La guerra del Pd: Aiello si arrende a Madame Fifì

Ferdinando Aiello e Luigi Guglielmelli

Sulle dimissioni di Ferdinando Aiello da commissario dei circoli di Cosenza, non abbiamo mai avuto dubbi.

Nonostante il suo caratteristico dico e non dico. Infatti, dopo la sua smentita di aver dato le dimissioni, come redazione, non ci siamo tornati più sopra. Lo facciamo adesso solo per avvalorare la nostra tesi sull’andamento della guerra in atto tra i potentati politici/economici del PD cosentino.

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Una sorta, il nostro, di bollettino di guerra. Un aggiornamento sulle battaglie in corso. E questa va senz’altro a Madame Fifì. Ferdinando non è uomo di polso. Lui è uno più propenso all’accomodamento. Uno abituato a giocarsela al tira a campare. Ma purtroppo, o per fortuna, qui, il tempo stringe. E Madame Fifì, conoscendolo, sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarla sul campo.

Le è bastato solo sbandierare qualche numero, per seminare il panico nelle già esigue e pavide truppe di Magorno. Messe sul campo sotto gli ordini di un colonnello come Ferdinando totalmente estraneo alla truppa, al territorio e completamente inviso alla popolazione. La prova di forza chiesta da Renzi a Carbone, per liberare Cosenza, è miseramente fallita.

Come spiegare ora questo alla Boschi? Tutte le vave fatte su Cosenza dal trio Minniti/Carbone/Aiello, che millantavano capillarità di controllo del territorio, ora stanno a zero.

Quello di Cosenza, l’ho detto, è un campo di battaglia difficile. Ci vuole una certa esperienza politica, una forte appartenenza territoriale, e un potere contrattuale concreto (non quello delle chiacchiere), per poter battagliare contro chi, come Madame Fifì, queste “caratteristiche” ce l’ha.

Marco Minniti
Marco Minniti

Lo abbiamo scritto: è bene arroccata. Le sue truppe sono unite. Dal mantenimento del suo casato dipendono ricchezze, privilegi, guiderdoni, ricompense, compensi, onorari, e sussistenza varia, per ognuno di loro.

Qui o si vince o si muore. Quelle di Madame Fifì sono truppe motivate. Difficile che un assalto, o un assedio, li faccia smuovere dalle barricate. Minniti non fa poi tutta questa paura. Una voce unanime oramai che circola dagli avamposti, fino alle retrovie. La sua invincibilità era solo un mito che non ha retto al primo scontro concreto. Del resto, non ne ha mai azzeccata una.

Qualcuno potrà dire: ma che ci colpa lui se Guccione è quello che è? A questi rispondo: perché, non lo sapeva chi è Madame Fifì? Non si manda un Guccione preso a caso contro una megera di quella portata. Serve gente linda e pinta. Non chi ha scheletri nell’armadio.

Non sapeva forse Minniti dell’enorme biblioteca di libri di incantesimi, sortilegi, intrallazzi, fatture e libri mastri, in suo possesso, su ognuno dei suoi nemici?

Conosce, attraverso le carte, passato, presente e futuro, dei suoi avversari. Se Ferdinando sa 5 formule magiche, lei ne sa 1234232435 di più, per fare un esempio. Quale stratega commette, alla luce di queste conoscenze, un errore così grossolano? Non ci sono più scuse per Minniti. Anche perché aveva già fallito quando chiese a quello stregone di un direttore Pollichieni di lanciare qualche anatema a Madame Fifì, che nulla potè contro i suoi scudi magici.

Conosceva bene, Minniti, il valore e il tenore dell’avversario. Ecco perché non può giustificare in nessun modo l’aver inviato sul campo di battaglia colonnelli senza truppa come Aiello e pavidi generali come Guccione.

Ora le cose sono due: o Minniti si è giocato sottobanco, prendendoli per il culo, a Guccione, Aiello, e Magorno, per porsi mediatore (che poi è la natura politica di Minniti) di un già stilato piano B, che prevede l’esclusione dei sopracitati, oppure tira fuori la sua biblioteca di libri magici e affronta in prima persona Madame Fifì.

Nel mentre, dall’alto della collina che sovrasta il campo di battaglia, Renzi osserva, ha già pronto un nuovo cavaliere da inviare sul campo di battaglia: Lucio Presta. Che fiero e baldanzoso, non vede di lanciarsi alla carica. Chissà che non sia questo il piano B di cui sopra?

GdD