Lettere a Iacchite’: “Cosenza, mascherine e regole sono inutili: riapriamo subito ristoranti e teatri”

Se non fosse per quelle stupide mascherine che indossiamo quello di ieri sera sembrava, come dice Sergio Caputo nella sua famosa canzone, un sabato qualunque, un sabato italiano. Gente in strada, piazze affollate e traffico da lunedì mattina. E il pensiero ritorna alla famosa canzone di Caputo: a vedere tutto questo pullulare di vita pare che “il peggio sembra essere passato”. Ma è così? Siamo davvero fuori pericolo?

Per i cosentini pare di sì. Siamo fuori pericolo. E lo si capisce dagli assembramenti. Le regole sono saltate e la distanza sociale non se la fila nessuno. Ognuno è ritornato nella propria “comitiva” con gli atteggiamenti e i comportamenti di sempre. I bar e diversi “pub” del centro sono ritornati “attivi”: distribuiscono bevande e panini agli avventori in fila che consumano “per strada”. I tavolini sono ricomparsi e le “villette” sono tornate ad essere luoghi d ritrovo. Persino il sindaco Mario Occhiuto, e il fratello Roberto ieri sera hanno partecipato alla movida con un bell’assembramento davanti al loro bar preferito, all’ora dell’aperitivo. Un capannello ‘nguttu di amici che discutevano del più e del meno, in barba alla distanza sociale e alle precauzione sanitarie.

Quella che ho visto ieri sera era la Cosenza di sempre. La Cosenza dei giovani e della voglia di vivere dopo mesi di arresti domiciliari. La Cosenza di chi non rinuncia alla passeggiata sul corso e all’aperitivo. La Cosenza che si ritrova nella traversa preferita. La Cosenza che non vuole rinunciare alla pizza del sabato sera o alla cena nel ristorante preferito con gli amici. Insomma una Cosenza che è ritornata a vivere senza più “curarsi” di rispettare alla lettera tutte le precauzioni sanitarie anti contagio che evidentemente riteniamo oramai inutili. Servono solo a ricordaci quello che tutti vogliamo dimenticare.

Ma una cosa mancava nella normalità del “sabato qualunque” cosentino: mancavano i “ristoranti”.

I più penalizzati di tutti. In tanti non sono riusciti a riaprire perché lo spazio a loro disposizione non gli consente di mantenere lo stesso numeri di coperti, che significa una potenziale perdita del 50% delle entrate. Se hai 10 tavoli, e applichi al tuo locale, cosi come stabilito, la distanza sociale, i tavoli diventano 5, che vuol dire metà clienti. E per tanti questo significa che le entrate non possono più sostenere i costi di gestione, che restano gli stessi di prima del covid-19, dell’attività. Riesce a farcela solo chi può “usufruire” di ampi spazi esterni e di ampi locali interni.

A questo punto, visto che siamo tutti tranquilli, o almeno così pare, finiamola con questa buffonata delle regole, e riapriamo tutto come prima. Non è possibile che al lavoro facciamo come ci pare, la sera facciamo come ci pare, ma quando andiamo al ristorante sembra che dobbiamo entrare nei laboratori della Nasa. Una cosa senza senso che è sotto gli occhi di tutti, anche di chi dovrebbe controllare e non lo fa.

Siamo ad una settimana dall’avvio della fase due, che tutti abbiamo trasformato nella fase: fine della storia, vogliamo, virus o non virus, ritornare alla vita di sempre. E allora se così è, perché penalizzare solo questa categoria che da noi occupa un ruolo importante nell’economia cittadina? Potremmo essere i primi nel mondo che, anticipando i tempi, insegnano agli altri come si convive col virus. Che è cosa che già facciamo. Basta renderla solo ufficiale.

Smettiamola allora con questa buffonata della mascherina, e pretendiamo la riapertura della nostra cucina preferita. Anche perché a noi cosentini ci piacciono le tavolate. Non ne possiamo fare  a meno. Amiamo mangiare in compagnia. E a tavulata fa parte del nostro patrimonio genetico. E se fino a mo’ ci abbiamo rinunciato, lo abbiamo fatto solo per senso civico. Ma ora basta, se non c’è pericolo, perché continuare a vietarle? Tanto, se non possono farla nel nostro ristorante preferito, i cosentini si organizzano diversamente: nelle case, nelle villette, per strada, e in ogni dove. Tutti convinti di farla ara mmucciuna. Ma tutti sannu che: ammuccia ammuccia ca para tuttu. Basta con questa ipocrisia generale!

Del resto a Cosenza si dice: addui c’è panza (che deriva dalla nostra buona cucina, e dalle tante tavolate) c’è crianza! E le buone maniere in tutta questa stramba situazione, senza né capo né coda, dove non esiste più un briciolo di controllo, senza nessuna linea guida precisa e uguale per tutti da seguire, rischiamo veramente di perderle.

Se invece così non è, chi di dovere ristabilisca subito i controlli onde evitare i sopracitati assembramenti.

Grazie a Iacchite’

Un amico della buona cucina e dei ristoratori/pizzaioli di Cosenza.

P.S. Oltre ai ristoranti mancava anche il cinema e il teatro.  Anche per queste attività vale il mio personale pensiero appena espresso. Riapriamo tutto.