Le arti magiche di Enza Bruno Bossio: il Piano Telcal

Buongiorno a tutti. Negli ambienti politici di Cosenza, da ieri sera, c’è aria di euforia. La clamorosa esclusione di Enza Bruno Bossio dagli eletti alla Camera è stata salutata con grandissimo entusiasmo dai suoi numerosi avversari e da tutta una schiera di cosentini che per decenni ha classificato la Bruno Bossio come uno degli più squallidi esempi di politica corrotta. Più volte ne abbiamo tracciato i contorni, ma oggi lo facciamo con la consapevolezza che la sua parabola politica e il suo schifoso potere sta per volgere al termine. Perché tutto, grazie a Dio, ha un inizio ma anche una fine. 

Madame Fifì è una nota chiromante. Negli anni Ottanta, quando l’edonismo dilaga, c’è una gran voglia di conoscere il futuro, di farsi ammaliare da qualche mago o qualche “strega”. Lei, Madame Fifì, era perfetta per questo ruolo. Anche se, prevedendo tutto questo, si era affrettata ad autodefinirsi “la maga del bene”. E cosi il suo studio di piazza Kennedy è meta ininterrotta di gente. Lei li ha conquistati con il suo look stravagante: pelliccia sempre in vista, capigliatura bionda cotonata, sguardo sempre aggressivo, andamento da aristocratica de noantri, voce squillante e penetrante. Un’icona della Cosenza degli anni Ottanta, odiatissima dagli ultrà con i quali ha sempre avuto un pessimo rapporto fatto di urla, dispetti e zingarate.

Se al posto di chiromante avessimo messo politica e se invece della capigliatura bionda immaginassimo una chioma nero corvina, sembrerebbe di parlare di lei, di Enza Bruno Bossio. Ormai da qualche tempo la stiamo accostando a Madame Fifì. Senza nessuna intenzione polemica, anzi, ma solo per fotografare in una sigla il suo carisma e “sintomatico mistero” come cantava Battiato.

La nostra narrazione dei potentati politici cosentini non può non scavare a fondo anche nei meandri della premiata ditta Nicola Adamo&Enza Bruno Bossio.

La circostanza, pertanto, ci è utile per ricostruire il suo percorso. La storia del saccheggio dell’informatica calabrese, a nostro modesto avviso, dovrebbe essere studiata sui libri di storia della Calabria. Perchè il filone dell’informatica è quello emblematico per capire la filosofia di governo dei nostri politici. Ne tracciamo una sommaria ricostruzione storica che comunque renderà l’idea di quale spreco di risorse pubbliche e avidità di potere abbia contrassegnato la nostra vergognosa classe dirigente.

Purtroppo non l’ha fatto nessuno e si rischia di non far rimanere memoria di questo disastro. Enza Bruno Bossio obietterà che questa storia l’abbiamo già raccontata. Ma, poichè quei giornali di carta sono finiti a incartare chissà che cosa, adesso è giusto che rimanga traccia di questo scempio anche sulla rete. Perchè quegli articoli in rete non ci sono mai finiti. E oggi finalmente ci finiscono. In questi articoli, per sgombrare il campo da equivoci, non si vogliono trovare le ipotesi di reato (che pure ci sarebbero) ma si vuole raccontare la storia di un saccheggio con tutte le annesse, gravissime, enormi responsabilità politiche. Che nessuno potrà mai cancellare. 

IL PIANO TELEMATICO CALABRIA

Siamo nel 1978. Nel periodo della legge 64 sul Mezzogiorno, che aveva avviato una serie di investimenti finalizzati alla ricerca. Il settore dell’informatica è decisamente carente anche in realtà importanti come l’Università della Calabria. Il sogno è quello di emulare la Silicon Valley americana. Lo concepisce proprio l’intellighenzia informatica nata intorno all’Unical. Ma le idee di partenza sono tutte del professore Sergio De Julio, un luminare della ricerca operativa. Quando gli dicono che può andare avanti chiama i migliori professori hi tech italiani tra i quali Domenico Saccà e importanti manager come Paolo Emilio Manacorda, top manager Finsiel, i quali portano a Rende le loro esperienze americane.

De Julio vuole avviare un centro di ricerca nel quale formare giovani laureati. Chiama docenti universitari di spessore per progettarlo, individuando i filoni più promettenti per il futuro. Ma anche per predisporre corsi di formazione di un certo rilievo. Ad Arcavacata c’erano tanti giovani laureati in Ingegneria, Matematica, Fisica e Chimica: si trattava di trasformarli in informatici. L’avventura del Crai (Consorzio per le ricerche e le applicazioni in informatica) parte così, con il supporto esterno dei migliori docenti universitari di Informatica del Paese. Il Crai si impone negli anni Ottanta nel mercato di ricerca informatica europeo approdando negli Usa con progetti innovativi nel mondo delle basi di dati. Intanto i ragazzi avevano bruciato le tappe e avevano creato un pool di professionalità che sarebbe potuto arrivare molto lontano.

De Julio pensa a un programma di sviluppo più ampio, da estendere a tutta la regione. Al Crai si affianca un altro progetto, in grado di aiutare la Calabria da un lato a dotarsi di una struttura informatica e dall’altro di far crescere aziende affinchè la Regione non dovesse dipendere dall’esterno in termini di ricercatori e programmatori informatici. Nel Crai aveva collaborato la Carical, che decide di condividere con l’Unical anche questa ulteriore fase ambiziosa del progetto. E’ questa la genesi del Piano Telematico Calabria. Una grande idea. Lo scrive Sergio De Julio insieme a Manacorda. Poteva essere un grande strumento di sviluppo.

Siamo nel 1988.

A posteriori sarà definito dal sindacalista Roberto Castagna “un vero e proprio crimine nei confronti della collettività calabrese”. Un investimento di 409 miliardi delle vecchie lire che, nelle dichiarazioni di intenti, doveva produrre almeno 500 posti di lavoro, nella realtà non ne ha prodotto neanche uno. Ma in compenso ha arricchito le lobby dei politici calabresi appartenenti a tutti i partiti. Da sinistra a destra.

Torniamo agli anni ‘80. Precisamente all’inizio del 1989.

Romano Prodi e Pierre Carniti appoggiano il progetto di De Julio e spingono il ministro del Mezzogiorno, il cosentino Riccardo Misasi, a renderlo operativo, facendolo entrare nelle provvidenze della legge 64. Scopo primario è quello di informatizzare il sistema istituzionale e regionale mentre l’obiettivo indotto punta a innovare il tessuto sociale introducendo nuove conoscenze. A quel tempo la Telecom si chiamava ancora Sip e rappresentava pertanto un monopolio vestito con i colori del parastato, che doveva rendere conto in primis alla politica. L’investimento, 409 miliardi, era comunque di proporzioni ciclopiche.

L’avvio è stato tra i più travagliati: contrasti politici, guerre tra il monopolista Sip e le aziende locali cui erano destinate le briciole, gelosie con il mondo accademico, che sperava di esercitare un controllo sulla gestione del progetto e così via. Ma ben presto i nostri politici rampanti hanno trovato il modo di mettersi d’accordo per spartirsi una torta così immensa. La parola d’ordine era: non siamo in grado di gestire i fondi, dobbiamo appoggiarci all’esterno. Nel giro di pochi mesi non ci fu neanche un partito pronto a confutare questa tesi.

La donna giusta per interpretare il ruolo di “collante” è Enza Bruno Bossio, giovane moglie dell’allora emergente Nicola Adamo.

ENZA BRUNO BOSSIO

Nata a Grimaldi nel 1957, la Bruno Bossio si rivela nel variegato mondo del femminismo e conquista un ruolo di primo piano nel Pci, nel quale viene “pilotata” dal suo primo compagno, l’ex deputato Franco Ambrogio. Ben presto Enza capisce che il futuro si giocherà nell’informatica e già nell’ottobre 1989 cavalca la tigre delle aspettative che si creano tra i giovani.Viene nominata infatti responsabile per la direzione del personale e delle attività di reclutamento dei laureati e diplomati per il Piano.

Nel 1990, superati i problemi politici, scatta il soggetto attuatore del Piano Telematico Calabria ovvero il Consorzio Telcal. Un consorzio misto, paradossalmente senza fini di lucro, partecipato per il 60% dalla Sip e per il 40% dalla Regione. La Bruno Bossio intanto è diventata responsabile della progettazione e del coordinamento dei corsi di formazione per i neolaureati selezionati dal neonato consorzio e ha conquistato ancora una volta un posto strategico per esaudire richieste.

Ma non solo: “fiutando” le potenzialità di Intersiel, nata dall’intesa tra la Carical e il gruppo Finsiel, antesignano dell’avvento di Telecom, del gruppo Iri, è anche responsabile del centro di formazione, creando le basi per il suo ingresso dalla porta principale in Telcal.In questa fase, denominata Telcal 1, il progetto è esclusivamente informatico, consumando un quarto dell’investimento per acquisire da fornitori leader pacchetti software applicati poi ad alcuni uffici regionali. Molti di quei format sono risultati inutili, poiché, anche in corso d’opera, i singoli assessorati non hanno rinunciato ad acquistare prodotti informatici a compartimento stagno, non collaborando o addirittura boicottando il committente, cioè se stesso… L’aspetto più clamoroso riguarda la rilevazione delle presenze dei dipendenti regionali attraverso il sistema elettronico di timbratura: un disastro! Soltanto due anni e sarà rottamato. Numerosi progetti tuttavia vengono messi ugualmente in cantiere e la loro esecuzione comporta esborsi per stati di avanzamento pari ad oltre 130 miliardi di vecchie lire.

Il professore De Julio cerca di convincere tutti che si sta commettendo un errore fatale. Dichiarerà testualmente: “Dovevamo tenere in mano il Piano Telcal. Stavamo andando bene con la ricerca, avremmo fatto lo stesso anche con il processo applicativo. Ma persi la battaglia e il Piano Telcal lo gestì la Finsiel, il più importante gruppo informatico nazionale, sotto l’egida della Sip. Un’idea nata e sviluppata in Calabria è stata regalata su un vassoio d’argento. Le finalità di sviluppo locali diventavano il business di un gruppo nazionale. Non riuscivo a darmi pace. Anche perché, nel giro di poco tempo, il Crai venne estromesso dalla gestione e dalle attività del Piano”.

La soppressione dell’intervento straordinario nel 1993 blocca le risorse e porta le società nel frattempo sorte a margine del Piano al fallimento o alla riconversione. Ma non è certo questo ostacolo che frena la politica. E così l’Agenzia per il Mezzogiorno prima e il Ministero dell’Università dopo versano nelle casse di Telcal qualcosa come 121 miliardi di vecchie lire che servono quasi unicamente ad arricchire manager e consulenti…

SECONDA FASEI tempi sono maturi per passare alla seconda fase, Telcal 2. Siamo nel 1996. La Sip intanto si è trasformata in Telecom e il Piano da progetto informatico diventa telematico tout court, considerando anche l’esplosione di internet. Il Consorzio Telcal, di conseguenza, cambia pelle. Telecom assume il 24% così come Intersiel, Italeco il 12%. La Regione sempre il 40%.

Nel giugno 1997 la moglie di Nicola Adamo diventa direttore generale del Consorzio Telcal e piazza alla presidenza il suo amico Nicola Barone. Vengono redatti ben 11 sub progetti con spreco di consulenze faraoniche e proclami sulla stampa. E’ l’inizio della fine. Anche per quei pochi addetti che avevano trovato un mezzo lavoro. Precisamente 64 agenti di sviluppo. Alla fine della formazione gli agenti vengono assunti tramite un’agenzia di lavoro interinale e messi sotto contratto dall’Intersiel. Nel 2000 vengono aggiunte altre figure professionali che portano il totale degli addetti a 206.

La voracità del partner privato e l’inerzia di quello pubblico chiudono il cerchio di una vicenda che sarà consegnata alla storia con una sola parola: SPRECO!!!

Il 31 dicembre 2002 cade la saracinesca sul Piano Telcal. Il socio privato incassa insalutato ospite, il socio pubblico svuota gli oggetti tra il cestino e il marginale. E i lavoratori? Dopo un accordo tra sindacati e Regione, viene proposto loro di rassegnare le dimissioni per poi farsi assumere da una società denominata, indovinate un po’, Why Not, con contratto a tempo determinato, per 36 mesi, nei comparti multiservizi, con una sostanziale dequalificazione e la riduzione dello stipendio. La maggioranza accetta. Nell’agosto 2003 i lavoratori vengono coinvolti nel progetto Ipnosi e ripartiti presso vari enti locali. Il contratto viene ridotto da 36 a 24 mesi e poi a 12. Dal settembre 2004 gli agenti di sviluppo ex Telcal sono senza lavoro.

Sergio De Julio commenterà: “I politici sono sempre gli stessi… Utilizzano i fondi pubblici per sistemare persone e gestire commesse. Hanno svuotato qualcosa di grande come il Piano Telematico Calabria e l’hanno portato alla chiusura in cinque anni, sprecando miliardi e miliardi. Volete saperne di più? Oggi curo uno spin-off di informatica a Rende e per ottenere finanziamenti devo andare in banca. La prima cosa che mi chiedono è se sono associato al Piano Telcal. E mentre me lo dicono mi guardano anche male… Paghiamo tutti un prezzo esagerato per quello che hanno saccheggiato in questi anni. La classe politica ha gettato discredito su tutta l’imprenditoria legata all’informatica”.

In estrema sintesi: il Piano Telcal si è mosso come una grande Ferrari che non riesce neanche ad uscire dai box, scarica molte energie, consuma molto denaro ma non produce nessun risultato concreto. A parte gli interessi dei politici e dei manager che l’hanno gestito scelleratamente. Ed Enza Bruno Bossio? La ritroveremo prestissimo.

1 – (continua)