Italia sempre più Repubblica delle banane: il “venditore” di green pass

(di Daniela Ranieri – Il Fatto Quotidiano) – A leggere i giornali, la conferenza stampa del presidente Draghi sul nuovo decreto che istituisce il cosiddetto Super green pass è appena al di sotto del Discorso della Montagna, e precisamente per i motivi per cui a noi non è piaciuta.

La retorica è stucchevole: l’elogio ripresistico, aleatorio e borsistico, del “rischio ragionato” di aprile è diventato un prudenziale “non vogliamo rischi, la normalità deve continuare”.

Ma se adesso non possiamo più permetterci rischi, è perché ce ne siamo permessi abusivamente in onore alla ripresa emotivamente confezionata o, come usa dire ultimamente, alla “resilienza”.

Per non ammettere questo – che per esempio è stato illogico togliere l’obbligo delle mascherine all’aperto, dopo che si sono inseguiti i runner solitari sulle spiagge coi droni, o non ridurre l’affollamento sulle metropolitane e sui treni dei pendolari, o fingere che i tamponi rapidi avessero una affidabilità che non hanno – Draghi ripete una formula pubblicitaria piuttosto fiacca: “Prevenire per preservare”. L’accento è percussivo: “Vogliamo essere molto prudenti per evitare i rischi sì, ma per riuscire a conservare quello che ci siamo conquistati, che gli italiani si sono conquistati nel corso di quest’anno”. Cosa ci siamo conquistati? La libertà di accedere a ristoranti, cinema, teatri etc. esibendo (se richiesti di farlo) un codice Qr con cui vaccinati, guariti e tamponati erano equiparati a livello sanitario, sebbene non lo fossero, perché potessero esserlo a livello sociale. Su metro, bus e treni regionali, addirittura, l’uguaglianza era totale: non era richiesto il green pass.

Ma se ce lo siamo conquistato, perché lo dobbiamo abbandonare?

È semplice: perché non ha funzionato. Perché i tamponi rapidi hanno una percentuale altissima di falsi negativi; perché il vaccino non è uno scudo contro l’infezione; dunque essere vaccinati non equivale a essere negativi, ed essere negativi al test antigenico non equivale a non essere infetti, e dunque il green pass usato come lasciapassare autorizza a sentirsi immuni quando non lo si è affatto. Poiché questi argomenti sono per gente matura e non per un popolo che si suppone docilmente affidatosi a un Salvatore, nel discorso di Draghi c’è un’insistenza retorica che sposta il punto della questione sanitaria su un campo sentimentale ed etnologico: “Salvare il Natale”.

Natale che si suppone sia: socialità e consumo.

A questo punto Draghi si arrampica su un bizzarro ragionamento lievemente inquietante (scrivemmo a suo tempo della debolezza oratoria di Draghi, osando l’indicibile): “Spero sia un Natale normale. Se abbiamo un po’ di restrizioni per i vaccinati è normale questo Natale, e speriamo che la pandemia si evolva in maniera tale che il prossimo Natale sia veramente per tutti. Questo è quello che vogliamo riconquistare, che lo sia per tutti. Bisogna che coloro che da oggi saranno oggetto di restrizioni… possano tornare a essere parte della società con tutti noi”.

Dal che si evince che Natale è uguale società e che i non vaccinati non sono parte della società, o che comunque le nuove misure non servono a indurli a vaccinarsi, ma a escluderli vieppiù dalla società da cui si autoescludono. Posto che i no-vax sono qualche milione di persone, basterà impedirgli via via sempre più attività sociali, dopo l’obbligo del Green pass pure per lavorare, fino a ridurli a paria? Si aspetta che la pandemia evolva, facendo fuori i fragili e i no-vax, o si decide di parlare di educazione e misure sanitarie piuttosto che di tutela del folclore? E a livello linguistico: perché tutta questa nebbia paternalistica invece di una corretta, laica, illuministica informazione? Bisognerebbe dire la verità: più aumentano i contagi, più aumentano in percentuale i malati gravi, anche tra i vaccinati, più si intasano gli ospedali, e questo sarebbe un disastro sanitario, a scapito anche della cura di altre patologie.

Già che c’era, Draghi avrebbe dovuto anche dire che il governo ha fatto pasticci togliendo l’obbligo di mascherine all’aperto (oggi infatti ripristinato da alcune Regioni), revocando quasi totalmente lo smart working per assecondare le ossessioni di Brunetta, preoccupato del Pil delle zone urbane e degli introiti della grande distribuzione più che della salute dei lavoratori (come se non fossero importanti anche gli incassi dei piccoli commercianti di prossimità), e somministrando ai giovani dei vaccini poi ritirati (inventandosi il “cocktail” come panacea), ciò che ha contribuito a creare sfiducia nella popolazione. Le formulette retoriche vuote hanno le gambe corte: “il rischio ragionato” era calcolato male, la scommessa è persa, e sarebbe stato saggio adottare misure ragionevoli per ridurre l’impatto della prevedibilissima quarta ondata, non aspettare il punto di non ritorno facendo leva sul Natale come sui dolcetti da far trovare ai bambini sotto l’albero.