Granieri, basta la parola

Dario Granieri, il procuratore del porto delle nebbie

C’è un elemento che emerge in queste ultime settimane che ci fa capire che la musica in tribunale sta cambiando. E non è difficile coglierlo. Basta osservare “l’attivismo” di questi ultimi giorni del dottor Granieri, in genere impegnato ad arrestare e perseguire ladri di polli e sventurati vari, per comprendere che qualcosa lo turba.

Al punto che si è messo a lavorare. Infatti, il procuratore, che non brilla certo per capacità investigative, pare abbia attivato il suo ufficio, recuperando qualche vecchia inchiesta ereditata dal suo maestro Serafini,  e paventandone di nuove, per restituire una immagine di sé, agli sfortunati cittadini che da anni lo subiscono, diversa da quella alla quale ci ha abituati: un uomo silente.

Granieri finalmente rompe il silenzio, affidando la pubblicità del suo operoso ufficio all’organo ufficiale del tribunale, la Gazzetta del Sud, per portare a conoscenza del popolo la sua azione di contrasto e prevenzione del malaffare. Un messaggio chiaro: la procura di Cosenza non lascia niente di intentato. Cari cittadini, passiamo le nostre giornate a lavorare per voi, per liberare la città da marpioni e intrallazzini.

Del resto, i giudici sono tra i dipendenti pubblici più pagati in Italia. Stipendi che il cosentino medio, che lavora 8/10 ore al giorno, non guadagna in un anno. Ed è per questo che il procuratore e i suoi sottoposti pubblici ministeri, consapevoli della responsabilità sociale, e  dei loro “privilegi” , che hanno deciso di sdebitarsi con il cittadino datore del loro lavoro, esponendogli i risultati delle loro inchieste.

E per far bene comprendere l’ efficacia della loro azione giudiziaria contro il problema dei problemi a Cosenza, cioè lo sperpero e le truffe con il pubblico denaro derivanti da palesi ed evidenti commistioni con malandrini, tirano fuori l’inchiesta delle inchieste.

Indagati a vario titolo il dirigente comunale Carlo Pecoraro; il direttore dei lavori, Vito Avino; l’ imprenditore Salvatore De Luna. La procura chiede il processo per i tre  per falso e abuso d’ufficio, in relazione al solito affidamento diretto a ditte amiche, nell’appalto relativo alla costruzione del ponte di Calatrava di 565.883 cucuzze.

Una indagine che arriva da lontano: l’ 8 ottobre del 2008. Fino ad arrivare alla data del  rinvio a giudizio:  29 giugno 2015 a firma dei pm Francesca Cerchiara e Antonio Cestone. Sette anni dopo. Scusate la fretta.

Le indagini, da subito affidate alla polizia provinciale e al corpo forestale dello stato, misero in evidenza l’abuso d’ufficio perpetrato dal solito ingegnere Pecoraro. Un esperto in artifici amministrativi. Infatti i pm contestano agli indagati il tarocco di diversi verbali tra cui l’ atto che avrebbe falsamente accertato che nell’ area destinata ad ospitare l’ opera sarebbero state presenti tutte le condizioni per la realizzazione del progetto.

Ma la verità è un’altra. Tutta l’area interessata, era di fatto invasa da rifiuti speciali. Ma nonostante ciò, la solita cricca, avallata dal cardinale Franco Ambrogio, con la complicità di Pecoraro, in barba a tutte le regole, come da prassi al Comune di Cosenza, affida alla ditta appaltatrice dell’ opera, che non ha nessuna specializzazione in materia di rifiuti, il compito di ripulire la zona. Tutto ovviamente senza una pubblica gara.

Ma tanto a Cosenza chi le guarda queste cose? Ovviamente i marpioni non avevano fatto i conti con il dottor Granieri, sempre attento e vigile nel perseguire questi odiosi reati. Dove ovviamente non c’entra Occhiuto.

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Non contento di questa frenetica attività, ha deciso di condurre indagini anche di persona, ordinando ai suoi, in accordo con l’aggiunto Manzini, di ispezionare e chiudere il lager, gestito da un componente della famiglia Morrone, per profughi, sito in contrada Spineto di Aprigliano. Una umanità che mi ha lasciato basito.

Ma non si ferma qui l’iperattivismo del procuratore capo. Che decide di prendere di petto un altro processo delicato, quello relativo al suicidio del giornalista Alessandro Bozzo. Processo che per un motivo o per un altro stenta a partire. E così il dottor Granieri ha deciso di scrivere una lettera dai toni duri al presidente della Corte di Appello di Catanzaro, per esporre tutto il suo disappunto su questo ennesimo rinvio. Uno che ci tiene a far valere la giustizia.

Ovviamente è solo all’inizio di questa sua rinata carriera. Che paradossalmente  brilla solo nella sua conclusione. Perché il procuratore sta per andare in pensione. E ha pensato bene di lasciare un buon ricordo del suo lavoro. E non fa niente se di tutte le truffe amministrative che hanno portato le casse comunali a indebitarsi oltre ogni misura, con atti palesemente irregolari e fuori legge (comprensibili pure ad un bambino), non è riuscito ad occuparsi, ci penserà chi verrà dopo di lui.

Del resto, ogni indagine necessita del suo tempo. E pare che il suo rammarico, che aleggia nei corridoi del tribunale, nasca proprio da questo. Lui avrebbe voluto occuparsi anche di tutti gli affidamenti diretti dati dall’amministrazione Occhiuto a ditte amiche e fortemente chiacchierate, alcune sprovviste sia dei requisiti professionali che della certificazione antimafia, ma il tempo è stato tiranno.

Perciò, ai colleghi della distrettuale antimafia che stanno indagando su tutti gli illeciti amministrativi degli ultimi anni a Cosenza, bisogna dire che lui ce l’ha messa tutta e se non ci è riuscito non è certo colpa sua. E se nelle vostre attività investigative doveste incorrere in conclamati reati amministrativi di questa e delle precedenti amministrazioni, non perseguiti, sappiate che la colpa non è sua. In fondo ha solo due occhi e due mani come tutti. Non può fare mica tutto da solo. Ma indubbia è la sua buona fede. Ha sempre svolto al meglio il suo lavoro. Senza darsi mai tregua. Con onestà e professionalità. Perciò, a proposito di occhi, se potete, chiudetene uno.

Grazie.

Giardini del Duglia