Mafia-stato e Calabria. Ciccio Mollace, Alberto Cisterna e il clan Lo Giudice

Francesco Mollace

Siamo quasi arrivati alla fine del lungo percorso disegnato dall’ex presidente della Commissione antimafia Francesco Forgione nel suo libro-inchiesta “Porto Franco”, che purtroppo ha trovato scarsa diffusione (se non nulla) a Reggio Calabria. La corruzione della magistratura raccontata da Forgione otto anni fa nella sua opera non solo non è stata mai “affrontata” ma è sempre stata nascosta, molti episodi imbarazzanti sono stati rimossi, per non parlare delle parentele. Con il racconto siamo arrivati al 2010, quando nel breve volgere di qualche mese si consumarono una serie di attentati contro la Procura generale di Reggio e contro l’abitazione del procuratore generale Di Landro. Li aveva progettati e portati a termine il clan Lo Giudice, che con i magistrati corrotti era da tempo “culo e camicia”. 

Nino Lo Giudice, il Nano, parla anche di altri amici, quelli che più avrebbero deluso lui e Luciano. Sono loro che li hanno fatti incazzare. I nomi sono di quelli che fanno clamore, perché sono due magistrati conosciuti a Reggio e nel resto del Paese: Francesco Mollace, che è stato pubblico ministero e dopo l’arrivo di Pignatone si è trasferito alla Procura generale, e Alberto Cisterna, che da molti anni lavora alla Direzione nazionale antimafia ed è il numero due del procuratore nazionale Pietro Grasso.

La conoscenza e poi l’amicizia con i boss sarebbe nata dal rapporto comune con Nino Spanò, un altro imprenditore che gestisce un grosso cantiere nautico e ha un pontile per l’ormeggio e il rimessaggio di natanti, dove anche i due magistrati hanno tenuto ormeggiate le loro barche. In realtà Spanò è un prestanome di Luciano Lo Giudice. Ce n’è quanto basta per fare scoppiare una bomba giudiziaria.

Alberto Cisterna

Mollace si è trovato più di una volta al centro di polemiche e scontri all’interno del Palazzo di giustizia. Il suo nome colpisce ma, pensando ai veleni del passato, non crea meraviglia.

Diverso e più forte è lo stupore per Alberto Cisterna, un magistrato colto e stimato, sempre ascoltato nelle audizioni della Commissione antimafia e in quelle di Camera e Senato, ha fatto parte della commissione ministeriale per l’applicazione del 41 bis ed è componente del consiglio d’amministrazione dell’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati. I giornalisti gli parlano ogni giorno, parlamentari di destra e di sinistra lo contattano per avere consigli sulle leggi e gli emendamenti da presentare in Parlamento…

Acquisite le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il procuratore Pignatone non può fare altro che inviare le “notizie di reato” su Mollace alla Procura di Catanzaro, titolare di tutte le indagini sui magistrati reggini e iscrivere Alberto Cisterna, che ha l’ufficio a Roma, nel registro degli indagati della Procura di Reggio.

Praticamente, secondo Nino il nano, erano loro due che avrebbero dovuto agire per far uscire dal carcere suo fratello, visto che avevano rapporti consolidati e frequentazioni regolari, e non solo per fatti “nautici”. Nei colloqui intercettati in carcere tra Luciano e Nino, Mollace è Ciccio e Cisterna è l’Avvocato di Roma. Luciano chiede con insistenza di rivolgersi a loro, perché, secondo le intercettazioni, gli dovrebbero più di un favore.

Il 7 maggio del 2010, sei mesi prima che suo fratello iniziasse a collaborare con la giustizia, Luciano prende carta e penna e dal carcere di Tolmezzo scrive direttamente al procuratore Cisterna, alla sede della Direzione nazionale antimafia di Roma.

Carissimo Dott.

Vi scrivo questa lettera in quanto è da 7 mesi che cerco di dimostrare la mia assoluta innocenza, ma ancora oggi sono qua a subire, da un pm demente, solo perché la questura dice favole. Capisco bene che il pm è molto giovane e vuole fare l’eroe, ma non con me.

Vi faccio pure sapere che è una corrotta e ve lo posso dimostrare in qualsiasi momento… Mi ha distrutto 12 anni di attività chiudendola…

Vi ho sempre detto che niente e nessuno potrà dire niente contro di me, anche perché sono stato molto riservato senza dare confidenza a nessuno…

Il mio pensiero è: per invidia e per dispetto mi trovo in questa situazione, non ho mai pensato si sarebbe verificata una farneticazione simile, anche Dio sa che ho sempre lavorato onestamente senza permettere a nessuno di calpestarmi, e voi lo sapete bene, e adesso arriva una demente a farmi tutto questo? No! Non posso accettare.

Mi conoscete abbastanza bene, sono sempre stato disponibile, umile e molto corretto e tutto ciò non lo merito, voglio sapere come mi devo comportare per tutta questa farneticazione. Mi farebbe molto piacere fare un colloquio con Voi e darvi tutte le delucidazioni possibili. Spero di potervi vedere presto. Nell’attesa vi mando un forte abbraccio con tanta stima. Luciano Lo Giudice.

Contemporaneamente all’invio della lettera “formale”, Luciano chiedeva al fratello di intervenire attraverso Spanò e altri intermediari sull’Avvocato di Roma e su Mollace. Gli argomenti da usare sarebbero stati ben altri e con ben altro tono. Lui in carcere non ci vuole stare e in una delle tante visite lo dice alla moglie: “Cercate l’Avvocato di Roma e ditegli di vedere quello che deve fare, di non rompere le scatole perché questo bordello deve finire…”.

Intanto, il 3 gennaio, cinque mesi prima della lettera, il fratello Nino aveva già mandato il primo segnale con la prima bomba davanti alla Procura. Arrivati all’estate ci riprova, ormai stressato dalle pressioni di Luciano e rassegnato all’idea che non potrà farlo uscire dal carcere. Sentendosi mollato da chi, secondo lui, avrebbe dovuto intervenire e non lo ha fatto, progetta la seconda bomba. Neanche questa è sufficiente. Quando capisce che è iniziata la collaborazione con i giudici di Consolato Villani, pensa al bazooka per Pignatone.

Il “sistema” si è rotto e in esso, tra scambi e favori, si ritroverebbero ancora due magistrati che per parte loro respingono ogni accusa e fino a oggi non hanno subito nessun processo. Le indagini a Reggio e a Catanzaro proseguono e sarebbe un bene per la credibilità stessa dell’antimafia se alla fine se ne potesse dimostrare l’estraneità.

Il 15 maggio del 2012 il Consiglio Superiore della Magistratura ha sospeso il procedimento avviato dalla commissione disciplinare che aveva proposto al Plenum il trasferimento funzionale di Alberto Cisterna dalla Procura nazionale antimafia, ritenendo che per il magistrato ci fosse “l’impossibilità a svolgere le proprie funzioni con indipendenza e imparzialità”. Ma il 17 maggio la Procura generale presso la Cassazione, che aveva avviato il procedimento disciplinare, ha ordinato il trasferimento cautelativo di Cisterna da procuratore aggiunto della Dna a giudice presso il Tribunale di Tivoli. Lo stesso giorno il Csm faceva propria la misura di “prevenzione” assunta dalla Procura generale della Cassazione. Una brutta storia.

Di seguito, riportiamo integralmente un articolo relativo alla vicenda tratto dal sito del Corriere della Calabria e pubblicato nel marzo del 2015 che è l’aggiornamento di quella “brutta storia”.

“La Sezione disciplinare del Csm ha condannato alla sanzione della censura il magistrato Antonio Cisterna, vice di Piero Grasso quando il presidente del Senato era procuratore nazionale antimafia. L’accusa, quella di aver violato norme di legge e organizzative per non aver tempestivamente informato il suo diretto superiore di contatti, soprattutto telefonici, avuti per diversi anni con Luciano Lo Giudice, figlio di Giuseppe, capo di una cosca della ‘ndrangheta e fratello di Antonino, il boss che in seguito si autoaccusò degli attentati del 2010 contro la sede della Procura generale di Reggio Calabria e l’abitazione del Pg Salvatore Di Landro.
La vicenda disciplinare era scaturita da un procedimento penale a carico di Cisterna, che era stato accusato da Antonino Lo Giudice di aver preso soldi da Luciano per favorire la scarcerazione di un terzo fratello, Maurizio. Sulla base di quell’accusa – da cui Cisterna è stato in seguito prosciolto e che lo stesso boss pentito ha ritrattato – la Sezione disciplinare del Csm tre anni fa trasferì il magistrato dalla Procura nazionale antimafia al Tribunale di Tivoli.
Un provvedimento che il “tribunale delle toghe” ha confermato con la decisione presa oggi. La sezione disciciplinare ha accolto in pieno la richiesta della Procura generale della Cassazione. Il difensore di Cisterna, il pm della Procura nazionale antimafia Antonio Patrono, aveva chiesto invece l’assoluzione…”.