Mafia-stato e Calabria. Lo spione dei Servizi a Casa Pelle tradito dalla cimice a sorpresa

Stiamo pubblicando ormai da tempo alcuni stralci del libro-inchiesta di Francesco Forgione “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta”. Dopo avere esaminato a fondo i rapporti tra il clan Piromalli e Marcello Dell’Utri per conto di Silvio Berlusconi, l’autore ci spiega la trasformazione della ‘ndrangheta e i suoi mille tentacoli che coinvolgono anche la magistratura e tutto il sistema che gira intorno alla Giustizia a Reggio Calabria. Roba che scotta e che si aggancia in maniera disarmante al caos delle toghe sporche di oggi. Compresi i traffici del Cavaliere e delle sue tv (non ultima la Rai…) con la massoneria, con il vecchio Psi e persino con il Vaticano, con la Calabria sempre protagonista. Ora ci attende l’ultimo viaggio, che ci porterà gradatamente al cuore del problema: la corruzione della magistratura. Ma prima c’è da raccontare un’altra storia, che emana un terribile fetore: odore marcio di servizi segreti deviati. 

Alle quattro meno un quarto del pomeriggio di sabato 20 marzo 2010, la telecamera del Ros filma l’arrivo a casa Pelle di Giovanni Ficara e di un uomo sconosciuto. Il suo volto non è tra quelli dei ricercati incasellati sui tabelloni esposti nelle caserme dei carabinieri e nei commissariati di polizia. Anzi, quando scopriranno realmente di chi si tratta la sorpresa degli investigatori e quella dei magistrati si dividerà tra un sentimento di soddisfazione e uno di schifo e rabbia.

Giovanni Zumbo a soli 44 anni a Reggio Calabria è già un commercialista affermato. L’uomo è rampante, ben accolto e coccolato nei salotti buoni e borghesi della città. Lo conoscono bene e lo apprezzano pure al Tribunale. Molti giudici lo stimano e gli fanno amministrare persino i beni che lo Stato sequestra ai mafiosi. Anche la moglie frequenta ogni giorno le aule di giustizia, è un avvocato civilista ben inserita.

Zumbo ha pure la passione per la politica: quando Alberto Sarra (all’epoca era sottosegretario del presidente della Regione Scopelliti, ndr) era assessore al Personale, e il presidente era Chiaravalloti di Forza Italia, lui era il suo segretario particolare. Insomma l’uomo è pieno di risorse e le mette a frutto in tutte le direzioni. Una risorsa però è indicibile e non la può dichiarare pubblicamente a nessuno, tranne al boss Pelle, ovviamente, che gli ha concesso l’onore di accoglierlo nella sua casa.

Lo spione Giovanni Zumbo

“Ho fatto parte… e faccio parte tuttora di un sistema che è molto, molto più vasto di quello che… Ma vi dico una cosa e ve la dico in tutta onestà: sunnu i peggiu purcariosi du mundu… e io che mi sento una persona onesta e sono onesto e so di essere onesto… molte volte mi trovo a…. a sentire determinate porcherie che mi viene il freddo…”.

Zumbo racconta al boss il funzionamento del sistema. “E quindi è così… ce ne sono un paio che sono di queste parti… che fanno parte come esterni al Sisde no? Perché il Sisde è una struttura che ci sono militari e interni, cioè polizia e carabinieri…”.

Pelle: “… e Finanza…”.

Zumbo: “Però ci sono anche civili, quindi… faccio un esempio pratico, gli avvocati, i commercialisti, i medici… li pagano…”.

Pelle: “Li devono pagare…”.

Zumbo: “Ci sono i Servizi militari, che sono solo militari, non possono entrare persone che non sono militari, io faccio parte comunque di questo, come esterno…”.

L’uomo dei Servizi sentendosi garantire dalla sicurezza del luogo e certo delle informazioni ricevute sulla “pulizia” della casa, non si fa scrupoli a esternare la stima e la fascinazione per la ‘ndrangheta e il suo boss. Anche perché lui, che le informazioni ce le ha di prima mano, sa quanto la dinastia dei Pelle sia seria e all’antica, quando l’onore era onore. Perché ormai c’è ‘ndrangheta e ‘ndrangheta e non è più come una volta, quando se eri uomo di panza, muto dovevi stare e muto stavi. Ora invece nelle macchine, “pare che dicono il rosario”, parlano tutti, “sono quattro ubriaconi, è la verità”, e tutti, sbirri di tutti i tipi, li ascoltano e li fottono con le cimici.

Zumbo: “… Ecco perché la famiglia Pelle è rimasta la famiglia Pelle, altre famiglie restano famiglie… sane… E un carabiniere, scusate la parola… quando viene qui sa dove viene”. E certo, perché pure gli sbirri devono portare rispetto. Il boss si compiace, e ci mette dal canto suo un poco di tragedia: “Vedere che a noi ci hanno spaccato la casa… la perquisizione… e non gli abbiamo detto tanto, gli abbiamo pure offerto il caffè, tre volte al giorno”.

Tra Pelle e Zumbo, che per i suoi servizi ha pure preso soldi dallo Stato, il ghiaccio è rotto e il patto di fiducia saldato. Al cospetto del boss, il commercialista dichiara tutta la sua emozione… Ormai è fatta. L’uomo che dovrebbe servire lo Stato, si mette al servizio della ‘ndrangheta e fornisce le notizie di cui hanno bisogno le cosche per aggirare le indagini e sfuggire alla giustizia. Comunque, ammirazione o no, Zumbo adora il potere che maneggia e avrà il suo tornaconto, in denaro e prestigio.

Zumbo è il terminale di raccolta delle informazioni che arrivano sia da Reggio che da Milano: “Secondo me è questa la cosa più preoccupante per voi… ci sarà un’altra operazione più grossa fatta a Milano, dal Ros di Milano… però parliamoci chiaro la farà la Boccassini…”.

Pelle: “… Quella è una tigre…”.

Zumbo: “… E’ una che non si ferma davanti a niente…”.

Pelle: “… E quando la fanno questa operazione a Milano?”.

Zumbo: “Una settimana prima io vi dico tutto quello che…”

Pelle: “Con la bontà vostra, quello che vi raccomando, pure se sapete che l’operazione scatta all’una…”.

Zumbo: “Vengo io personalmente…”.

Pelle: “Almeno dovete dirlo un’ora prima”.

Zumbo: “Sì, ma un’ora vi basta?… Se è cinque?”

Pelle: “Ma pure tre!”

Zumbo: “Facciamo cinque per sicurezza… non si sa mai!”

Pelle: “Cinque? Tranquillo… così dormo tranquillo!”.

A pensarci vien da sorridere, sembrano Totò e Peppino in Miseria e nobiltà. E invece i protagonisti, nella Calabria dei giorni nostri, sono un mammasantissima della ‘ndrangheta e uno zelante servitore dell “istituzioni”.

Giovanni Zumbo conosceva nei dettagli le indagini in corso, soprattutto quelle dei carabinieri e, tranne per la cimice all’interno, era informato anche delle indagini su Pelle e della telecamera che filmava i movimenti attorno alla sua casa. Per i magistrati sono proprio queste indagini che bisogna salvare per evitare che grazie alle informazioni fornite dall’uomo dei Servizi i boss possano darsi alla macchia prima del loro arresto. Sarebbe stato azzerato tutto il lavoro che Boccassini e Pignatone portavano avanti da quasi un anno.

Zumbo già sapeva che il Gip di Milano stava vagliando le richieste di arresto per 300 persone, 150 sotto e 150 al Nord. Dentro c’era pure Gambazza, ma lui e i suoi, Zumbo glielo aveva detto, potevano stare tranquilli. Appena il Gip avrebbe firmato l’ordinanza d’arresto, loro sarebbero stati avvisati. Con almeno cinque ore di anticipo, naturalmente… Ma qualcosa, questa volta, non avrebbe funzionato.

Il 21 aprile del 2010, nella casa, davanti agli occhi stupiti della vedova che da anni non staccava gli occhi dalla finestra, arrivano i carabinieri e arrestano Giuseppe Pelle, altri quattro esponenti dei Gambazza e contemporaneamente Giovanni Ficara e Antonio Latella a Reggio e Rocco Morabito, figlio di Peppe Tiradritto, a Siderno. Il gioco è fatto: i boss non potranno ricevere le informazioni per far saltare le indagini e darsi alla macchia prima del loro arresto.

Zumbo, ignaro della cimice che aveva registrato tutto, può continuare a pensare di essere fuori dall’attenzione dei magistrati. E invece il 13 luglio 2010 si ritrova in carcere pure lui, assieme ad altre 300 persone fermate tra la Calabria e la Lombardia. Certo, il prezzo pagato dagli investigatori era stato alto: continuando ad ascoltare il boss Pelle si sarebbero potute estendere le indagini a vivamaria, e scoprire chissà quali altre nefandezze, col rischio, però, di far saltare il lavoro che avrebbe svelato la diffusione della ‘ndrangheta in Lombardia, i suoi rapporti con politici e imprenditori padani. Insomma, si sarebbe buttata all’aria la più grossa indagine degli ultimi vent’anni….

Purtroppo, ancora una volta, per salvare una inchiesta, era stato necessario smantellare un sistema di talpe e combattere su due fronti, contro la mafia e contro uomini “al servizio dello Stato”. Non era la prima volta, è vero, perché Pignatone con le talpe ci era abituato. Se ne era occupato anche a Palermo, quando aveva scoperto il sistema di informazione parallelo che proteggeva il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e il capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano: sottufficiali dei carabinieri, militari della Guardia di Finanza, imprenditori e persino segretarie in servizio alla Procura.

Il terminale del “sistema” dei purcariusi siculi, come li avrebbe definiti Zumbo, era il presidente della Regione Totò Cuffaro, e furono proprio Pignatone e Prestipino i magistrati che coordinarono l’indagine e il processo alla fine del quale Cuffaro, diventato senatore, si trovò a Rebibbia con una condanna definitiva a sette anni e mezzo di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra.