Il pm Bruni, Occhiuto e il clan Rango-Zingari

Pierpaolo Bruni

Mario Occhiuto è il sindaco di Cosenza e il presidente della Provincia di Cosenza. Ieri, nel corso dell’udienza preliminare del processo contro il cosiddetto clan Rango-Zingari, la pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, ha indicato una serie di enti come parti offese dall’attività criminale di questi signori.

Si tratta della Regione, del Comune di Cosenza e della Provincia di Cosenza. Della Regione ormai non ci meravigliamo più di niente ma del Comune e della Provincia qualcosa bisognerà pur dire. Se è vero, com’è vero, che il sindaco-presidente della Provincia non ha inteso fare in modo che gli enti che (indegnamente) rappresenta si costituissero parte civile.

E’ un po’ lo stesso concetto per il quale Occhiuto si attiva per demolire la statua di Gesù Cristo a via Popilia ma non tocca minimamente quella di San Francesco nel rione San Vito perché l’hanno messa in piedi proprio due dei membri del clan Rango-Zingari…

Le associazioni mafiose producono danni non solo alle vittime del loro operato (imprenditori e cittadini), ma anche, in termini meno concreti ma innegabili, alle comunità locali che ne subiscono la presenza. Discredito, lacerazioni dei rapporti sociali, perdita di opportunità. E’ quindi possibile, come i giudici riconoscono da oltre un ventennio, che l’ente rappresentante di queste comunità chieda la liquidazione di un danno, anche solo morale, partecipando al processo penale. Partecipare come parte civile al processo penale ha anche una funzione simbolica molto evidente, “dice” ai cittadini che la comunità locale partecipa al ripudio del fenomeno mafioso e ne ricerca la punizione dei responsabili. Sì, perché in passato la mafia era semplicemente negata…

Mario Occhiuto, dunque, non ha colto, nella migliore delle ipotesi, questa funzione simbolica e non ritiene di partecipare al ripudio del fenomeno mafioso. A meno che non ci venga a dire (e non è improbabile, visto il soggetto) che effettivamente la mafia non esiste.

Detto questo e passata la stagione in cui le costituzioni di parte civile servivano (anche) a scuotere le coscienze e stimolare il dibattito, occorre oggi prendere atto che una costituzione di parte civile è quasi un atto dovuto. Ma evidentemente non per Occhiuto.

Tuttavia, forse, il vero problema è un altro.

Va chiarito anzitutto come l’attività professionale degli avvocati che rappresentano l’ente locale in questi processi è notoriamente, salve rare eccezioni, priva di un qualificato impegno tecnico: basta assicurare la presenza all’udienza (spesso con un giovane sostituto), il deposito delle conclusioni (standard), curare il ritiro delle copie degli atti. Una pura formalità. Finito il processo penale con una condanna “generica” ai danni, bisogna iniziarne uno civile per la quantificazione del danno e il recupero del credito, ben più difficile.

Tempi biblici, prospettive nulle o quasi. Sarebbe anzi il caso di chiedersi: ne sono mai iniziati processi del genere? Hanno mai avuto in termini economici risultati apprezzabili?

Certamente, in presenza di una avvocatura interna che queste funzioni sia in grado di svolgere a costo zero, nell’ambito cioè del rapporto ordinario di lavoro o di servizio, non vi è almeno l’onere dei compensi a professionisti “esterni”. Ed è proprio questo il punto.

Il fatto che la costituzione come parte offesa non comporti più la nomina di qualche legale esterno avrà certamente pesato sulla decisione di Occhiuto. E non dobbiamo essere certo noi a ricordare che il Comune paga fior di quattrini a professionisti esterni come (ne citiamo uno per tutti) il leggendario avvocato Benedetto Carratelli. Che con il Comune di Cosenza, beato lui, ha convenzioni milionarie.

Questa, ahinoi, è diventata Cosenza.