Il nonnetto dove lo metto (di Marco Travaglio)

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Diversamente dai giornalisti, che lo applaudono anche quando respira, i partiti non hanno accolto con la ola nonno Mario autocandidato al Quirinale. Forse perché la prospettiva di averlo appeso lì sotto per sette anni non è proprio entusiasmante. Forse perché per la prima volta è apparso deboluccio (pensava che andassero tutti in processione a pregarlo in ginocchio di accettare il Colle e invece, siccome non gliel’ha chiesto nessuno, se l’è chiesto da solo).

Forse perché il ricatto “o mi eleggete presidente o mollo tutto” si fonda su una minaccia per lui, non per loro. Forse perché sanno che, sì, SuperMario è molto famoso e ancor più potente, ma non fa ancora capoluogo (i voti in Parlamento li hanno loro, non lui). Forse perché hanno preso troppi ceffoni ed è ora di restituirli. Forse perché, mentre lui tentava di rifilargli il pacco completo (maggioranza extra-large per eleggerlo capo dello Stato e per fabbricare un governo-fotocopia con un premier scelto da lui), si sono ricordati di Totò che vende la fontana di Trevi al turista americano Decio Cavallo che lui chiama Caciocavallo. E, a differenza di Decio-Cacio, non l’hanno comprata perché sanno che il Parlamento non è proprietà privata di Draghi e la maggioranza che elegge il presidente non la decide lui, anzi è spesso diversa da quella del governo.

In un eccesso di autostima tipico del personaggio, nonno Mario pare credere a quel che scrivono i laudatores: e cioè che l’Italia non può fare a meno di lui e ora “rischia di perderlo sia come presidente sia come premier”. E fa capire che o lo mandano al Quirinale, o lascia Palazzo Chigi e si ritira a Città della Pieve, immemore di due vecchi adagi: “Mai minacciare le dimissioni: c’è il rischio che vengano accolte” e “I cimiteri sono pieni di indispensabili”. In realtà, come abbiamo fatto a meno di lui fino al febbraio 2021, ce la possiamo fare anche dal febbraio 2022.

Ma, in attesa degli eventi, restiamo curiosi di conoscere la road map di nonno Mario. Se i partiti si mettono a novanta e lo eleggono, tutto fila liscio (almeno per lui). Ma se eleggono un altro, con la maggioranza attuale o con un’altra, non può certo dimettersi da premier per lesa maestà, mettendo su il broncetto come i bambini dell’oratorio che se ne vanno con la palla perché i compagnucci non la passano. Tantopiù se, visti i dati Covid di ieri (168 morti e 44.595 nuovi contagi, record assoluto da inizio pandemia), l’Italia fosse travolta dalla quarta ondata-bis targata Omicron e aggravata dagli errori del suo governo. Per tornarsene a casa, dovrà sfoderare una scusa un po’ più robusta del broncio per la mancata incoronazione. Tipo, che so: “Me ne vado perché ho pilates”. Oppure: “Adesso devo proprio scappare perché ho danza”.