Il contabile della ‘ndrangheta a Torino: ecco chi è il commercialista cui hanno sequestrato 2 milioni e mezzo di euro

Una immobiliare e uno studio professionale da commercialista a Torino in corso Massimo D’Azeglio in cui lavorano anche i figli, una villa a Pecetto, un vigneto di Aglianico in provincia di Potenza e 17 tra conti correnti e polizze assicurative.

Li ha sequestrati la Direzione investigativa antimafia di Torino guidata dal capocentro Alberto Somma, su ordine del Tribunale (sezione Misure di prevenzione), all’ex commercialista Pasquale Bafunno, nome noto nella galassia della ‘ndrangheta piemontese, molto vicino alla famiglia mafiosa Ietto, ramificata a Torino e in provincia di Alessandria e conosciuta anche per un certo attivismo nella stagione dei sequestri di persona a scopo estorsivo, nel traffico internazionale di droga e nel possesso illegale di armi.

Nelle cronache giornalistiche – oltreché per una condanna a 6 anni di carcere in primo grado per trasferimento fraudolento di valori – era noto per aver stilato un vero e proprio vademecum per realizzare frodi fiscali al sistema Iva nazionale e all’Unione europea.

Pasquale Bafunno, noto commercialista torinese, era stato già coinvolto in altre indagini per aver agevolato organizzazioni criminali di tipo mafioso, come ideatore di un sistema in grado di trasformare semplici fatture per operazioni inesistenti, in continuo e periodico denaro contante. Grazie alla consolidata esperienza professionale e all’elevato numero di clienti gestiti, il ragioniere era riuscito a creare una giungla di contabile, quasi impenetrabile, una montagna di falsa documenta per nascondere i flussi di denaro.

Il denaro dei sequestri di persona organizzati dalla ’ndrangheta negli Anni Ottanta e le fortune racimolate in tempi più recenti con le varie attività illecite. È da questo tesoro sporco per un valore di 5 milioni di euro che il centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Torino già nel 2015 aveva ricostruito le trame di un ingente riciclaggio di denaro, investito in beni immobili, quote societarie, aziende di trasporti. Quattro persone erano finite in carcere: un boss della cosca di Natile di Careri, in provincia di Reggio Calabria, due imprenditori e – appunto – il commercialista torinese Pasquale Bafunno. Le accuse erano di riciclaggio, interposizione fittizia, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, trasferimento fraudolento di valori ed emissione di documentazione per operazioni finanziarie inesistenti.

Personaggio chiave dell’indagine della Dia Francesco Ietto, già agli arresti domiciliari nella sua abitazione di San Colombano al Lambro, a Milano per associazione a delinquere di stampo mafioso. Da lì gestiva, secondo le indagini, l’attività di riciclaggio del denaro grazie alla complicità di imprenditori che accettavano, di emettere fatture false o gonfiate, oppure intestando società di comodo a prestanome insospettabili. Attraverso queste trame, Ietto era riuscito ad immettere il denaro sporco nel circuito dell’economia legale piemontese, in particolare nel settore dei trasporti.