La ‘ndrangheta e i rifiuti speciali: chi sono i calabresi arrestati

Lo smaltimento illegale di rifiuti solidi urbani e non provenienti dal Napoletano in capannoni dismessi del Nord e una cava in Calabria ha creato discariche abusive per oltre 14mila tonnellate di rifiuti di ogni natura, e, per i pm della Dda di Milano, ha prodotto un volume complessivo di illeciti profitti stimato in oltre 1,7 milioni di euro nel solo 2018. Grazie all’opera di raccordo fatta dalla procura milanese, singoli e diversi fascicoli penali relativi a episodi di abbandoni o discariche di rifiuti in tutto il Nord Italia sono stati analizzati in maniera unitaria ed e’ stata ipotizzata.

Nel solo hinterland milanese, sono stati colmati di rifiuti gestiti dalla banda scoperta dall’inchiesta che ha portato a 11 misure cautelari i capannoni sequestrati a Gessate, Cinisello Balsamo e nell’area ex Snia di Varedo.

Lo snodo del traffico era l’impianto Smr Ecologia di Como, ma sono stati individuati e sequestrati gia’ nei mesi scorsi gli impianti Salcon Sas di Como, Tecnometal di Trento e Eco.Lo.Da. di Lamezia Terme quali siti illeciti di destino di rifiuti. Il sito della Eco.Lo.Da., sequestrato nel giugno del 2018, era un semplice capannone privo di qualsivoglia dispositivo per il trattamento di rifiuti.

Il destino ‘calabrese’ dei rifiuti, che ha interessato l’area del Lametino notoriamente caratterizzata da forte radicamento di cosche di ‘ndrangheta, ha riguardato anche una cava dismessa, in passato gia’ oggetto di una sequestro perche’ utilizzata per nascondere in fusti  di armi e droga.

Nel corso delle indagini, il sequestro di numerosi siti di stoccaggio illeciti nel Nord Italia ha allarmato il sodalizio criminoso che, grazie a contatti con le cosche del territorio lametino, ha individuato altri sversatoi abusivi per proseguire la frenetica attivita’; offrendo infatti agli impianti in difficolta’ costi di smaltimento inferiori a quelli elevatissimi delle discariche o degli inceneritori, la domanda di mercato gestita dall’associazione criminale era, dicono i pm, praticamente inesauribile.

I profitti illeciti poi, transitati presso i conti delle societa’ coinvolte e apparentemente riconducibili a prestazioni nel settore dei rifiuti, venivano drenati attraverso significativi prelevamenti in contante e ricariche su carte postepay utilizzate ad hoc, evitando cosi la tracciabilita’ dei flussi di denaro.

A carico della banda anche un tentativo di sequestro di persona, accertato nel corso delle indagini, ai danni di un imprenditore campano per ottenere il pagamento immediato di trasporti illeciti di rifiuti effettuati per suo conto.

Il principale indagato è Angelo Romanello, 35 anni, originario di Siderno (Reggio Calabria), definito il “dominus del sodalizio”, catturato a casa sua, a Erba (Como). Con lui è finito in carcere Maurizio Bova, di 41 anni, originario di Locri (Reggio Calabria).

Già mentre si trovava agli arresti domiciliari Romanello si occupava concretamente della gestione della Smr Ecologia srl, una società di smaltimento rifiuti con sede a Busto Arsizio (Varese) che sulla carta aveva come amministratore unico Massimo P. ma che in realtà era riconducibile al 35enne, il quale ha “rapporti con i clienti e con le banche, individua i siti di stoccaggio dei rifiuti e i trasportatori”. Si legge nel provvedimento: il signor “P., seppur titolare di partita Iva come procacciatore d’affari, risulta percepente di redditi nel periodo d’imposta 2015-2017 per un ammontare lordo di 60mila euro circa, ma per lo stesso periodo non ha presentato dichiarazioni fiscali”.

Per altri nove sono stati chiesti i domiciliari. Tra di loro anche una consulente ambientale, iscritta all’albo in Lombardia, che operava per consigliare le migliori modalità di smaltimento illecito.

Angelo Romanello di Siderno, era stato gia’ coinvolto nelle operazioni contro la ‘ndrangheta denominate ‘Tenacia’ e ‘Infinito Crimine’; evidenziato un caso di infiltrazione criminale nella Smr Ecologia di Como da parte dei calabresi i quali intercettati la definivano il loro feudo. Partendo da una forma di illecita collaborazione con l’impianto di trattamento rifiuti di Como per agevolare l’abnorme flusso di rifiuti gestiti, gli indagati calabresi hanno avuto presto atteggiamenti sempre piu’ invasivi nella societa’, arrivando a utilizzare gli uffici della ditta, i mezzi, il carburante e le autorizzazioni.

Il titolare, imprenditore lombardo fiaccato anche da problemi economici e giudiziari, l’ha poi ceduta al gruppo criminale attraverso l’intestazione a un prestanome. “Gente che viene a casa tua e anche se non ti trova, si mette li’ e dice: ora io Devo mangiare la pastasciutta con te”, raccontava l’uomo, intercettato dagli inquirenti, per descrivere a un suo conoscente quello che gli stava capitando. Emblematico della vicinanza agli ambienti di ‘ndrangheta anche la conversazione tra due pregiudicati calabresi relativa a una controversia  legata a somme di denaro; i due ne rimandano la definizione a quando “saranno a tavola con i cristiani di Plati’ e San Luca e si vedra’ chi ha ragione e chi ha torto”.

C’erano anche rifiuti campani, e in particolare di Napoli e Marcianise (Caserta), tra le migliaia di tonnellate di smaltimenti illeciti tracciate nell’indagine sullo stoccaggio in capannoni del Nord Italia, e in Calabria, coordinata dalla Dda di Milano. Il particolare è emerso nel corso della conferenza stampa tenutasi stamani al Comando provinciale dei carabinieri, a Milano, alla presenza del procuratore aggiunto, Alessandra Dolci, e del sostituto, Silvia Bonardi.

I rifiuti, compreso ‘umido e indifferenziato’ provenienti da Napoli, arrivavano in Lombardia tramite un’azienda, la Smr Ecologia srl di Busto Arsizio (Varese), e di qui poi, una volta intasati i capannoni locali, finivano in Calabria “in zone a vocazione agricola e paesaggistica”, anche vicino al mare.

I rifiuti finivano al Nord a Como, (in località La Guzza), a Varedo (Monza e Brianza) nell’area ex Snia, a Gessate e Cinisello Balsamo (Milano), per un ammontare di circa 60 mila tonnellate accertate. Il sito ex Snia “copre un’area ampissima nei comuni di Limbiate e Paderno Dugnano per 400mila mq di superficie. Da circa 15 anni il sito è in stato di abbandono a causa della fine della produzione industriale e non è stato ancora oggetto delle opere di bonifica previste”.

Al Sud finivano in una cava a Gizzeria (Catanzaro), dove già nel 2014 erano stati scoperte armi e droga in fusti interrati, e alla Cava Parsi a Lamezia Terme, in modo così incurante di ogni regola da causare “la devastazione di un intero territorio”.
Complessivamente, nel corso dell’indagine, sono state sequestrate 14mila tonnellate di rifiuti, che solo nel 2018 “hanno fruttato 1 milione e 400 mila euro”.

Fonte: Repubblica