La Storia del Centro Rat-Teatro dell’Acquario. 1988: Dario Fo e Mistero Buffo a Cosenza (di Antonio Garro)

Foto Archivio Centro Rat - Teatro dell'Acquario

La scomparsa di Antonello Antonante, uno dei padri del teatro calabrese e certamente il padre e il pioniere del teatro cosentino, riporta inevitabilmente alla memoria i momenti più esaltanti del Centro Rat-Teatro dell’Acquario e tra questi senza dubbio l’arrivo di Dario Fo e Franca Rame a Cosenza. 

Dario Fo e la città di Cosenza. In tanti non hanno dimenticato il 1° e il 2 febbraio 1988 quando Dario Fo e Franca Rame furono grandi protagonisti al cinema-teatro Citrigno con il loro “Mistero Buffo”.“Mistero Buffo” apriva la seconda e conclusiva fase del “progetto Fo”, promosso ed organizzato a Cosenza dal Centro Rat Teatro dell’Acquario.

La prima fase del “progetto Fo” aveva avuto svolgimento dal 7 novembre al 6 dicembre del 1987 con la mostra “Il teatro dell’occhio”, che aveva fornito una copiosa documentazione su bozzetti, scene, disegni, costumi, pupazzi, locandine e manifesti studiati da Dario Fo per le messe in scena delle sue compagnie.

Quando Fo e Franca Rame vennero a Cosenza, Dario era appena stato a Fantastico con Celentano e la sua esibizione aveva fatto parecchio “rumore”. Ma ecco l’articolo di recensione che scrisse la Gazzetta del Sud, non certo delle stesse idee di Dario Fo…

di Antonio Garro – febbraio 1988 – fonte: Gazzetta del Sud

19 anni di Mistero Buffo e mai un’autentica replica

Gli anni non pesano su “Mistero Buffo”: ne sono trascorsi diciannove dal suo debutto ufficiale, il 1° ottobre 1969, a Sestri Levante, ma ognuna delle rappresentazioni – e sì che non si contano – costituisce un evento a se, presentando, rispetto alle precedenti, continue e sostanziali modifiche strutturali, succede piuttosto puntualmente un po’ per tutti gli spettacoli di Dario Fo, accade a maggior ragione per questo lavoro, il più fortunato di essi, da ogni punto di vista.

Ad evidenziarlo è lo stesso attore (ed autore e regista), nel congedarsi dal pubblico che per oltre due ore l’ha seguito con la massima attenzione e la partecipazione più evidente (due elementi che l’artista riesce a catturare sin dal primo istante) allorché invita gli spettatori della “prima” cosentina di “Mistero Buffo” al “Citrigno” a tornare per la replica dell’indomani che… non ci sarà.

La seconda serata sarà in gran parte diversa, promette. Egli vuole che sia così, ma sarebbe così anche se non volesse, lascia capire ai cronisti nel corso dello scambio di battute prima della “recita”. Gli è capitato infatti – racconta – proprio in questi giorni di dover visionare la registrazione, risalente a diversi anni fa, di un altro suo lavoro che tira fuori con frequenza nonostante, anche per questa, la “nascita” non fosse molto recente.

“Era irriconoscibile – dice Fo -. Ero convinto che assolutamente fosse lo stesso. Invece, perfino la “ragione” della messa in scena è sparita, ed è stata sostituita da un’altra”.

Potenza del “genio”?

“Cauti – ammonisce Fo – ad usare questo termine. Altrimenti… si consuma!”.

Diciannove anni. “Mistero Buffo” in questo volgere di tempo, si è quindi continuamente rinnovato. Ma lui, Fo, l’uomo, è cambiato?

dario “Certo che sì” – è la risposta. “Col tempo che scorre – aggiunge – solo il sasso non cambia. Se non cambia, vuol dire che l’uomo è arido, che non recepisce, che non cresce. Ma non solo io sono cambiato. E’ cambiata anche la società. Per tantissimi aspetti in peggio, per altri (molti di meno) in meglio”.

Diviso in due tempi, con un testo legato al Medioevo (“ma è un pretesto – chiarisce senza mezzi termini – per parlare dei nostri giorni e della nostra storia”), “Mistero Buffo” presentato a Cosenza ha abbracciato cinque fra i più noti monologhi: “La fame degli Zanni”, “La lezione di Scapino”, “La difesa del giovane stupratore”; “La resurrezione di Lazzaro” e “Bonifacio VIII”. A sufficienza per confermare l’indiscutibile bravura dell’attore, ma anche per confermare la sua predilezione per degli argomenti – e per le loro proiezioni – comprensibilmente non da molti condivisi: un fatto assodato questa non da tutti gradita condivisa scelta di tematiche che suscita polemiche e risentimenti soprattutto quando essi riguardano argomenti di carattere religioso.

Ciononostante Fo sembra – per tutta risposta – prediligerli, li porge con la sua ottica di ateo, da una posizione che dichiara senza mezzi termini allorché afferma: “Io sono per quello che è ragione, tangibile, materia, scientifico”.

Che discorso è allora quello fatto da Celentano dopo il putiferio seguito all’esibizione nella puntata prenatalizia di “Fantastico” secondo il quale l’attore è un “grande credente”?

“Si ha l’impressione – chiosa Fo – che Celentano studi lo strafalcionismo… il suo è così naturale che sembra falso, dico prendendo a prestito una frase di Picasso: “Io sono in effetti un uomo senza fede quando questa si vuole intendere come certezza intoccabile”. Devo vedere, devo capire, non accetto situazioni stabilite, fisse, irrovesciabili, insovvertibili. Questo mi deriva probabilmente anche dalla mia preparazione (ho avuto miei docenti quando frequentavo l’università, perché volevo diventare architetto, Masetti e Figini, colleghi di Fermi) dalla quale ho imparato che la dialettica è la componente irrinunciabile di tutto… Sono però religioso, questo sì: ho un senso di religione verso la vita, le stagioni, il tempo, la gente, lo spazio. E poi, ancora, sono un “epicureo” fondamentalmente teso cioé ad essere un gaudente”.

coloriLargo uso del grammelot nelle giullarate (ama definirle così) presentate dall’edizione cosentina di “Mistero Buffo”.

Il grammelot, una forma di gergo caratterizzante gli spettacoli di Fo, con abbondante utilizzo di fonemi di origine padana e provenzale ma anche con inflessioni tutte francesi (“La lezione di Scapino”) o inglesi (“La difesa del giovane stupratore”), secondo qualcuno è un’invenzione dello stesso Fo.

Egli nega. Si tratta – precisa – del rifacimento di un ben preciso stile di alcuni teatranti medievali, ottenuto mediante l’assemblaggio di suoni privi di senso apparente ma talmente onomatopeici nelle cadenze e nelle modulazioni da lasciare intuire perfettamente il senso del discorso. “E’ un congiungimento di suoni, timbri – dice – nell’ambito dei quali trova spazio solo di tanto in tanto qualche parola effettivamente esistente: è un linguaggio che nasce sera per sera e si sviluppa a seconda della reazione del pubblico. D’altronde anche i miei testi veri e propri nascono di volta in volta sul palcoscenico, partendo da una semplice idea di base. Ciò in quanto, com’è noto, io non realizzo un teatro letterario”.

Il pubblico di Cosenza, da questo punto di vista, ha stimolato Fo ad andare avanti, ad ampliare o viceversa gli hanno fatto azionare il freno?

Dario Fo non ha dubbi in proposito: “Mi sono trovato benissimo, con voi è stato facilissimo intendersi”.

neroEd aggiunge: “A me pare di essere già stato qui, 25-27 anni fa. Gli amici del Centro Rat che hanno organizzato questa mia esibizione sono di avviso contrario e sostengono addirittura che non ho mai recitato un Calabria. Comunque, son veramente felice di esserci adesso. Se non ci sono mai stato prima o se ci torno a distanza di oltre un quarto di secolo cambia poco. Se è accaduto, è perché in teatro si seleziona ed io, evidentemente, negli anni scorsi sono stato selezionato… negativamente. Come dire che ci sono state difficoltà ad arrivarci. Un buon motivo per essere ancora più felice di trovarmi qui”.