La Camera penale di Cosenza come un locale di ‘ndrangheta

Tutte le ispezioni ministeriali che sono passate dal Tribunale di Cosenza convergono su un punto: nelle aule e negli uffici è un continuo magna magna.

Nel senso che giudici, pubblici ministeri, avvocati, cancellieri, quando non sono parenti, sono fidanzati, oppure consanguinei, o amici degli amici, i quali si adoperano costantemente l’uno a favore dell’altro, per trarne profitto personale.  Il Tribunale come una specie di “negozio” a conduzione familiare.

Infatti non è affatto strano, per il Tribunale di Cosenza, entrare in udienza e trovare magari il pm e il Gip abbracciati stretti che si baciano come fossero due fidanzatini. Uno potrebbe dire: che c’è di male?

Niente, se non fosse che uno è l’accusa e l’altro è il giudice terzo. Due figure che stando alla deontologia, dovrebbero trovarsi uno a nord e l’altro a sud. Il pm non dovrebbe avere nessun contatto con il GIP, e invece, a Cosenza può capitare che  hanno passato la notte insieme. Magari il giorno prima di qualche importante udienza.

Un problema serio che pone l’accento sull’imparzialità dei giudici. Chi ci garantisce la terzietà del magistrato giudicante, se questi la sera prima era a casa del pm che deve sostenere l’accusa nella sua aula il giorno dopo? Nessuno!

Tutta colpa della mancata separazione delle carriere: gli inquirenti da una parte i giudicanti dall’altra. E invece, da noi la carriera di un magistrato non tiene conto di questo. Puoi fare il pm per tanti anni per poi passare per “meriti” a fare il giudicante. Una carriera, questa, che come tutte le professioni si misura dal “successo” dei processi.

Più condanne fai comminare e più possibilità hai di  fare carriera. Dunque, è tutto interesse dei fidanzatini di cui sopra (il pm e Gip che si baciano) raggiungere questo risultato. In questa situazione chi ci garantisce che il Gip per fare un “piacere” al suo fidanzato, amico, cugino, parente, non condanni a prescindere? Anche qui nessuno.

I cittadini devono dare per scontato che i Giudici sono onesti. E affidarsi a loro come i credenti fanno con il Signore. Se a questo aggiungiamo i rapporti tra avvocati e magistrati nella procura di Cosenza, il quadro non solo diventa  più fosco, ma assume contorni ancor più inquietanti.

La Camera penale di Cosenza penso di poterla paragonare senza ombra di dubbio ad un locale di ‘ndrangheta. Con le dovute eccezioni e senza generalizzazioni rispetto alla nobile professione di avvocato. Il rapporto tra pm, giudici, cancellieri ed avvocati, quando non è vincolato da rapporti familiari, amicali, parentali, è di tipo affaristico.

Quello che conta in un’aula del Tribunale a Cosenza, non è tanto l’eloquenza, la professionalità, la conoscenza del codice, il duro lavoro, la preparazione coscienziosa di un processo, no, questo non conta niente, quello che conta è se ti sei appattato o no con il giudice. Se sei influente o no sullo stesso. Se puoi andare a trovarlo a casa o no. Se ci passi le vacanze insieme o no. E se qualche avvocato viene beccato in flagrante mentre consegna “mazzette” ad un giudice per far assolvere qualche pezzo di malacarne condannato a 30 anni per omicidio, non c’è nulla di male. Anche se tra questi c’è un soggetto che porta lo stesso nome di Luigi Gullo, figlio di Fausto, al quale è addirittura intitolata la stessa Camera penale. Roba da farli rivoltare nella tomba!

Del resto, tutti sanno che i processi a Cosenza non si svolgono in aula (quelli che interessano alla cupola, per tutti gli altri la Giustizia è un terno al lotto), ma nelle stanze segrete. La sentenza si scrive prima, non alla fine del processo. Del resto è dagli anni 80 che si narra di valigette donate ai giudici per mano degli avvocati e gentilmente offerte dagli amici degli amici. Ed è proprio a partire da quegli anni che molti studi diventeranno delle vere e proprie fabbriche di assoluzioni garantite al limone, ovviamente dietro corrispettivo, e per i processi “importanti” che riguardano gli amici degli amici. Avvocati che si affermeranno sul territorio come potenti ed influenti professionisti.

money I praticanti fanno a pugni per frequentare queste “scuole”. Sanno che solo asservendosi a questo sistema potranno fare carriera. Per quanto possano aver studiato se non diventano amici degli amici difficilmente potranno aprirsi uno studio proprio. Perché i “clienti speciali” vanno solo da chi può garantire loro un aggancio sicuro col giudice, tutto il resto è solo sopravvivenza.

Questo ragionamento non è una illazione come la corporazione dirà,  prova ne è il fatto che tutti i processi di una certa importanza che si sono svolti nel tribunale di Cosenza, sia quelli contro le cosche, sia quelli dove gli imputati sono figli di, amici di, parenti di, sono finiti tutti a tarallucci e vino. Insabbiamenti, traggiri, carte sparite, relazioni farlocche, verbali fasulli, sono le costanti che si trovano quando si indaga su importanti processi. E qui siamo solo nel penale.

Perché se si va a guardare nel civile lì, le cose, sono ancora più tragiche. La più completa anarchia. Ognuno fa quello che gli pare perché a differenza del penale la stampa raramente si occupa di civile. Non hanno come molti pm o come famosi avvocatoni i riflettori puntati addosso. Eppure è la componente che più degli altri fa girare i soldi. Che può decidere chi si può “risarcire” e chi no. E anche qui le bustarelle e le mazzette girano come i bambini su una giostra. E il ruolo dell’avvocato maneggione è il più richiesto.

In tutto questo esiste una Terra di sotto, quella abitata da giovani e meno giovani avvocati, che con tutto questo non hanno niente a che fare. Anche se ne sono a conoscenza. Professionisti che, chi per ideali, chi per dignità, chi perché crede nella Giustizia, mai si piegherebbero a questo genere di mostruosità, e che cercano di svolgere il loro lavoro nel modo più corretto possibile.

Tuttavia restano inermi di fronte allo sfacelo quotidiano a cui assistono ogni giorno. Ma come succede in ogni posto di lavoro un compromesso, alla fine, bisogna trovarlo. E allora si preferisce essere scavalcato dall’avvocatone nella fila d’attesa davanti la porta del giudice o del cancelliere, piuttosto che dirgli, vista anche la “sacralità” del luogo, avvocà rispetta la Legge. Che in un Tribunale è quanto dire!

GdD