Mafia-stato e Calabria. Il 41 bis di don Peppino Piromalli e il “clan Mastella”

Continuiamo a pubblicare gli stralci del libro-inchiesta sulla ‘ndrangheta “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta” di Francesco Forgione. Dall’omicidio di Salvatore Pellegrino, detto uomo mitra, gli inquirenti hanno scoperto attraverso le intercettazioni cose incredibili sulla famiglia Piromalli… Nel 1975 l’allora ministro del Bilancio Giulio Andreotti è presente a Gioia Tauro per la posa della prima pietra del V Centro Siderurgico che non vedrà mai la luce ma soprattutto per dare un “riconoscimento ufficiale” ai Piromalli e insieme a lui c’è un personaggio incredibile, Aldo Miccichè, scomparso poco più di due anni fa, il cui percorso è a dir poco rocambolesco e porta direttamente alla politica e al rapporto perverso mafia-stato. A Miccichè è stata commissionata una missione quasi impossibile dalla famiglia Piromalli della quale è diretta espressione: far togliere il carcere duro a don Peppino. E zio Aldo si mette al lavoro per cercare il ministro ma non sarà una passeggiata. 

Se non ci fosse il prefisso internazionale delle telefonate in partenza, si potrebbe pensare al telefono di un ufficio romano. Una delle tante segreterie politiche che si trovano tra il Ministero di via Arenula e Piazza del Parlamento. Dall’altro capo del filo, interlocutori di tutto rispetto Francesco Borgomeo, capo della segreteria del ministro della Giustizia, Adriana Zerbetto, segretaria particolare, Antonella Apollo, stretta collaboratrice al ministero. E naturalmente il ministro, Clemente Mastella.

Nonostante manchi dall’Italia da quasi vent’anni, questi sono i rapporti che Aldo Miccichè, fuggitivo, latitante o “esiliato” all’estero che dir si voglia, riesce a mantenere. Il governo in carica è di centrosinistra. Dentro ci sono pure gli ex comunisti e i comunisti, che dell’antimafia ne hanno sempre fatto una bandiera. Si sono presi pure la presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta. Ma figuriamoci se questo preoccupa i signori della Piana. Come direbbero i siciliani, niente ci fa!

Il ministro è un amico, come si chiamano tra democristiani. Lui e Aldo sono stati una vita nello stesso partito. Anzi, sono gli altri, i comunisti, che sono cambiati, pure il nome nuovo si sono fatti. Loro, democristiani erano e democristiani sono rimasti. Aldo diventa ossessivo, chiama ripetutamente il ministero, si intrattiene a lungo con uomini e donne del guardasigilli. Ma i tempi sono difficili. Sospendere un 41 bis, con l’aria che tira e con il governo sempre più debole, è un’impresa complicata.

In quei giorni anche lui, Mastella, è al centro di polemiche infuocate per via dell’inchiesta di un magistrato di Catanzaro, Luigi De Magistris, che lo coinvolge direttamente. Giornali e dibattiti televisivi non parlano d’altro. Il guardasigilli è sotto assedio. A Napoli la procura della Repubblica ha aperto un’altra inchiesta. E dentro c’è finita la moglie, che non solo fa politica nel partito del marito, l’Udeur, ma è stata pure eletta presidente del Consiglio regionale dagli ex comunisti, guidati dal presidente della Campania Antonio Bassolino. Dal Tribunale di Napoli ogni giorno escono intercettazioni e notizie riservate. Alla fine l’hanno messa agli arresti domiciliari. E con lei pure il suocero del figlio, un imprenditore un poco spericolato. E meno male che il marito è il ministro della Giustizia!

Aldo, ogni due per tre è costretto a spiegare al figlio del boss i passi fatti e gli ostacoli incontrati per tentare di alleviare le pene del padre: “Ho parlato con quella persona per motivi connessi al senatore Colombo, che è mio compare… mi ha detto che ha dato disposizioni a Borgomeo e alla segretaria… però dice che in questo momento sta succedendo un casino della madonna per i provvedimenti particolari… soprattutto perché dice che uno delle Brigate Rosse non so che cazzo ha fatto… ha assaltato una banca… aveva tre ergastoli e l’avevano messo fuori… Comunque vediamo se passa ‘sta bufera e loro, come avevano promesso, a dicembre fanno qualcosa“. Aldo ce la sta mettendo tutta. Sta sfogliando tutti i numeri utili della sua vecchia rubrica. Tanto, anche se cambiano i governi, gli agganci per le cose dei magistrati ce li hanno sempre le stesse persone.

Il clima politico in Italia è quello che Aldo descrive da Caracas. L’aria che tira per la famiglia non è buona. La polemica sui magistrati che concedono permessi facili è infuocata. La stampa, soprattutto quella di una parte della sinistra, tiene i fucili puntati. Già non aveva digerito l’indulto voluto dal suo governo, benedetto dal Papa e approvato dal Parlamento. Della gestione del 41 bis e di alcune scarcerazioni forse un po’ alla leggera se ne occupa anche la Commissione parlamentare antimafia. E per la prima volta a guidarla è pure un calabrese. Ricordo che toccò proprio a me, nel ruolo di presidente, convocare una seduta con all’ordine del giorno l’audizione del ministro per affrontare anche la questione del 41 bis.

Insomma, Mastella era accerchiato dai magistrati e il clima politico non era dei migliori. Figuriamoci se si poteva fare un favore non a un criminale qualsiasi, magari ammalato, o “dichiarato” ammalato con tanto di cartella clinica truccata, come ogni tanto succede, ma al capo in carica dei Piromalli. Il ministro non può muoversi. O decide di non muoversi.

Tutto è fermo e dicembre si avvicina. il 25 novembre del 2007 tocca di nuovo ad Aldo sfogarsi con Antonio Piromalli: “‘Sto cazzo di ministro… ‘sto povero disgraziato non sa come muoversi, non sa se è un ministro, non sa se lo sentono, non sa se sta dentro o se sta fuori, è ricattato in qualsiasi momento… ha paura di parlare al telefono… ha paura se devono mandargli una mail…cambiano un fax al giorno… ha fatto quello che doveva fare e mi ha messo in contatto con chi di dovere… mi sono spiegato? Con Francesco Borgomeo, con Adriana Zerbetto, con la direttrice generale… i quali si muovono su  un terreno minato… mi hanno chiesto delle cose e io gliel’ho fatte”… Ora ti dirò una cosa che ti farò tremare i polsi… se il ministro mi chiede di fare un intervento su un giudice… mi segui? e io lo faccio e ci aggiusto le cose… mi domando e dico, che cazzo stai a fare il ministro tu… non so se mi sono spiegato!…

“… Ma ti sei accorto di cosa sta succedendo? Basta il fatto di Catanzaro per vedere come è messo questo disgraziato… se gli controllano anche il cellulare che cosa vuoi di più… io ce l’ho il cellulare suo… come si comunica con ‘sta gente ora? … e poi non si sa se resta questo governo, se lui resta ministro, se lui fa la crisi o non fa la crisi di governo… se si va a votare o non si va a votare…”.

La rete di rapporti di Aldo Miccichè è tutta interna al mondo della Democrazia cristiana che fu, ma anche a quella parte traghettata con altri nomi e altri simboli nella seconda Repubblica. Al vecchio politico ormai è chiaro che quella di Mastella è strada che non spunta. “‘Sto cazzo di ministro non si può muovere in nessun modo. Devo fare un’altra via perché è già quasi arrivato il giorno. Sennò siamo fottuti”. Deve solo sfogliare la rubrica, trovare i numeri e aggiungere il prefisso internazionale. Comincia così un altro giro di telefonate.