Il golpe bianco di Mattarella. Via libera alle banche e alla massoneria con Draghi

Un golpe bianco del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Varato il governo del banchiere massone Draghi

La grande finanza e l’Ue imperialista si impadroniscono direttamente del potere politico. Esultano Merkel, Macron e Lagarde. Alcuni parlamentari del M5S si oppongono, “il manifesto” trotskista invece approva

Lottiamo per il socialismo e il potere politico del proletariato e per difendere gli interessi del popolo

Il 12 febbraio Mario Draghi ha annunciato la composizione del suo governo e tra il 17 e il 18 si presenterà alle due Camere per la fiducia. Un esecutivo misto formato da tecnici e politici, ma in cui i ministeri più importanti e con più capacità di spesa sono guidati da manager provenienti dal mondo delle imprese e della finanza nominati direttamente da lui, mentre ai partiti che lo sostengono sono riservati quasi tutti ministeri senza portafoglio o di peso minore, salvo alcune eccezioni da lui e da Mattarella attentamente calcolate. Cosicché se tra questi ha riconfermato diversi ministri del governo Conte 2 per accontentare la vecchia maggioranza M5S, PD e LeU, li ha però in alcuni casi anche retrocessi o depotenziati, e viceversa ha concesso tre ministeri di peso alla Lega e premiato Berlusconi con altrettante poltrone, sebbene FI abbia un peso parlamentare nettamente inferiore.

Ha cioè spostato sensibilmente a destra l’asse della parte politica del suo governo rispetto al governo Conte, anche se ha avuto cura di scegliere nelle rose presentate da Lega e FI gli elementi meno “sovranisti”, più legati al tessuto imprenditoriale del Nord e più compatibili col suo proclamato e ribadito euroatlantismo: Giorgetti, Garavaglia ed Erika Stefani per la Lega, Brunetta, Gelmini e Carfagna per FI. Ciò comunque non impedisce affatto a Salvini di comportarsi come se stesse anche all’opposizione, continuando a strepitare per riaprire tutto, per chiudere i porti ai migranti, per chiedere il ponte sullo stretto, per chiudere i confini, e così via.

Draghi accentra l’economia e i rapporti con l’Ue

La compagine di tecnocrati che Draghi ha messo insieme e a lui strettamente legati appare chiaramente pensata per gestire direttamente il Recovery plan, con il manager di Bankitalia, Daniele Franco, all’Economia, l’ex ad di Vodafone mondiale, Vittorio Colao, alla Transizione digitale e il manager di Leonardo Finmeccanica, Roberto Cingolani, alla Transizione ecologica. Questi ultimi due dovranno gestire la maggior parte delle risorse europee, pari al 57% dei 209 miliardi destinati all’Italia dal piano Next Generation Eu . Sopra questa triade che risponde direttamente a lui c’è lo stesso Draghi, il quale tratterà personalmente l’utilizzo dei fondi con l’Unione europea, tanto che a questo scopo ha anche abolito il ministero per le Politiche europee guidato nel precedente governo dal ministro Amendola del PD. E pensare che la crisi di governo era iniziata proprio con l’accusa a Conte di voler gestire in maniera troppo verticistica il Recovery plan insieme a Gualtieri, Amendola e Patuanelli!

Strettamente collegati alla triade ci sono poi il ministero delle Infrastrutture e trasporti guidato da un altro tecnico, l’ex presidente dell’Istat ed ex ministro del governo Letta, Enrico Giovannini, che avrà a disposizione 32 miliardi del fondo europeo, di cui 26 per l’alta velocità; il ministero dello Sviluppo economico assegnato al leghista Giancarlo Giorgetti, che sarà l’anello di congiunzione del governo con il mondo imprenditoriale, soprattutto del Nord; e il ministero del Mezzogiorno diretto dalla forzista Mara Carfagna, che controllerà i fondi europei per la coesione territoriale.

A completare la squadra di tecnici scelti da Draghi ci sono poi Patrizio Bianchi alla Scuola, Cristina Messa all’Università, Marta Cartabia alla Giustizia (un’“amica storica” di Renzi, a detta dello stesso leader di IV) e Roberto Garofoli, già capo di gabinetto del ministro Tria, che fu estromesso dal M5S per affari poco chiari con la Croce Rossa, nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Il risultato dell’operazione di Renzi

Ma Draghi non ha solo spostato l’asse del governo più a destra, come conferma anche la presenza marcata di Comunione e Liberazione, con ministre vicine a quell’area come l’ex giudice della Consulta, Cartabia, e l’ex rettrice della Bicocca, Messa, nonché di noti simpatizzanti di CL come Giorgetti, Gelmini, Carfagna, Bianchi e Brunetta. Ma l’ha spostata anche dal Sud al Nord, poiché su 23 ministri ben 18 provengono da quelle regioni, di cui 4 dal Veneto, 2 dall’Emilia-Romagna e ben 9 dalla Lombardia. Cioè dalle regioni sostenitrici dell’autonomia differenziata (per non dire secessioniste) del Paese. Addirittura ben 5 di questi provengono dall’università Bocconi, come Colao (amministratore delegato), Cingolani (prof. a contratto), Cartabia (prof. Ordinario), Giorgetti e Garavaglia (laureati). Non per nulla questa certo non casuale scelta ha destato l’allarme dello Svimez (l’istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno) e del costituzionalista Massimo Villone, che si batte contro l’autonomia differenziata rivendicata dai governatori Fontana, Zaia e Bonaccini.

È evidente anche da ciò la scelta del banchiere massone di spostare il baricentro del suo governo e della sua politica di ripresa economica verso il Nord, più ricco, più industrializzato e con maggiori collegamenti con l’Europa rispetto al resto del Paese. A questo punto si comprende ancor meglio il senso dell’operazione avviata da Renzi per far cadere il governo Conte e conclusa da Mattarella con la nomina di Draghi, come si comincia ad ammettere anche da altre parti.

Pur mosso dai suoi obiettivi personali, che erano quelli di spaccare il M5S e il PD e la loro alleanza e far fuori Conte che ne era il garante, per scompaginare gli assetti politici e riaprire il gioco al suo disegno centrista di diventare il Macron italiano, Renzi si è fatto braccio armato di una coalizione di forze che vanno dalla Confindustria, a Bankitalia, ai “ceti produttivi” del Nord, ai grandi gruppi mediatici di Elkann, di Cairo e di Berlusconi, all’interno; e dai circoli massonici, finanziari e politici euroatlantici, all’estero. Circoli che puntavano a togliere la gestione dei miliardi del Recovery plan dalle mani di un governo considerato ormai paralizzato e instabile, con un PD succube di Conte e di un M5S ancora troppo “populista” e troppo favorevole ad una politica di “sussidi”, non ancora allineato con la nuova amministrazione Biden e ancora troppo sensibile alle lusinghe cinesi.

Golpe bianco presidenzialista di Mattarella

Non è chiaro se anche Mattarella facesse consapevolmente parte di questa operazione fin dall’inizio, ma quel che appare certo è che egli l’ha portata a buon fine quando, con un vero e proprio golpe bianco attuato sull’onda mediatica di un presunto “fallimento della politica”, ha affidato a Draghi, uno dei principali esponenti della grande finanza massonica internazionale, l’incarico di dare vita ad un “governo di alto profilo”, che non si riconosca “in nessuna formula politica”: cioè un governo sovrapartitico e sovraparlamentare per formare il quale il premier, interpretando in maniera presidenzialista l’articolo 92 della costituzione, saltasse completamente ogni trattativa o interlocuzione coi partiti politici e i gruppi parlamentari e nominasse direttamente i ministri a proprio esclusivo piacimento e di concerto solo col capo dello Stato, nonché sulla base di un programma ignoto a tutti. È quello che Tomaso Montanari ha chiamato “l’oligarchia come via d’uscita dalla crisi della democrazia parlamentare”.

Altrettanto certo è che adesso con Draghi è la Ue imperialista che si è impadronita direttamente del potere politico in Italia, come dimostrano anche i messaggi di saluto entusiastici dei suoi principali leader a Draghi, da Ursula von der Leyen alla Merkel, da Macron alla Lagarde. Lo stesso nuovo presidente Usa Biden, che aveva praticamente ignorato Conte, gli ha tweettato caloroso: “Non vedo l’ora di lavorare con te per approfondire le nostre forti relazioni bilaterali”. E come la crisi del governo Conte e l’avvento dell’“uomo della provvidenza” Draghi siano stati promossi dagli industriali italiani lo si capisce molto bene da questa dichiarazione del presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro: “Questo governo sembra aver chiaro come l’interesse delle imprese coincida con l’interesse del Paese. Non è sempre stato così”.

Draghi è riuscito a spaccare e mettere al suo servizio anche il M5S, dopo aver conquistato Grillo abbindolandolo col “superministero” della Transizione ecologica, che però ha affidato al renziano Cingolani. È con questo cavallo di Troia e il relativo quesito truccato che il monarca del M5S è riuscito a far passare il sì al governo nella votazione sulla piattaforma Rousseau, anche se di stretta misura, col 59% di sì contro il 41% di no. Alessandro Di Battista ha lasciato per protesta il Movimento ed è passato all’opposizione, ma anche una quarantina tra senatori e deputati pentastellati sarebbero orientati per votare no alla fiducia a Draghi o sono ancora indecisi. Forte è il malcontento per l’esito della crisi, anche perché è vero che il M5S ha avuto più ministeri di tutti (4), ma a fronte di Di Maio che ha conservato gli Esteri e D’Incà reintegrato ai Rapporti col parlamento, c’è Patuanelli retrocesso dal Mise all’Agricoltura per far posto a Giorgetti, e Fabiana Dadone dalla Pubblica amministrazione retrocede alle Politiche giovanili.

Riformisti e trotzkisti sul carro di Draghi

Anche il PD è spaccato, con Zingaretti che dopo il fallimento della sua strategia “o Conte o il voto”, subito rimpiazzata con l’altra “con Draghi senza se e senza ma”, deve fronteggiare gli attacchi degli ex Renziani, portati dall’interno dalla corrente Base riformista di Guerini (riconfermato alla Difesa da Mattarella) e Lotti, e dall’esterno dai vari Gori, Bonaccini e Nardella, che chiedono un congresso appena passata la pandemia puntando a farlo fuori e riunificarsi con Renzi. Il quale li imbecca con continui interventi sui media italiani ed esteri contro Conte e Zingaretti e l’alleanza col M5S, soffiando anche sul fuoco delle dirigenti piddine, molte di nomina renziana, infuriate per non aver avuto neanche un posto al governo. Anche il PD, nonostante sia stato fin da subito il più convinto sostenitore di Draghi, esce alquanto penalizzato dalle sue scelte, visto che prende solo tre ministri, quanti Lega e FI, ma Franceschini conserva solo la Cultura e perde il Turismo a favore di Massimo Garavaglia della Lega, che guadagna con ciò un prezioso serbatoio elettorale. Mentre all’unico vicino a Zingaretti, Orlando, tocca il ministero più difficile, quello del Lavoro.

Si spacca anche LeU, perché se i bersaniani riottengono il ministero della Salute per Speranza, Sinistra Italiana si divide, votando a grande maggioranza per il no alla fiducia insieme al suo segretario e deputato, Nicola Fratoianni. Mentre la senatrice Loredana De Petris e il deputato Erasmo Palazzotto voteranno sì “per influire sulla politica ecologica” del governo. Insieme a loro e con simili motivazioni pretestuose, cioè che “sarebbe un errore lasciar gestire ogni cosa alle forze più conservatrici e fascistoidi”, sale sul carro di Draghi anche “il manifesto” trotzkista, con la direttrice Norma Rangeri che, in un editoriale del 12 febbraio, di seguito aggiunge: “Per i partiti della precedente maggioranza, al di là dell’insopportabile pratica di ingoiare dopo i rospi anche i draghi, diventa quasi un obbligo partecipare al prossimo governo. Nella pur urticante condizione di turarsi il naso di fronte a decisioni che lasciano poco spazio per scelte diverse”.

Noi marxisti-leninisti non ci turiamo il naso e chiamiamo invece i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo e tutti i democratici e gli antifascisti ad unirsi contro questo golpe bianco, contro il governo Draghi del capitalismo, della grande finanza e dell’Ue imperialista e combatterlo con l’arma della lotta di classe per difendere gli interessi del popolo e buttarlo giù da sinistra. Allo stesso tempo occorre inquadrare questa lotta in quella più generale e a lungo termine per l’abbattimento del capitalismo per via rivoluzionaria e la conquista del potere politico del proletariato e del socialismo, perché solo così sarà possibile salvare veramente l’Italia e assicurare il potere politico al proletariato e alle masse popolari un futuro senza sfruttamento, miseria, malattie e fascismo.

17 febbraio 2021

(Articolo de “Il Bolscevico”, organo del PMLI, n. 7/2021 e pubblicato sul sito www.pmli.it)