La scissione a perdere di “Giggino ’a pultrona”

(DI GIANLUCA ROSELLI – Il Fatto Quotidiano) – Quando ha deciso di lasciare il Movimento 5 Stelle i suoi obiettivi erano decisamente diversi. Liberarsi di un partito che per lui stava diventando una zavorra. Non avere più niente a che fare con Giuseppe Conte la cui leadership era diventata un problema. Librarsi in volo finalmente libero, con una forza politica tutta sua, a sua immagine e somiglianza, con cui navigare per mari incerti ma con il timone ben saldo tra le mani.

Tutto ciò e molto altro ancora deve aver convinto Luigi Di Maio, lo scorso 21 giugno, ad abbandonare la sua casa madre, il M5S, per formare in Parlamento i gruppi Insieme per il futuro: allo stato attuale 53 deputati e 11 senatori (ultima arrivata, la senatrice Cinzia Leone). Poi nelle sue intenzioni c’era anche quella di rafforzare il governo Draghi, dargli maggiore stabilità al centro, con un alleato fedele in più, rendendo quasi superflue le fibrillazioni pentastellate verso Palazzo Chigi. E costruirsi un futuro tutto suo: con la politica, certo, ma anche con una rete di relazioni nel mondo produttivo e imprenditoriale e tra i boiardi di Stato.

Su Di Maio s’è però abbattuto feroce il principio filosofico dell’eterogenesi dei fini: le conseguenze delle sue azioni sono state ben diverse dal disegno iniziale. Con la scissione, infatti, ha liberato il Movimento dalla parte più centrista e governativa lasciandolo preda delle fazioni più barricadere e anti-Draghi. Che infatti da quel momento hanno avuto campo libera e buon gioco nel convincere Conte allo strappo sul dl Aiuti, da cui le dimissioni del premier, per ora respinte dal capo dello Stato. E ora, come ammesso ieri dallo stesso Di Maio, arrivare a una soluzione di questa crisi è molto difficile se non impossibile. La sensazione, dunque, è che, con la scissione, “Giggino” si sia messo nei guai con le sue mani, costruendo intorno a sé una trappola di cui è stato la prima vittima. Il governo Draghi non c’è quasi più, lui perderà la Farnesina e, se si andrà al voto in autunno, avrà pochissimo tempo per strutturare sul territorio il suo nuovo movimento. Insomma, in vista c’è pure una possibile débâcle elettorale che vanificherà tutta la sua manovra politica (per certi versi coraggiosa).

Sarà anche per tutto questo che ieri Di Maio è tornato a parlare, dopo un giorno di silenzio, usando parole acuminate. “Conte ha colpito questo governo per spirito di vendetta contro qualcuno”, ha detto. Contro lui o contro Draghi? “La crisi era stata pianificata da tempo. Sono contento che nel partito di Conte ci siano voci in dissenso, ma devono dimostrarlo”, ha aggiunto. “Il partito di Conte (lo chiama sempre così, ndr) ha dimostrato grande immaturità”, ha sottolineato. E poi ancora: “M5S non esiste più, ora è un partito padronale che ha deciso di anteporre le proprie bandierine davanti alle istanze del Paese”. E infine: “Se Conte ritira i ministri non ci sono più possibilità di andare avanti e si va a votare. Mercoledì ci vuole un atto di maturità da parte di tutti”. Lunedì lui, Draghi e altri ministri saranno in Algeria. “Mi piange il cuore vedere che in Russia stanno brindando”, sostiene poi l’ex leader 5 Stelle, attaccando il post di Medvedev sulla caduta di Johnson, prima, e di Draghi, poi. “La sua idea di diplomazia è viaggi a vuoto in giro per il mondo a degustare piatti esotici ai ricevimenti di gala”, disse di lui, crudele, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Di Maio incassò senza replicare. Ma chi l’avrebbe mai detto che rischia di dover lasciare così presto la Farnesina per colpa del suo acerrimo nemico Conte?