Insaputismi (di Marco Travaglio)

di Marco Travaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Un misto di indignazione e ilarità ha accolto l’autodifesa di Anastasiya Kylemnyk, la fidanzata di Luca Sacchi assassinato il 23 ottobre a Roma. Davanti al gip che la interrogava sull’indagine a suo carico per spaccio di droga, la ragazza ha dichiarato in lacrime: “Non sapevo di avere 70 mila euro nello zaino”. Ora, è vero che ogni tanto la Procura di Roma è di bocca buona: quando De Benedetti confidò al suo broker Bolengo di aver saputo in anteprima dal premier Renzi che stava uscendo il decreto Banche e gli commissionò un investimento sicuro di 5 milioni, i pm riuscirono a indagare Bolengo e non l’Ingegnere (che negava di aver detto ciò che aveva detto) nè il premier. Cioè l’unico che non aveva fatto niente, anziché l’autore e il beneficiario della soffiata. Ma queste sono fortune riservate ai potenti, non ai quidam de populo. Dunque è altamente improbabile che i giudici credano a una ragazza con lo zainetto imbottito di soldi che giura di non essersene accorta: sia per il peso e l’ingombro di 70mila euro in contanti, sia perché gironzolare con lo zainetto vuoto e ritrovarselo riempito da un munifico passante con 700 banconote da 100 euro o con 1400 da 50 o con 3500 da 20 o con 7000 da 10 è un sogno che raramente si avvera. A meno che uno non si chiami Claudio Scajola: allora tutto è possibile, anche che un costruttore gli paghi 1,1 milioni per una casa da 1,7 con vista Colosseo senza dirgli niente, lasciandolo convinto di averla pagata 600 mila euro e di aver fatto un affarone. Infatti, appena lo scoprì, Scajola si dimise sgomento, spiegando giustamente che “un ministro non può sospettare di abitare un’abitazione pagata in parte da altri”.

Eppure, a ben guardare, l’alibi di Anastasiya è infinitamente più verosimile, o meno inverosimile, di quelle che ogni giorno escono di bocca ai politici-gnorri. Tipo Salvini che, in 26 riunioni, non s’era accorto del Mes. L’altroieri è fallito miseramente l’ennesimo tentativo delle Iene di sbugiardare il premier Conte sui suoi rapporti con lo studio Alpa nel 2002, ai tempi della sua promozione, decisa da una commissione presieduta da Alpa, a professore di Diritto privato: la fattura che doveva smentirlo non era una fattura, ma un progetto di parcella; riguardava Alpa e non Conte, che in quella causa sostituì Alpa in alcune udienze senza farsi pagare; e non può inficiare il concorso del 2002 per conflitti d’interessi perché risale al 2009, sette anni dopo il concorso, in cui peraltro Conte fu promosso da 5 commissari su 5. Ieri naturalmente il Giornale e La Verità hanno rilanciato la bufala (“La bugia di Conte”, “La parcella che inchioda Conte”).

E tal Renzi ha dichiarato al Messaggero: “Se quello che viene contestato a Conte fosse stato contestato a me, i 5Stelle chiederebbero le dimissioni e scatenerebbero i social contro di me. Non so cosa sia successo tra Conte e Alpa. Penso che sarà Conte il primo ad aver interesse a chiarire”. A parte che Conte l’ha fatto per l’ennesima volta con un’intervista alle Iene, è curioso che Renzi dica di “non sapere quel che è successo tra Conte e Alpa”: se non lo sa, come può fare paragoni con quello che viene contestato a lui? E quando mai ha chiarito quel che viene contestato a lui, infinitamente più grave di quel che veniva contestato a Conte, visto che Conte, Alpa e nessun loro amico o parente sono indagati, mentre Renzi ha padre e madre condannati in primo grado e tutti i fedelissimi indagati e/o imputati (Lotti, Carrai, Bianchi, Bonifazi, i coniugi leopoldi Donnini-Mammoliti, Vannoni, Del Sette, Saltalamacchia, ecc.).

Quindi il suo periodo ipotetico del secondo tipo (“se fosse contestato a me… chiederebbero…”) può tranquillamente declinarlo all’indicativo presente: alla sue fondazioni Big Bang, Open ed Eyu, sono contestate cose molto gravi. Tipo aver tirato su milioni su milioni da 40 imprenditori, perlopiù coperti dalla privacy, alcuni destinatari di marchette governative, mentre il Pd finiva in bolletta, cassintegrava i dipendenti e chiudeva l’Unità. E lui non ha mai dato la benchè minima spiegazione. Appena si apre un’inchiesta sui suoi cari, Renzi attacca pipponi infiniti sulle querele che sporgerà. Poi parla dei pm che ce l’hanno con lui, mentre di solito è il contrario (i suoi fidi al Csm tentarono di cacciare il pm Woodcock da Napoli in base ad accuse false, il suo amico Lotti tentò di stroncare la carriera al pm fiorentino Creazzo, e così via). Infine si scusa con gli indagati e i perquisiti per le indagini e le perquisizioni (cioè sempre per cose che non ha fatto lui, mai per quelle che ha fatto o fatto fare lui). E non spiega nulla sull’oggetto dell’indagine.

I suoi parenti e amici continuano a finire nei guai – come il povero Paolo Berlusconi che finiva in galera al posto di Silvio o il povero broker che finiva indagato al posto di De Benedetti e Renzi – e lui fa lo gnorri, fischietta e parla d’altro. Un caso di insaputismo ancor più spudorato di quello di Scajola, che almeno mentiva sul merito della casa e del prodigioso finanziamento alle sue spalle; Renzi invece nel merito non entra mai, agevolato dalla stampa più serva del mondo che glielo consente con interviste all’italiana: senza domande. Quindi, siccome ormai vale tutto, noi riteniamo un tantino più credibile l’alibi di Anastasiya, ignara dei 70mila euro nel suo zainetto: sicuramente pensava di essere uscita inavvertitamente col ferro da stiro sulle spalle. Un alibi di ferro che fa il paio con quello sfoderato a suo tempo da Sara Tommasi, protagonista di film porno a sua insaputa. Il suo fidanzato di allora, il celebre avvocato-scrittore Alfonso Marra, li attribuì all’abuso di droghe. Ma lei lo smentì con un argomento decisivo: “É colpa delle entità aliene che mi hanno impiantato un microchip nel cervello”. Strano che non abbia ancora aderito a Italia Viva.