I giudici devono applicare la legge (di Paolo Pisani)

Vorrei rispondere alle richieste di “riforma della giustizia” provenienti da procuratori della Repubblica e, pertanto, appartenenti ad uno dei tre poteri dello Stato, quello appunto giudiziario.

La Carta Costituzionale, indica e impone la separazione di tali poteri ed, in particolare, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura anche e soprattutto rispetto al potere legislativo ed a quello esecutivo. Il problema si nasconde nella “pretesa di riforma” che non può e non deve trarre la sua fonte in un rappresentante – seppur validissimo – del potere giudiziario.

Il contrasto “Costituzionale” appare ancora più evidente, se si considera la ricaduta che avrebbe l’accettazione di tale progetto, in quanto risulterebbe, dunque, direttamente applicato da chi lo ha strutturato. Ciò anche in considerazione del ruolo “di parte” e cioè d’accusa del magistrato “proponente”: l’effetto sarebbe quello di chi ” se la canta e se la suona” senza, dunque, possibilità di contraddittorio alcuno.

Ovviamente a nulla valgono le “collaborazioni esterne” al progetto di riforma per i metodi di scelta delle stesse che rispondono a parametri certamente non codificati. Le lacune politiche –  in uno scenario triste – non possono essere colmate dalla magistratura che svolge un ruolo fondamentale, ma diverso  da quello “legislativo”.

Un’ ultima riflessione: attualmente le più alte cariche dello stato (Presidente della Repubblica – Presidente del Senato – numerosi deputati) sono rappresentate da Magistrati in una “commistione” tra i poteri spesso imbarazzante (invero si annoverano anche numerosi avvocati che, però, non rappresentano alcun potere).
Così dovremmo credere – perché è la Costituzione che lo impone – che i giudici eletti, prima della loro candidatura, non abbiano, in precedenza, intrapreso alcun rapporto interessato con i partiti di cui sono divenuti – subito – esponenti di primo piano.
Paolo Pisani
avvocato