Giacomo Mancini, il grande statista cosentino

FOTO DI ERCOLE SCORZA

8 aprile 2002-8 aprile 2022. A vent’anni dalla sua morte, Cosenza non ha mai dimenticato il suo sindaco, Giacomo Mancini, specialmente in questo squallido decennio nero, il più buio di tutti i tempi nella storia di Cosenza, nel corso del quale un viscido impostore, truffatore conclamato e prescritto, ha messo in ginocchio la città facendole conoscere per la prima volta l’onta del fallimento e del dissesto. E che ora ha “incoronato” il prestanome di un altro losco personaggio della politica cosentina e calabrese e alla sua terribile consorte. La stragrande maggioranza dei cosentini oggi si rifugia nel ricordo del Vecchio Leone per non vedere la vergogna nella quale è sprofondata la città. Tratteggiamo, di seguito, un profilo di Giacomo Mancini, l’unico e grande statista cosentino. 

GIACOMO MANCINI, IL GRANDE STATISTA COSENTINO

Giacomo Mancini

Dalla fine del secondo conflitto mondiale alla fine degli anni cinquanta, si è assistito al fenomeno più traumatico che la città abbia potuto conoscere dalle sue origini dal punto di vista urbanistico: lo spopolamento del centro storico e la nascita di una nuova Cosenza di là dei fiumi.

Negli anni del boom economico (decennio ’51-’61) Cosenza riprese vitalità come in ogni altra parte d’Italia; furono costruiti 29.133 vani senza però alcuna regolamentazione edilizia. La speculazione edilizia richiama in città latifondisti e famiglie della borghesia terriera provenienti dalla provincia. Famiglie forti, piccoli e medi proprietari di suoli grazie alla rendita edilizia modificano totalmente il loro tenore di vita, facendo scomparire o quasi il ceto agricolo.

Serve, di conseguenza, manodopera e Cosenza vecchia è più popolata che mai dalle famiglie degli operai provenienti dalla cintura rurale. Nasce così soprattutto nella città vecchia, una contaminazione che porterà al ceto sociale della Cosenza di oggi.

La Dc governa con la quasi maggioranza assoluta in tutto il paese e a Cosenza la storia si ripeteva, in quanto l’opposizione di sinistra veniva condotta sempre da un Mancini, Giacomo, figlio di Pietro.

Questi sotto lo pseudonimo di Gino Verità su La Parola Socialista inizia a pubblicare una serie di articoli contro gli esponenti del potere di allora che suscitano grosse polemiche nella Dc cosentina. Intanto nelle elezioni politiche del ’58, grazie all’appoggio dell’azione cattolica, emergeva e veniva eletto parlamentare l’alterego a Giacomo Mancini, Riccardo Misasi.

GIACOMO MANCINI

E’ nell’immediato dopoguerra che si affaccia al panorama politico Giacomo Mancini, figlio di Pietro, nato a Cosenza il 21 aprile del 1916. Senza alcun dubbio lo statista di maggiore spessore che abbia mai espresso in tutti i tempi la Calabria e la città di Cosenza.

Dopo la laurea in Giurisprudenza a Torino e la fine del conflitto, nel 1946 è già segretario della federazione socialista di Cosenza.

“… Privo della facondia oratoria del padre, manifesta subito uno spiccato pragmatismo, con una particolare attenzione agli aspetti pratici e organizzativi della lotta politica: tratti che lo avrebbero accompagnato nel corso di tutta la sua carriera. Ne deriva che, immerso nelle lotte contadine e venuto a contatto con le terribili condizioni di vita delle plebi del Sud, Mancini sviluppa una spiccata sensibilità verso la questione meridionale, cui sarebbe rimasto fedele tutta la vita…”.

(Paolo Mattera, Enciclopedia Treccani)

Si appassiona alla lotta per le occupazioni delle terre e si schiera senza esitazioni a favore della politica unitaria delle sinistre e del patto d’unità d’azione PCI – PSIUP.

“… Proprio la questione dell’alleanza con il PCI stava però lacerando irrimediabilmente il PSIUP, fino alla scissione consumata nel gennaio 1947 al congresso di Roma. Qui Mancini si schiera con la sinistra guidata da Pietro Nenni: una scelta che gli vale il salto sul proscenio della politica nazionale, con la nomina, a soli trent’anni, nella direzione del partito (dopo la scissione socialdemocratica denominato PSI: Partito socialista italiano) Si candida quindi alla Camera nelle liste del Fronte popolare ed è eletto deputato il 18 aprile 1948.

Dal momento che gli anni Cinquanta furono caratterizzati in Calabria dalla riforma agraria, dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e dalla legge speciale “pro-Calabria”, Mancini si impegna a scrutarne con accanimento l’applicazione, denunciando ritardi, carenze e abusi, segnalando le degenerazioni della spesa pubblica, scrivendo cospicui dossier, poi oggetto di campagne di stampa e interventi parlamentari. Un impegno che gli frutta la rielezione, nel 1953, e il rapido ritorno negli organi nazionali del partito, il comitato centrale e la direzione…”.

(Paolo Mattera, Enciclopedia Treccani)

MANCINI MINISTRO DELLA SANITA’

Pietro Nenni prende in mano la guida del PSI e si muove con decisione in direzione dell’ingresso nel governo in alleanza con la DC. Nasce il centrosinistra.

Varato, alla fine del 1963, il governo di centrosinistra con l’esecutivo Moro-Nenni, Mancini, che tanta parte aveva avuto nel condurre in porto questa linea, vede aprirsi una nuova stagione quale uomo di governo: il primo incarico è quello di ministro della Sanità.

Mancini si distingue subito per un provvedimento di grande impatto e popolarità: la vaccinazione antipolio di massa, con il nuovo e più efficace metodo Sabin. Molte furono le resistenze, sia del corpo medico (che si vedeva caricato di un gravosissimo compito), sia, ancor più, delle industrie farmaceutiche (che avevano accumulato cospicue scorte dell’altro vaccino, il Salk).

Mancini agisce quindi con fermezza e determinazione, minacciando sanzioni in caso di inadempienza e accompagnando l’iniziativa con una massiccia campagna di informazione; sicché la vaccinazione, iniziata il 1° marzo 1964, fu completata nel giro di pochi mesi.

Giacomo Mancini e donna Vittoria Vocaturo
Giacomo Mancini e donna Vittoria Vocaturo

MANCINI MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI: LA LEGGE PONTE

Nel secondo e terzo governo Moro-Nenni, Mancini diventa ministro dei Lavori pubblici.

L’incarico era di grande rilievo in una fase di impetuoso sviluppo economico e di dilagante abusivismo edilizio.

La “prova del fuoco” si materializza nell’estate del 1966, in occasione della frana verificatasi ad Agrigento, dove quartieri costruiti su terreni dichiarati inagibili, e in violazione delle norme edilizie, franano a valle, gettando sul lastrico intere famiglie. Mancini nel Consiglio dei ministri propone sanzioni drastiche: sospensione dei funzionari responsabili, riesame delle autorizzazioni edilizie, blocco dei lavori che non rispettavano le norme.

La frana di Agrigento poteva diventare l’occasione per introdurre nuove regole nel settore urbanistico e ridurre gli ampi spazi fino ad allora lasciati all’abusivismo edilizio.

Consapevole di non disporre di tempi tecnici per poter varare una riforma organica della legge urbanistica del 1942, Mancini porta in Parlamento un disegno di legge che, facendo da “ponte” all’auspicata riforma urbanistica, introduceva nella normativa in vigore una serie di disposizioni all’avanguardia (repressione dell’abusivismo, standard urbanistici, obbligatorietà dei piani urbanistici, eccetera).

Nasce così la legge 6 agosto 1967 n. 765, detta “legge-ponte”. Essa è il risultato della tenacia di Giacomo Mancini contro le resistenze di numerosi settori della Democrazia Cristiana. Per la prima volta concedeva agli enti locali la possibilità di dotarsi di strumenti di regolazione e pianificazione urbana. E poi il freno imposto alla cementificazione dell’Appia Antica a Roma e i massicci investimenti nelle regioni del Sud, soprattutto in Calabria.

“… Mancini puntava, di fatto, a valorizzare il ministero dei Lavori pubblici come volano dello sviluppo economico e intendeva perciò utilizzare “le leve di potere dello Stato in funzione di un intervento diffuso sul territorio” per liberare un nuovo flusso di investimenti pubblici da dirigere soprattutto verso il Meridione. Qui si trattava di sostituire il vecchio “rapporto clientelare personalizzato e fondato sulla concessione di un piccolo impiego” con nuove reti “di relazioni più complesse e anonime, dotate di un valore economico di gran lunga accresciuto e connesse a una prospettiva di sviluppo” complessivo dell’economia”.  (Vittorio Cappelli)

L’AUTOSTRADA DI GIACOMO MANCINI

Ma c’è un’opera per la quale Giacomo Mancini sarà ricordato anche sui libri di storia: l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. Che per tutti è l’autostrada «di Giacomo Mancini», colui che riesce a far accantonare il tracciato tirrenico della Salerno-Reggio Calabria a favore dell’entroterra, cioè della sua Cosenza.

Concepita dalla legge 729 nel 1961, è affidata all’Anas. Il costo complessivo previsto è di 180 miliardi di lire e si decide che sulla Salerno-Reggio Calabria – come “risarcimento ideale” ai meridionali e incentivo alla mobilità – si sarebbe viaggiato gratis.

I lavori per costruire l’autostrada Salerno-Reggio Calabria iniziano nel 1964.

Il percorso lo sceglie la politica. Giacomo Mancini e Riccardo Misasi, per proteggere Cosenza, obbligano l’Anas a optare per la via interna al posto delle due costiere, quella ionica o quella tirrenica. Il problema che la via interna impone è il superamento della catena montuosa della Sila. Si tratta di 40 km in più, di cui più della metà in galleria, che fanno lievitare il costo dell’opera.

Se Mancini non fosse intervenuto, Cosenza sarebbe rimasta tagliata per sempre fuori  dallo sviluppo dei collegamenti viari.

Non sono state tutte rose e fiori, però. Il 1971 è l’anno del primo grande scandalo. Mancini, già presidente dell’Anas (dal 1964 al 1968) viene accusato insieme ad alcuni funzionari di aver truccato gli appalti. Il periodico fascista “Il Candido” apre una campagna denigratoria contro Mancini, che comunque esce dalla vicenda senza nessuna conseguenza giudiziaria.

Nel 1974 inaugurazione con un costo complessivo di 368 miliardi, il doppio del preventivo iniziale.

MANCINI SEGRETARIO DEL PARTITO SOCIALISTA

“… In questi anni Sessanta la popolarità di Giacomo Mancini aumenta notevolmente. Si accredita in particolare come “ministro più efficiente del centrosinistra” e vede crescere la propria statura politica: “da notabile” è ormai “diventato leader”. Nel 1968 sul piano locale Mancini, che conduce una campagna elettorale molto incisiva e moderna, consegue una notevole vittoria. In Calabria il PSI raggiunge il 17,8% (contro il 14% nazionale), a Cosenza divenne il secondo partito dopo la DC col 22,9% e Mancini risulta il candidato col maggior numero di preferenze: oltre 109.000.

Si mette così in moto un processo duplice: da un lato lo sfaldamento del PSI, che si scioglie nel 1969 con l’uscita dei socialdemocratici, dall’altro l’ulteriore ascesa come leader nazionale di Mancini, eletto vicesegretario unico di Francesco De Martino nel rifondato PSI; quando De Martino entra nel governo Rumor, Mancini, nel 1970, viene eletto con voto unanime segretario del PSI.

A Reggio Calabria nel luglio 1970 scoppia la rivolta che, originata dalla scelta di Catanzaro come capoluogo di regione e guidata da esponenti neofascisti, aveva tra i suoi principali bersagli polemici proprio Mancini. Intanto, però, la campagna denigratoria del Candido viene raccolta da altri organi di stampa e assume toni di grande veemenza e finisce inevitabilmente per deteriorare l’immagine di Mancini.

Quando l’8-9 maggio 1972 si svolsero le nuove elezioni politiche, il PSI arretrò rispetto al 1963, fermandosi al 9%; e in Calabria Mancini vide crollare le preferenze personali da 109.000 a 64.000. Al successivo congresso del partito, nel novembre 1972 a Genova, è sconfitto e la segreteria passa a De Martino. Mancini non sarebbe più tornato neppure al governo, con l’eccezione della breve parentesi come ministro per il Mezzogiorno nel governo Rumor del 1974…”.

(Paolo Mattera, Enciclopedia Treccani)

Si apre un lungo periodo di contrapposizione al partito anche se viene ancora eletto deputato fino alle elezioni del 1992, quando non passa.

Nel 1993 diventa sindaco di Cosenza e rimarrà con la fascia tricolore fino al momento della sua morte, l’8 aprile del 2002.