La “cupola” Reggio-Cosenza: Pino Tursi Prato, l’eterno capro espiatorio

Tursi Prato

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI 

Le inchieste di Federico Cafiero De Raho sono inevitabilmente figlie di quelle di Agostino Cordova, dello stesso Nicola Gratteri, di Salvatore Boemi e di Luigi De Magistris. Nessuno di loro, dal 1992 ad oggi, è riuscito a dimostrare l’esistenza effettiva della “cupola” Reggio-Cosenza. 

Siamo partiti dal bandolo di questa storia, Paolo Romeo, detto dai pentiti il “Salvo Lima reggino”, che muove le fila della politica a Reggio Calabria, grazie ai contatti organici con le cosche e la massoneria.

Il gancio con Cosenza è Pino Tursi Prato, socialista prima vicino a Tonino Gentile e poi ribellatosi al loro dominio per prendersi l’USL di Cosenza e sposare la causa di Paolo Romeo nel PSDI di Antonio Cariglia “niente lascia e tutto piglia” come scriveva nei telegiornali di Telecosenza Giacomo Mancini, alla cui corte sarebbe poi approdato.

Paolo Romeo

Romeo e Tursi Prato, con l’aiuto di due capibastone della malavita cosentina come Franco Pino e Pietro Magliari, mettono a segno un’estorsione ai danni di un imprenditore reggino che aveva vinto un appalto nell’USL comandata appunto da Tursi Prato. Siglano la tregua con Tonino Gentile in uno studio legale cosentino, quello di Franz Caruso, garante sempre Franco Pino. E nel 1990 vengono eletti consiglieri regionali nel PSDI.

Ma la vera “cupola” Reggio-Cosenza è quella che, nel 1989, determina l’omicidio di Lodovico Ligato, ex presidente reggino delle Ferrovie, diventato troppo ingombrante. Il perno di questa “cupola” a livello politico è il leader cosentino e calabrese della DC, Riccardo Misasi, pesantemente coinvolto nell’inchiesta della procura di Reggio Calabria del 1993, che lo estromette, di fatto, dalla politica. 

Finisce nel tritacarne anche Giacomo Mancini, leader socialista calabrese fatto fuori dal Parlamento nel 1992 dopo 44 anni grazie all’accordo elettorale della “cupola” Reggio-Cosenza, ma che batte clamorosamente la partitocrazia un anno dopo diventando sindaco di Cosenza con l’elezione diretta e che da allora si trasforma in un avversario da eliminare diversamente.

Le vicende giudiziarie di Misasi e Mancini, tuttavia, sono completamente differenti. Misasi gestiva tanto potere, Mancini no. E l’accanimento contro il leader socialista proviene chiaramente da quei settori della magistratura legati al PDS (i registi sono il triste Luciano Violante e il solito Marco Minniti). Che lo vedono come il fumo negli occhi perché gli sta soffiando la città di Cosenza da sotto il naso.

Decine di pentiti parlano contro Mancini ma il più accanito è Franco Pino, che fa il salto del fosso dopo l’operazione Garden del 10 ottobre 1994, la prima operazione antimafia in città. E’ il 4 novembre 1995 quando la città di Cosenza si sveglia con un’altra notizia-shock.

Voto di scambio e associazione mafiosa: i magistrati della procura antimafia di Catanzaro chiedono addirittura l’arresto di Giacomo Mancini, già sindaco sospeso di Cosenza per l’inchiesta di Palmi, e del figlio Pietro. Il Gip, però, nega in tutt’ e due i casi la richiesta. Avvisi di garanzia anche per i parlamentari di FI Vittorio Sgarbi e Tiziana Maiolo.

Finisce ancora una volta in carcere Pino Tursi Prato.

SETTIMA PUNTATA

Il teorema dell’antimafia di Catanzaro, in estrema sintesi, è questo.

Il boss Pino – e tanti suoi ex accoliti lo hanno confermato – spostava pacchetti di voti (anche comprati a 20 mila lire l’ uno nei campi nomadi e nella periferia più vulnerata) a proprio piacimento e anche in 24 ore. Tursi Prato, ne è convinta la procura, aveva bisogno di voti e Pino glieli dava. Mancini li sollecitava e li otteneva per il figlio e per sé. E in cambio il “padrino” riceveva benefici vari, tra cui l’ assunzione di propri parenti e amici degli amici all’ Usl e al Comune.

E Vittorio Sgarbi e Tiziana Maiolo? Quale ruolo hanno avuto? Qui il discorso resta ancora nel vago. Nell’ordinanza del Gip Nicola Durante (oggi al TAR con la moglie dirigente alla Regione…) non compaiono. E’ una indagine parallela di cui si conosce poco. Diciamo pure nulla, visto l’esito finale. Tutti capiscono che il vero obiettivo dell’inchiesta è Mancini.

Alla luce di queste nuove accuse, Mancini si trova accerchiato tra il processo di Palmi e, adesso, anche quello di Catanzaro. Franco Pino testimonierà contro di lui anche nel processo che lo vede imputato per mafia davanti al Tribunale di Palmi.

E proprio questa situazione non va, sottolinea Mancini: “Non ho capito bene cosa succederà adesso. Mi trovo a essere imputato due volte, per lo stesso reato, con le stesse accuse, una volta a Reggio e l’ altra a Catanzaro”.

“Mi sono arrivate le contestazioni. Si usano parole di enorme gravità. I Mancini, cioè mio figlio e io, faremmo parte di un’ unica organizzazione a delinquere mostruosa, pericolosa, che ha agito ai danni della città e della democrazia. Noi avremmo vinto le elezioni e gli altri avrebbero ricevuto in dono il Comune!”. E allora, ecco la zampata del vecchio leone: i fatti specifici contestati nell’ ordinanza del Gip Nicola Durante sono smentiti dalle carte sequestrate in Comune (l’assunzione di un clorista e l’ assegnazione di un box sono clamorosamente false).

E poi: “Dall’ interrogatorio del pentito Pino risulta che i capi di questa organizzazione, cioè i Pino e i Mancini, non si sono mai incontrati, non si sono mai conosciuti nemmeno in una delle tante osterie collinari: ci sarebbero stati due intermediari. Io e mio figlio siamo i soli amministratori di Cosenza accusati di intese con la malavita. E’ intollerabile”.

E’ una vicenda giudiziaria lunga e tormentata. Mancini respinge sdegnosamente le accuse che gli vengono rivolte ma il Tribunale di Palmi, il 25 marzo 1996, lo condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.

Passa un anno e la Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 24 giugno 1997, annulla la sentenza per incompetenza territoriale rimandando tutti gli atti a Catanzaro. Ma nel frattempo ormai è cambiato anche il quadro politico e nel 1997 Mancini sarà sostenuto anche dal PDS per il suo secondo mandato di sindaco. La pace è stata garantita dall’intervento di Minniti qualche mese prima.

Una prima conclusione della vicenda giudiziaria arriva il 19 novembre 1999, con l’assoluzione da parte del Giudice per l’udienza preliminare, Vincenzo Calderazzo, che dichiara estinto per prescrizione il reato di associazione per delinquere mentre per quello di concorso esterno in associazione mafiosa Mancini viene assolto perché il fatto non sussiste. Il processo d’appello, fissato a fine giugno del 2000, è rinviato a nuovo ruolo e non ha mai avuto inizio. Mancini morirà a 86 anni l’8 aprile 2002, Misasi lo aveva già preceduto due anni prima, il 21 settembre 2000. Aveva 68 anni.

E Franco Pino? Beh, fece dichiarazioni che, insieme a quelle di altri pentiti, motivarono l’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa contro Mancini, salvo precisare poi di non aver mai detto di avere avuto contatti con lui, bensì di aver fatto un patto di scambio con Pino Tursi Prato alle elezionii regionali del 90 e poi alle elezioni comunali del 93 (l’ultima volta in favore di Mancini, candidato sindaco di Cosenza).

Mancini e tutti gli altri indagati sono stati assolti, l’unico condannato, l’eterno capro espiatorio è stato Pino Tursi Prato, che si è beccato sei anni di carcere per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa. E tornerà al proscenio qualche anno dopo, come vedremo, all’epoca delle inchieste di Luigi De Magistris.

7 – (continua)