I migranti e la famiglia Morrone: diario di uno scandalo

“Tu c’hai idea di quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga mi rende molto meno”.

La frase dell’ormai celeberrimo Buzzi sintetizza uno dei più grandi business dello stato parallelo che ha sguazzato e sguazza ancora indisturbato nell’Italia di Mafia Capitale.

La chiusura del Centro di accoglienza dei migranti a Spineto di Aprigliano è solo la punta dell’iceberg di un sistema organizzato di lucro sulla pelle dei profughi.

Un sistema la cui peculiarità è soprattutto la scarsa trasparenza. Non esiste nessuna associazione del terzo settore che pubblica i bilanci. Questo vuol dire che molto spesso quei 35-40 euro al giorno che dovrebbero andare a ogni profugo in realtà potrebbero andare a finire nelle tasche delle associazioni.

I progetti Sprar e i cosiddetti “Progetti Emergenza” sul territorio provinciale cosentino sono cresciuti a dismisura.

Tra i più importanti ci sono certamente quelli di Acquaformosa, di Rogliano e quello cosentino de La Kasbah.

I sindaci in particolare hanno visto in questo dramma un’opportunità per costruire clientele sul territorio.

E’ capitato molto spesso che associazioni amiche abbiano avuto l’affidamento di progetti che non hanno mai prodotto integrazione se non quella enunciata nei convegni di cui l’associazionismo si nutre ma che purtroppo sono fini a se stessi.

Questi progetti a loro volta ne generano altri satelliti che muovono complessivamente milioni e milioni di euro, anche se per la scarsa trasparenza che dilaga, non è possibile quantificare l’esatta misura del business.

LA COOPERATIVA SANT’ANNA

In questo affare quella vecchia volpe di Ennio Morrone ha inserito uno dei suoi rampolli, Marco, attraverso la Cooperativa Sant’Anna, che gestiva il Centro di Spineto chiuso dalla procura di Cosenza. Il figlio di Morrone è uno dei soci ed è chiaro che per il cognome che porta tutto sia riconducibile a lui e alla sua famiglia. Anche se quello che ci mette la faccia è l’assessore pedacese Carmelo Rota, maldestro prestanome.

E’ uno scandalo in piena regola, che va denunciato in tutta la sua gravità. I sessanta profughi trattati in maniera disumana e tenuti in un ex ristorante diventato lager gridano vendetta. E il fatto che dentro la matassa ci sia sempre la malapolitica non fa altro che aggiungere amarezza nella constatazione di un sistema di potere che non si ferma davanti a nulla.

La Cooperativa Sant’Anna è un’impresa poliedrica. Non si occupa solo di migranti. Nelle sue corde c’è anche il settore agroalimentare, il catering per essere più precisi. Sì, percché Luca Morrone, ex presidente del consiglio comunale di Cosenza e ora candidato alla Regione con Fratelli d’Italia, gestisce attraverso prestanome il locale di piazza Santa Teresa “Primadi”. La circostanza non è da sottovalutare perché è quasi scontato che la Cooperativa Sant’Anna si servisse dei suoi stessi prodotti per il servizio di mensa ai migranti. E questo avrà fatto certamente crescere il business della famiglia Morrone in questa sciagurata vicenda.

ENNIO MORRONE

Andiamo a scoprire a questo punto i tasselli dell’impero della famiglia Morrone, tutto costruito sulla sua furbizia e sul suo equilibrismo politico. Qualità che gli hanno reso parecchi quattrini.

Ennio Morrone, politico di lungo corso che ha attraversato le tre repubbliche senza fare molta distinzione tra centrodestra e centrosinistra, è un ingegnere civile e si è laureato nel 1971.

La sua attività principale è stata per molto tempo la Geocal, un laboratorio di analisi che, tra le altre cose, ha anche il compito di attestare la scarsa qualità dei materiali utilizzati dalle ditte vincitrici degli appalti pubblici.

Lavora a pieno regime col potere politico, di conseguenza. E Pino Gentile lo lancia in politica sotto le insegne del Psi. Fra il 1987 e il 1989 è stato vicesindaco con diverse giunte Dc-Psi ma prima ancora presidente della Quinta circoscrizione e assessore ai lavori pubblici, alle politiche sociali e alla cultura.

Alla fine degli anni Ottanta finisce in difficoltà per una storia di “balletti rosa” ovvero fondi eccessivi per spettacoli, che è stata un cavallo di battaglia di Ciccio Dinapoli, all’epoca in cui era il deus ex machina di Cam Teletre.

Poi parte il difficile rapporto con Giacomo Mancini, che nel 1994, dopo le defezioni di Stefania Frasca e Gilda De Caro, lo fa entrare in giunta ma gli toglie le deleghe poco tempo dopo.

Al “vecchio” non piacevano i suoi metodi, non lo sopportava più. E lo tiene fuori da tutto.

Nel 2000 viene eletto consigliere regionale per I Democratici. E’ il momento decisivo per la carriera politica di Morrone, che entra definitivamente nei meccanismi del sistema più prolifico d’Italia.

Nel 2003 finisce indagato nella maxinchiesta della Dda di Catanzaro sulla penetrazione della ndrangheta nei lavori della Salerno-Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 37 persone tra cui funzionari dell’Anas presunti affiliati alle cosche malavitose.

Ennio se la cava e l’inchiesta finisce in una bolla di sapone.

Ormai è un big della politica calabrese. Nel frattempo, ha virato, ma di poco, sull’asse dell’Udeur del potentissimo Clemente Mastella.

Viene riconfermato consigliere nel 2005 e nominato assessore regionale al personale nella giunta Loiero e vicepresidente della I Commissione di Politica istituzionale.

1 – (continua)