La Cosenza che non t’aspetti raccontata da politici, imprenditori e studiosi

A sentire parlare la politica, gli imprenditori, i tanti enti che si occupano di commercio, imprese e attività produttive, e gli studiosi che analizzano i “fenomeni economici e sociali”, Cosenza, ma più in generale la Calabria, è un territorio ricco di imprese e industrie, dove non manca il lavoro, e tutti vivono felici e contenti.

Ci sono talmente tante fabbriche, imprese, e attività produttive di ogni ordine e grado che la manodopera locale non riesce a coprire la continua richiesta di personale delle imprese, costringendo gli imprenditori a giornalieri appelli pubblici alla ricerca di lavoratori. Stando ai numeri sciorinati dagli studiosi nelle loro inchieste economiche e sociali condotte sul campo, a Cosenza la disoccupazione non esiste.

O meglio i disoccupati, a Cosenza, sono tali per scelta: se davvero volessero lavorare, dicono gli industriali cosentini, troverebbero lavoro in 5 minuti. Ma in tanti preferiscono godersi le rendite derivanti da investimenti in titoli di stato. Del resto, e lo dicono gli studiosi del settore bancario, a Cosenza ci sono più banche e finanziarie che bar. Il che conferma non solo la propensione dei cosentini, tipica delle “comunità” economicamente avanzate, ad investire in “finanza”, ma anche l’esigenza delle migliaia di imprese produttive cosentine di avere dei luoghi sicuri dove depositare l’enorme mole di denaro che ogni giorno gira nelle loro casse.

A Cosenza, nelle parole degli industriali e imprenditori cosentini di ogni settore, lo stipendio medio, nel privato, è di 1600 euro al mese. Ovviamente con tanto di regolare contratto. Sempre a Cosenza a detta dei sindacati – che da noi non avrebbero ragione di esistere, visto che a tutti sono riconosciuti i diritti, ma tutti dobbiamo campare –  il lavoro nero non esiste perché considerato immorale dagli industriali. E nonostante ciò faticano a trovare personale. Tra un po’ saremo costretti a fare come fanno a Dubai: importare manodopera dai paesi limitrofi.

A Cosenza si sta talmente bene, economicamente parlando e sempre secondo i politici e gli imprenditori che ogni giorno mandano veline ai giornali con le loro lamentele sulla mancanza di personale, che a nessuno gliene frega niente se siamo finiti al sesto posto nella classifica dei capoluoghi italiani in cui si è registrato l’incremento maggiore dei prezzi per quel che riguarda cibo e bevande. Un aumento che incide sul bilancio di una famiglia media di almeno 650 euro all’anno. Che sommati agli altri rincari, gas, luce, benzina e tasse comunali fanno tanti soldini. Ma non per i cosentini abituati a giocare in borsa e ad investire in ogni settore, che considerano questo aumento pari ad un caffè. Spiccioli per chi come noi cosentini può permettersi di cambiare lavoro ogni mese. O di restare comodamente sul divano a godersi la rendita pubblica.

A Cosenza gira talmente tanto denaro, grazie ai tanti investitori che hanno scelto la nostra città invogliati dalle politiche di sviluppo messe in campo dalla nostra classe dirigente, che i commercianti vedono il racket come un acquisto “imposto” (si fa per dire) di servizi. Una spesa collaterale che non incide minimamente sul bilancio dell’azienda. E se questo serve a far felice tutti, ben venga il pizzo. Tanto ce n’è per tutti. A Cosenza, a sentire la politica, siamo nel pieno dello sviluppo economico e sociale. Gira talmente tanta ricchezza che da noi persino i grandi gruppi industriali e finanziari si lamentano che non trovano manager e direttori di banca neanche a 20.000 euro al mese. E poi dicono il Sud povero e arretrato…