Il clan e lo stato: quando Franco Muto la fa(ceva) sempre franca

Un fermo immagine del video nel quale sono ripresi i Muto e Mandaliti (tratto da miocomune.it)

La “clamorosa” scarcerazione del boss Franco Muto anche se avvenuta dopo una condanna (successiva però ad un’altra “clamorosa” assoluzione…) ci dà la possibilità di riproporre una serie di documenti che attestano quanto fosse alto il grado di impunità che ha avuto negli anni Ottanta grazie alla procura di Paola e a quella di Cosenza. Tanto per far capire a chi ci legge che non è certo una “novità” il trattamento riservato al “re del pesce” dallo stato italiano e in modo particolare da certi Tribunali da sempre al servizio dei potenti. Altro che trattativa mafia-stato. Qui da noi siamo avanti anni luce…

Quanto scritto nell’ispezione del magistrato Francantonio Granero e nel cosiddetto rapporto Scippa dal nome del carabiniere che l’ha scritto, non lascia molto spazio ad equivoci di sorta. Stiamo pubblicando storie di una gravità inaudita, che purtroppo non trovano sponde in chi dovrebbe combattere per la verità e per la giustizia perché lavora per lo stato. E questo ci dà ancora più forza perché sappiamo bene (e lo sanno anche loro, i “deviati”) che quanto pubblichiamo è solo l’amara e triste verità.

CLELIA ZOPPI

Siamo nel 1980. A Cetraro e più in generale sul Tirreno si spara quasi ogni giorno e i clan fanno quello che vogliono, con la procura di Paola non solo accondiscendente ma addirittura complice e connivente.

Una donna si fa avanti e parla. Si tratta di Clelia Zoppi, vedova di Catello De Iudicibus, assassinato dai clan. Si lamenta dell’inadeguatezza delle indagini del sostituto procuratore della Repubblica di Paola, Luigi Belvedere.

“… Nell’ambiente cittadino – sostiene Clelia Zoppi – correva voce che uno dei maggiori responsabili della situazione di Cetraro sarebbe il sostituto Belvedere, il quale avrebbe protetto il boss Franco Muto e il suo clan”.

“In occasione di una manifestazione contro la mafia, tenutasi a Cetraro l’11 gennaio 1983, alla quale avevano partecipato, tra gli altri, il sottosegretario agli Interni Vito Sanza, l’onorevole Costantino Belluscio, il senatore Salvatore Frasca, il vescovo di San Marco Argentano e le “vedove della mafia”, tutte sul palco, fu pubblicamente denunciato che il sostituto procuratore Belvedere sarebbe un corrotto, legato alla mafia. Tale ultima affermazione è stata confermata subito dopo dai fratelli De Caro, Giuseppe ed Ercole, il primo presidente del comitato Antimafia e il secondo consigliere comunale socialdemocratico di Cetraro”.

IL MANCATO ARRESTO DI FRANCO MUTO

Ecco le dichiarazioni dell’appuntato dei carabinieri, Farina.

“…Una pattuglia del nucleo operativo dei carabinieri di Cosenza sorprese tra Cetraro e Acquappesa Franco Muto, che essendo sorvegliato speciale non poteva muoversi da Cetraro. Il Muto si giustificò dicendo che aveva informato i carabinieri di Cetraro e quando si scoprì che ciò non era vero, affermò che aveva imboccato la via per Belvedere in quanto temeva di essere seguito da malintenzionati (!!!)…”.

“… Su disposizione dei carabinieri di Cosenza si recarono a Belvedere l’appuntato Farina e un altro militare di Cetraro.

Il sottufficiale di Cosenza, come da disposizioni impartite dalla procura della Repubblica di Paola, secondo le quali prima di procedere a qualsiasi arresto bisognava darne notizia, telefonò per comunicare l’arresto di Muto. Successivamente il sottufficiale disse che la procura non era d’accordo sull’arresto, perchè il Muto poteva essere denunciato a piede libero…”. 

LA DATA SBAGLIATA SUL MANDATO D’ARRESTO

Questa è invece una parte delle considerazioni del procuratore di Bari Rinella, dove si svolse un processo contro Muto e i magistrati della procura di Paola (tutti assolti ovviamente) che riferisce di un clamoroso episodio.

“E allora, quando questi magistrati istruttori, che fino a quel momento non avevano affatto raccolto illazioni e pettegolezzi, si trovano di fronte a un ordine di cattura a Franco Muto che, sicuramente, recava data di emissione falsa e la cui firma appartiene al dottor Belvedere, avevano il dovere di accertare e indagare.

Non è colpa certamente di chi ha istruito il processo se Belvedere, dimostrando ancora una volta invadenza e arroganza, si scatena in danno di ufficiali di polizia giudiziaria, minacciando e intimorendo.

Non è colpa dei magistrati istruttori se Belvedere preferisce operare con denunce e conflitti di competenze, anziché dare spiegazioni nel formale interrogatorio, che non si presenta a rendere…”.