadde, risorse e giacque, ma forse non declinati al passato remoto. Da dove viene tutta la sua sicurezza? È solo boria o c’è altro?  L’uomo che ha scalato il Pd da outsider, anticasta quasi contemporaneamente ai 5 stelle, con la sua idea di “rottamazione senza incentivi”. Vince praticamente tutto nel giro di pochissimi anni. Soprattutto vince le elezioni europee con un 40%. Si parlò, troppo presto, di percentuali da Democrazia Cristiana. La percentuale c’era, ma la resistenza nel tempo no. Si dovrebbe forse parlare di metodi da Dc.

Andiamo con ordine. Gli abitanti dell’Alto Tirreno cosentino lo ricordano bene all’apice del suo successo. Su un palco montato ad hoc a Scalea che per l’occasione era stata resa linda… per i rifiuti si era trovata evidentemente una sistemazione. Dietro di lui Magorno e tutto il Gotha del Pd calabrese. Lo ricordano benissimo gli oppositori che non poterono manifestare e nemmeno avvicinarsi alla piazza e di cui si prendeva gioco dal palco. Una lezione berlusconiana, esasperata oggi da Salvini. Lo ricordano i giornalisti con i quali lui non passò che pochissimi minuti per poi tagliare via con una frase che oggi definiremmo populista: “Vado dai cittadini, io rispondo a loro”. Poi c’è chi si chiede come mai vada d’accordo con Salvini. Tra i cittadini c’era anche qualche simpatizzante di Forza Italia che diceva: “Beh siamo alleati ora e lui mi piace molto”. Aveva infatti siglato il patto del Nazareno con Berlusconi. E in quel patto De Bortoli, dalle colonne del Corriere, fiutò uno “stantio odor di massoneria”.

In quel periodo tutte le nomine politiche e non erano renziane. C’era chi si diceva renziano ancora prima di Renzi, ma non sapeva di esserlo e l’ex boyscout gli aveva mostrato la via; c’erano renziani che accusavano Renzi di essere troppo poco renziano. Non c’era anima viva che non si definisse renziana e ubriacato di potere decise di mettere mano alla Costituzione come uno della casta qualsiasi (dal ’97, forse prima, in poi ci hanno provato tutti). E quel 40% che era la sua vittoria, lo inchiodò nel referendum che spaccò l’Italia. L’Italia lasciò l’ottimismo e ritornò alla realtà. E lui lasciò dentro il Pd e dentro le istituzioni tutti suoi fedelissimi. Ma perché essere fedeli a uno che oggi ha il 3%? Certo, è un abile stratega: ha saputo fondare un partito ad hoc e divenire l’ago della bilancia in questo governo, manco fossimo nella “prima Repubblica”; capace di imporre veti (come quello sulla De Micheli, la ministra che in Calabria dovrebbe inaugurare oltre ai cantieri della 106 ter, anche quelli del porto di Gioia Tauro). Forse più di Renzi, ispirano fiducia le sue amicizie che lui ha saputo coltivare, come quando rivelò in anticipo il contenuto del decreto sulle banche a De Benedetti facendogli guadagnare 600 mila euro.

C’è di più: le nomine Renzi continua ad ottenerle. Qualche settimana fa sono si dovevano rinominare i capi dei colossi economici italiani Eni, Enel, Poste, Agenzie dell’Entrate. E Renzi ha fatto l’asso pigliatutto. Un’anomalia di cui poco si è parlato. Renzi si intesta anche il salvataggio di Patrizia Grieco, spostata dalla presidenza di Enel a quella di Mps. Forse questo spiega perché forse per la prima volta nella storia, Confindustria e tutte le compagini industriali sono antigovernative ed esprimono dissenso. Certo, ormai solo gli ingenui pensano che le cose si decidano in Parlamento. Sono sempre le forze economiche a muoversi per prime.

C’è un solo errore che ha fatto: dopo la riforma costituzionale in programma c’era quella della giustizia perché si sa, chiunque vada al governo si sente un martire della magistratura. Altra grande lezione berlusconiana. Divagazioni a parte, lui propose il nome di Gratteri. Il magistrato, a suo dire, si disse disponibile, ma Napolitano pose il veto. Proprio lui: il presidente bis. Il presidente che sollevò un conflitto di attribuzione con Nino Di Matteo, il pm della trattativa Stato-mafia, e che non voleva assolutamente rendere pubbliche intercettazioni che lo riguardavano (nonostante fossero irrilevanti a detta di Di Matteo). E oggi De Magistris ci dice che anche sul suo allontanamento c’è lo zampino, o il bastone, di Napolitano. Eppure Renzi, accorto a strategie e amicizie, prende questo granchio. Può essere? Nei media nazionali non si è mai parlato di questioni vere e scottanti, meno che mai della Trattativa. È un caso che ora che le procure e il Csm sono nella bufera e tutti possono togliersi sassolini dalle scarpe viene fuori una notizia dopo l’altra?

C’è da dire anche che Renzi continua a curare i rapporti con Gratteri e si ritrovano a cena, poco più di un anno fa, a Roma, proprio per parlare di giustizia insieme a Salvini. Forse diviene più chiara questa opera di logoramento al governo Conte: Salvini ha forza (e forse data la crisi sociale in arrivo ne avrà di più), vuole mettere le mani sulle grandi infrastrutture (quelle della De Micheli), mentre lui ha amici per oliare gli ingranaggi. Napolitano sembrava essere l’unico ostacolo a quel vecchio sistema instauratosi negli anni ’90 e ormai chi non ha fatto in tempo a saltare sul carro leghista o di Italia Viva non ha molte chances di non essere sporcato da tutto questo fango. E Renzi ha già capito che se vuole continuare, deve tagliar fuori qualche amico. Per far chiarezza su un sistema rischiamo di rimanere incastrati in un altro.