Lo schiaffo degli insaziabili (di Gian Antonio Stella)

di Gian Antonio Stella

Fonte: Corriere della Sera

Neanche l’immenso onorevole diccì Giovanni Alterio, che un giorno si mangiò alla buvette 24 panini e 5 crocchette di riso innaffiati da bottiglie d’acqua e limonata, era mai stato così ingordo. Come hanno osato cinque parlamentari, nei giorni più difficili della pandemia, chiedere (loro!) il bonus di 600 euro? Una schifezza. Da trattare col sarcastico dono che il verde Stefano Apuzzo riservò allora a quel deputato insaziabile: «Un sacchetto di ghiande per placare il vorace appetito». Ma c’è di più: a fare la domanda sarebbero stati anche circa duemila politici locali.

Va da sé: è scoppiato un putiferio. E parallelamente un coro di censure. Da Nicola Zingaretti («Posso dire solo che è una vergogna?») a Giorgia Meloni («Una brutta storia di deputati avidi e governo incompetente sulla quale pretendiamo massima chiarezza»), da Roberto Fico («Questi deputati chiedano scusa e restituiscano quanto percepito. È una questione di dignità e di opportunità. Perché, in quanto rappresentanti del popolo, abbiamo degli obblighi morali, al di là di quelli giuridici») a Teresa Bellanova («Chiunque siano, a qualunque partito e schieramento appartengono, se hanno un minimo di dignità possono fare solo una cosa per sanare questa brutta vicenda: dimettersi»), da Mariastella Gelmini («Quei fondi erano per persone in grave difficoltà, chi ne ha approfittato dovrebbe immediatamente autodenunciarsi e restituire subito i soldi») a Luigi Di Maio («È davvero indecente. I nomi sono coperti dalla legge sulla privacy. Bene, siano loro allora ad avere il coraggio di uscire allo scoperto») a tanti e tanti altri.

Tutti scandalizzati. Per non dire di Matteo Salvini: «Che un parlamentare chieda i 600 euro destinati alle partite Iva in difficoltà è una vergogna. Che un decreto del governo lo permetta è una vergogna. Che l’Inps (che non ha ancora pagato la cassa integrazione a migliaia di lavoratori) abbia dato quei soldi è una vergogna. In qualunque Paese al mondo, tutti costoro si dimetterebbero».

Cesello finale: «Chiunque siano, immediata sospensione». Dove il «chiunque siano» dice tutto: tre parlamentari su cinque (gli altri due coperti da un’idea insensata della privacy pare appartengano al Movimento 5 Stelle e ad Italia viva) sarebbero infatti della Lega. Una legnata in più, in caso di conferma, a poco più di un mese dalle elezioni regionali, sulla groppa di un partito già inguaiato per il riaccendersi delle polemiche interne sui 49 milioni di euro da risarcire e lo scandalo sulle forniture alla regione Lombardia da parte dell’impresa proprietà della moglie e del cognato del governatore Attilio Fontana.

Sia chiaro: non è la prima volta, e probabilmente non sarà l’ultima, che la politica sia accusata di insaziabilità. Basti ricordare il caso di Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita del quale Filippo Ceccarelli nel libro Invano racconta che, «posseduto da un demone ingordo e spendaccione» per un totale di tredici milioni, non resisteva agli «spaghetti con il caviale presso uno dei migliori ristoranti della città politica, Carmelo alla Rosetta: raccontavano i camerieri che al momento di scolare e condire la pasta, Lusi si recava in cucina e qui, come in un rito solenne, con una bilancina misurava la quantità di caviale. Comunque erano 180 euro a piatto».

Per non dire di tante inchieste sui rimborsi elettorali nei quali ci fu chi infilò di tutto: dalla bottiglia di vino da 112 euro al materasso ad acqua, dalla parrucchiera ai sensori elettronici per l’auto della moglie o del cugino. Quello che più offende, questa volta, e solleva una nuova ondata di indignazione, è la piccineria taccagna e miserabile di chi si è precipitato a raschiare quei 600 euro, di fatto sottratti a chi ne aveva più bisogno, in un momento tragico per il Paese.

Quello della spaventosa conta quotidiana di morti, degli appelli a tutto il mondo per trovare respiratori per quanti si spegnevano affamati d’ossigeno, delle sale di rianimazione stracolme, dei medici che se ne andavano a due, tre, quattro al giorno, dei camion militari che partivano appena faceva buio per portare centinaia di bare verso cimiteri lontani per la cremazione… Nulla può giustificare l’avidità di chi in momenti come quelli ha fatto il furbo.

Tanto più che, stando alle rivelazioni che sgocciolano tra l’imbarazzo e la collera dai vertici e dagli ispettori dell’Inps, dicevamo, sarebbero in totale un paio di migliaia i politici nazionali, regionali, comunali, ad aver cercato di avere una fetta di quella torta. Su tutti, imperdonabili, quei cinque anonimi segnalati dalla struttura di Pasquale Tridico, il presidente dell’istituto di previdenza che il 20 aprile aveva parlato di «4,4 milioni di domande per il bonus da 600 euro» dei quali «pagati 3,5 milioni».

A maggior ragione perché l’accusa ai cinque parlamentari è stata giustamente accompagnata dal confronto con i redditi mediamente percepiti da deputati e senatori: «uno stipendio netto da 12.439 euro». Numeri ricavati dai siti ufficiali di Montecitorio e Palazzo Madama. Che, come ha ricordato recentemente truenumbers.it , certificano come un parlamentare «può arrivare a guadagnare oltre 17.625 euro lordi al mese se è senatore e o 18.735 euro lordi se è deputato».

Il tutto a dispetto della stizzita comunicazione ufficiale con cui l’ufficio stampa del Parlamento il 3 gennaio 2012, otto anni fa, rispondeva non ai «soliti giornalisti criticoni» ma al rapporto della Commissione che, guidata da Enrico Giovannini, aveva comparato stipendi, diarie e indennità dei parlamentari europei con quelli di deputati e senatori nostrani: le indennità «sono pari mediamente a 5.000 euro. La cifra di 11.283,28 euro mensili è riferita infatti al lordo. Il netto risulta inferiore rispetto a quello percepito dai componenti di altri Parlamenti presi a riferimento».

Certo, cinquemila senza tutte le altre voci. Chiarì tutto, nel giugno di due anni dopo, una comparsata al programma «L’aria che tira» di Giancarlo Galan, deciso a dimostrare, a dispetto delle polemiche e delle tesi dei magistrati che l’avevano incastrato per il Mose, di esser in grado benissimo di pagare il mutuo stratosferico della villa in cui viveva. Mostrò a Myrta Merlino la sua busta paga: «Tanto a questo punto è meglio essere considerato “casta” che non ladro». Fatti i conti, con la «diaria parte variabile, diaria parte fissa, rimborso forfettario, rimborso spese accessorie, rimborso semestrale, spese telefoniche, rimborso spese esercizio mandato» si arrivava «a 18 mila euro». Prova provata che i famosi tagli radicali sono nel tempo evaporati…