Il Giro visto in Tv tra spettacolo di folla, seta e la leggenda di Alarico che diventa barzelletta

Una lunga diretta dalle province di Catanzaro e Cosenza. La Rai come sempre ha sfoderato il meglio della sua organizzazione per seguire le fasi salienti della quinta tappa del Giro d’Italia da Mileto a Camigliatello. Bellissime immagini dall’elicottero e dalle moto, come da consolidata tradizione, e grande spettacolo di folla, di gente comune che ha invaso le strade del Giro portando la consueta dose di entusiasmo e di allegria che contraddistingue la corsa rosa anche ai tempi della pandemia. Certo, qualche assembramento qua e là si è visto ma niente di particolarmente preoccupante, con tanto di belle sottolineature da parte degli inviati rispetto alla correttezza del pubblico e allo spettacolo offerto. Particolarmente apprezzabile anche il ricordo del compianto ciclista cosentino Pino Faraca, scomparso quattro anni fa. I cronisti hanno rievocato la sua maglia bianca al Giro ’81, il suo alto rendimento in salita e la sua passione per la pittura. Bravi davvero.

La cronaca di tappa, specie quando i corridori erano ancora lontani dal traguardo, si è mescolata con quella delle bellezze del paesaggio e le notizie storiche sulle città e sui paesi attraversati. E così, parlando di Catanzaro, i cronisti del Giro hanno rievocato la leggenda di Jean Le Calabrais, Gianni il Calabrese, che era il catanzarese che ha portato la seta in Francia: un successo indiscusso in tutta Europa. Difatti tanto era il pregio dei tessuti prodotti nelle filande catanzaresi, che essi divennero una delle merci più richieste nelle fiere e nei mercati del vecchio continente. Un motivo d’orgoglio che il Giro oggi ci ha fatto rivivere.

Da una leggenda all’altra il passo è breve e così, quando i girini hanno attraversato Cosenza era impossibile non parlare di Alarico e soprattutto del suo tesoro. Il saccheggio di Roma, i bagordi, la morte del Re dei Visigori e naturalmente la leggenda del tesoro con tanto di citazioni per il nazista Himmler e per i Predatori dell’Arca Perduta ma alla fine, com’era inevitabile, a prevalere è stata l’ironia. E così Stefano Garzelli e Gianni Bugno, ex campioni del pedale molto concreti, hanno troncato ogni speranza per i “visionari” che sperano ancora di trovarlo affermando, non senza ragione e con un tono chiaramente sarcastico, che chi ha seppellito Alarico, quel tesoro se l’è portato dietro… E ci dispiace tanto per il cazzaro e i suoi seguaci. 

E appena il Giro si è inerpicato per Casali del Manco, non poteva mancare una delle leggende della Sila e sui lupi mannari, non molto conosciuta peraltro, raccontata a dire il vero in maniera perfetta. Eccola qua, visto che ci ha particolarmente incuriosito e non si finisce mai di imparare. «L’anno 1588, in un villaggio della Sila, un gentiluomo, trovandosi verso sera alla finestra, vide un cacciatore di sua conoscenza e lo pregò di recargli la cacciagione. Il cacciatore glielo promise, ed essendosi avanzato nella pianura, vide un grosso lupo che gli veniva incontro. Egli prese la mira e gli vibrò un colpo che andò fallito. Il lupo gli si scagliò addosso e lo assalì vivamente. Ma l’altro difendendosi, gli tagliò una zampa col suo coltello da caccia, e il lupo storpiato si mise in fuga, né si lasciò più vedere. Siccome si avvicinava la notte, il cacciatore giunse alla casa del suo amico, il quale gli domandò se aveva fatta buona caccia. Egli trasse la zampa che aveva tagliata al preteso lupo: ma fu meravigliatissimo di vedere quella zampa convertita in mano di donna, e ad un dito stava un anello d’oro, che il gentiluomo conobbe appartenere a sua moglie. Egli andò tosto a trovarla, e la vide seduta presso il fuoco che nascondeva il braccio destro sotto il grembiule. Siccome ricusava di farlo vedere, egli le mostrò la mano che il cacciatore aveva recata, e l’infelice così scoperta, confessò che ella lo aveva assalito in forma di lupo mannaro. Il marito sdegnato la pose in mano alla giustizia che la fece dare alle fiamme». Anche qui non è mancato, inevitabilmente, qualche sorriso amaro… 

Ma il pezzo forte è stato Camigliatello, sede di arrivo della tappa, e anche qui non sono mancati i sorrisi amari, specialmente quando è uscito fuori il fatidico “Cortina di Calabria”. Peccato che i cronisti non sappiano che da queste parti l’incuria della politica ha fatto e fa danni gravissimi lasciando nel degrado totale piste da sci e tutto il resto. Però ci siamo consolati con i paesaggi e con i funghi. Quelli non ce li potrà portare via neanche la Santelli.