Il superclan dei calabresi è ancora intoccabile?

La candidatura di Luigi De Magistris a presidente della Regione Calabria – per quanto perdente e comunque piena di contraddizioni – è stata l’occasione per noi calabresi di poter riscrivere la storia nera della nostra terra. Una storia che ci ammorba ufficialmente dall’inizio degli anni Novanta quando il magistrato Agostino Cordova per primo aveva combattuto la massomafia calabrese passando poi il testimone a Boemi e allo stesso De Magistris prima di arrivare a Gratteri.

Con la ricostruzione della “cupola” Reggio-Catanzaro-Cosenza (Crotone e Vibo sono notoriamente i centri e le province dove risiede l’ala militare della massomafia calabrese) stiamo arrivando gradatamente agli ultimi atti. Dal 1995, anno dell’operazione “Olimpia” e dal 1996, anno in cui massoneria e servizi segreti fanno fuori un personaggio scomodo come il notaio reggino Pietro Marrapodi, passeranno circa otto anni prima che Luigi De Magistris si interessi di questa “cupola”, anzi del “superclan dei calabresi”. Che poi è la stessa, identica cosa.

“Il superclan dei calabresi” è una bellissima inchiesta di Gianni Barbacetto, un altro dei nostri “guru” del giornalismo autentico, lontano anni luce dalle veline dei servizi segreti e dai complotti per eliminare i magistrati seri e onesti (dei quali si parla anche diffusamente in queste note che pubblicheremo in varie parti).

Barbacetto passa in rassegna le fasi salienti delle inchieste Poseidone e Why Not che dovevano e potevano mandare in galera tutta quella classe politica che tuttora ci ammorba e tuttora è nel mirino di una serie di magistrati tra Reggio Calabria e Catanzaro (Cosenza, come si sa, è corrotta e in mano a loro…). 

In sostanza, nonostante gli scenari che stiamo per raccontarvi, risalenti a una decina di anni fa, grazie alla delegittimazione dei processi, tutto è tornato praticamente uguale ad allora. Persino l’esposto di Nicola Adamo al Csm e le dichiarazioni della di lui consorte contro Gratteri vanno in quella uguale direzione. Oggi finalmente il blitz di Gratteri ha dato continuità a quel lavoro ma purtroppo il magistrato ha toccato soltanto superficialmente la compattezza del clan, “eliminando” il solo Pittelli tra i politici e i colletti bianchi e i magistrati Petrini e Luberto dal versante dello stato deviato. Ragion per cui l’inchiesta di Gianni Barbacetto mai come ora ritorna di grandissima attualità con l’ufficialità della candidatura di De Magistris. 

IL SUPERCLAN DEI CALABRESI

di Gianni Barbacetto (prima parte)

Un comitato d’affari politico-affaristico gestisce gli appalti in Calabria e pilota i finanziamenti dello Stato e dell’Unione europea. Nella depurazione delle acque, negli aiuti alle aziende, nell’informatica, nella sanità… Un magistrato, Luigi De Magistris, lo mette sotto accusa. Il suo capo gli toglie l’indagine.

Luigi de Magistris
Luigi de Magistris

Gli ingredienti (i soliti) sono i soldi, la politica, il potere. Ma declinati in modo inedito: borsoni di denaro nascosto sotto le camicie, una banca compiacente di Milano, importanti politici di Roma, grossi finanziamenti da Bruxelles, appalti truccati, una girandola di società, ripetute fughe di notizie, magistrati infedeli, un alto ufficiale della Guardia di finanza, odore di servizi segreti, grembiulini massonici e tante, tante telefonate (intercettate).

Le inchieste di De Magistris sono arrivate a lambire un importante politico di Forza Italia, l’avvocato Giancarlo Pittelli, amico di Lombardi, il procuratore capo di Catanzaro e quindi il capo di De Magistris.

Ma hanno coinvolto anche il figlio della compagna del procuratore Lombardi. Anzi: lo stesso procuratore è sospettato di essere lui, proprio lui, quello che ha spifferato agli amici che erano sotto indagine.

Ma per non perdersi in questa storia da vertigini, bisogna partire dal mare. Anzi, dai due mari (lo Jonio e il Tirreno) che si vedono, nelle giornate particolarmente serene, dalla via Madonna dei cieli di Catanzaro.

Poseidone piange

Luigi De Magistris era di turno in procura, nell’estate 2004. Avrebbe preferito andare al mare. Gli atterrano sulla scrivania alcuni esposti: proteste di turisti che si lamentano del mare (anzi, dei mari) della Calabria. Curioso: nella regione si spendono un mucchio di soldi per i depuratori, più di 800 milioni di euro negli ultimi dieci anni addirittura dal 1997 c’è un commissario straordinario per l’emergenza ambientale eppure le acque continuano a essere sporche e pericolose per la salute di chi si tuffa dalle coste calabresi, tanto che il presidente della Regione, Agazio Loiero, ha dovuto perfino scusarsi con i turisti, peraltro diminuiti non poco negli ultimi anni.

De Magistris comincia diligentemente la sua indagine. È giovane, pieno d’illusioni. Non immagina neppure lontanamente in che guaio si sta cacciando. All’inizio del 2005 perfino la Corte dei conti, sezione di Catanzaro, evidenzia nella sua relazione le irregolarità nella gestione dei soldi pubblici impiegati per i depuratori. Appalti allegri, collaudi mai fatti. De Magistris indaga. Il ragazzo non guarda in faccia nessuno. L’inchiesta viene chiamata Poseidone, come il dio greco dei flutti.

Arrivano i servizi segreti

A maggio del 2005 avvengono i fatti salienti del nostro thriller. Quelli che bisogna sapere per capire ciò che è successo oggi.

Mercoledì 4 maggio.

A Milano si muove Roberto Mercuri. Gira per il centro. Viaggio d’affari e di piacere. Chi è Roberto Mercuri? È un giovane imprenditore calabrese, ha 35 anni, è ricco di ottimi rapporti con la politica.

Ha messo le mani su una seria azienda milanese di progettazione che si chiama Pianimpianti, strappandola ai vecchi manager, ingegneri appassionati del loro lavoro che hanno però dovuto cedere davanti al ragazzotto rampante che promette di portare commesse e appalti. La Pianimpianti è al centro delle indagini di De Magistris per i depuratori calabresi.

Quel mercoledì 4 maggio 2005, Roberto Mercuri, amministratore delegato della Pianimpianti, ha una serie di concitate conversazioni telefoniche. Parla con il fratello, Cesare, che vive a Milano. Parla più volte con Nicola Cinelli, amico e compagno d’affari. Parla con Vittorio De Stasio, dirigente della Banca popolare di Brescia.

Giuseppe Galati
Giuseppe Galati

Parla con Giuseppe Galati, politico dell’Udc e allora membro del governo Berlusconi come sottosegretario all’Industria. Parla più volte con Franco Bonferroni, vecchio democristiano diventato senatore dell’Udc.

Parla con Annunziato Scordo, commercialista di Giuseppe Chiaravalloti (fino all’aprile 2005 presidente della Regione Calabria) e marito di Giovanna Raffaelli, segretaria e ombra di Chiaravalloti. In realtà, i contatti tra Mercuri, Galati, Cinelli, Scordo, De Stasio e gli altri quel giorno sono continui, una pallina da flipper che gira e non si ferma mai. Mercuri, Bonferroni, Scordo sono tutti coinvolti nella Pianimpianti.

Due giorni dopo, venerdì 6 maggio.

Roberto Mercuri torna a Milano e va dal suo amico De Stasio della Banca Popolare di Brescia, nell’agenzia di via Verdi, a un passo dalla Scala. Lì lui e il suo gruppo hanno fatto molte operazioni finanziarie. Quel giorno si limita ad affittare una cassetta di sicurezza, che subito riempie. Poi vedremo quanto.

Martedì 10 maggio

Luigi De Magistris, come suo dovere, informa il procuratore che sta per eseguire perquisizioni a carico di una dozzina di personaggi eccellenti, tra cui l’ex presidente Chiaravalloti, l’ex assessore regionale all’Ambiente Antonio Basile e l’ex direttore generale all’Ambiente, prefetto Giuseppe Mazzitello.

Le elezioni regionali si sono già tenute e non c’è più il pericolo di condizionare l’esito elettorale.

Nell’aprile 2005 ha vinto Agazio Loiero (centrosinistra), che ha preso il posto di Chiaravalloti (Forza Italia).

Sei giorni dopo, lunedì 16 maggio

Papello
Papello

I carabinieri fanno le perquisizioni a sorpresa. Non trovano nulla di utile alle indagini. Tranne che a casa di Giovanbattista Papello, che in quel momento è in viaggio negli Stati Uniti.

Papello è un uomo di An, molto vicino al viceministro Ugo Martinat. È stato consigliere d’amministrazione dell’Anas e responsabile unico per l’emergenza ambientale in Calabria. Nella sua abitazione romana gli uomini mandati da De Magistris scoprono un mucchio di roba interessante: oggetti di valore, i documenti di trasporto di una partita di diamanti e libretti d’assegni di molti conti italiani ed esteri, uno dei quali intestato al partito Alleanza nazionale; poi un grembiulino massonico e un biglietto da visita (con numeri di telefono riservati aggiunti a mano) del generale della Guardia di finanza Walter Cretella Lombardo, comandante del Secondo reparto, ossia il servizio segreto interno alla Guardia di finanza…

E infine alcuni dossier spionistici, con intercettazioni telefoniche illegali di conversazioni avvenute nel novembre 2004 tra il presidente dell’Anas Vincenzo Pozzi e il segretario dei Ds Piero Fassino.

Il giorno dopo, martedì 17 maggio

Un uomo si presenta alla sede di via Verdi della Banca Popolare di Brescia. Chiede di accedere a una cassetta di sicurezza. La svuota. Stranamente, quella mattina la telecamera della banca non funziona. Ma oggi sappiamo che quell’uomo è Cesare Mercuri, fratello dell’amministratore delegato della Pianimpianti.

Sera di martedì 17 maggio

Due uomini salgono su un treno che parte dalla stazione Centrale di Milano. La loro destinazione è il Lussemburgo. Alla frontiera, sul treno salgono i militi della Guardia di finanza di Domodossola.

Chiedono i documenti ai due uomini: sono Cesare Mercuri (fratello di Roberto Mercuri, quello che ha conquistato la Pianimpianti e ne è l’amministratore delegato) e Giuseppe Mercuri, padre di Cesare e Roberto.

Giuseppe Mercuri esibisce ai finanzieri un documento che dovrebbe farli mettere sull’attenti: il tesserino da Primo dirigente delle dogane. Ma i militi non sembrano impressionarsi: fanno una diligente perquisizione dei bagagli e in un borsone trovano, sotto camicie e magliette, una montagna di biglietti da 500 euro, per un totale di 3 milioni e 354 mila euro.

Sono i soldi depositati nella cassetta di sicurezza della banca di via Verdi il 6 maggio da Roberto Mercuri e prelevati il 17 maggio dal fratello Cesare. Sequestrati.

A questo punto si aprono due gialli. Il primo: come mai le perquisizioni ordinate da De Magistris sono state inutili (tranne l’eccezione di Papello)? Il secondo: come mai la Guardia di finanza è andata a colpo sicuro a fermare i due Mercuri, padre e figlio? La risposta ufficiale è che sono incappati in una perquisizione casuale. De Magistris, in effetti, di quel fortunatissimo controllo alla frontiera non sa nulla.

Lo verrà a sapere solo qualche settimana dopo, quando un quotidiano, Calabria Ora, pubblica un informatissimo articolo firmato da Paolo Pollichieni che non solo racconta dei soldi trovati nel borsone ai Mercuri, ma li mette anche in connessione con l’indagine di Catanzaro. Eppure non c’era, fino a quel momento, alcuna connessione.

1 – continua