Maradona e Gianni Di Marzio, il suo primo talent scout

Per sempre il più grande nella storia del calcio mondiale e per sempre nel mio cuore perché ti ho voluto bene come un figlio. Con te se ne va un pezzo della mia vita

— Gianni Di Marzio (@misterdimarzio) 

Gianni Di Marzio è l’unico al mondo a poter dire di aver consigliato Maradona al Napoli quando aveva 17 anni e si poteva prendere per 200 milioni (ma le frontiere erano chiuse) e in Italia gli viene universalmente riconosciuto di essere stato il primo vero talent scout di Diego Armando Maradona.  

Gianni Di Marzio era alla moda prima che arrivasse la moda. L’allenatore identitario di Napoli. Doveva essere un Guardiola trent’anni prima di Guardiola. Il ragazzo di casa sulla panchina di casa. Prendi a Mergellina uno che conosce il tuo mondo e gli affidi la squadra. Adesso lo fanno al Chelsea, al Manchester United, all’Arsenal (cioè li prendono nel loro mondo, non che li prendano a Mergellina). Nel 1977 Gianni Di Marzio era il primo napoletano che allenava il Napoli. A 37 anni. La stessa età che aveva Pep quando gli diedero il Barcellona. La filosofica spaccatura dell’epoca in città – figurarsi se non ce n’era una – opponeva i vinicisti ai pesaolisti (in realtà nessuno azzardava simili obbrobri linguistici ma ci siamo capiti). In sostanza un dibattito ante litteram tra giochisti e risultatisti (ahia, la lingua). Come in Argentina tra menottismo e bilardismo. Pesaola era l’allenatore che se ne stava andando con una semifinale di Coppa delle Coppe. Vinicio era il ricordo di una magnifica stagione di bel gioco. Quando al trentasettenne Di Marzio chiedono di dichiarare il suo modello, al primo giorno da allenatore del Napoli la risolve in modo geniale. “Non sarà il mio Napoli, ma il Napoli dei napoletani. È come se in panchina andasse uno degli ottantamila. L’importante è che ci sia ritmo, velocità, grinta”.

Ottanta anni l’8 gennaio

Negli 80 anni che Gianni Di Marzio ha compiuto lo scorso 8 gennaio, ci sono molte vite unite dal filo comune della vivacità di pensiero. Non è stato un calciatore di vertice. Ma da allenatore si era fatto conoscere prendendo il posto di Vinicio al Brindisi e poi portando in Serie A il Catanzaro, che è come dire l’Empoli dell’epoca. “Il futuro del calcio sta nei giovani – dice quando si presenta a Napoli – occorre gente che abbia voglia di correre e affermarsi. Anche Inter e Milan hanno capito che per un paio di anni ancora sarà difficile stroncare l’egemonia delle due torinesi. Oggi in serie A il terzo posto è già uno scudetto. Si può diventare grandi solo programmando. Per anni il Napoli ha puntato sui nomi: ma cosa ha mai vinto con i Gratton e i Pivatelli? E allora? Smettiamola di farci prendere in giro e impariamo una volta per sempre”. D’altra parte gli hanno tolto in un colpo solo Carmignani, Burgnich, Pogliana, Vavassori, Esposito, Montefusco, Orlandini e Speggiorin. Che deve dire? Reinventa una squadra con otto titolari nuovi su undici. Fa debuttare i diciassettenni Musella e Ferrario, la meteora Mocellin, e in porta deve fare con il povero Mattolini, che a Perugia mette a segno un autogol clamoroso seguito dal lancio di una scarpa di un tifoso esasperato.

Il mondo di Di Marzio

Lungo questo viaggio improbabile e avventuroso che porterà il Napoli al sesto posto, qualificato per la Coppa Uefa, e in finale di Coppa Italia, con un Antonio Juliano tormentato dalla pubalgia, Di Marzio incappa nelle ire del comandante Achille Lauro. Non è più il proprietario né il presidente ma è sempre Achille Lauro. Il comandante s’incazza perché Di Marzio è un cripto-comunista, esatto, comunista, nella città del primo sindaco rosso, Maurizio Valenzi. Lauro l’ha scoperto dal fatto che Di Marzio compila la schedina con i suoi consigli per i lettori dell’Unità. Tutte le settimane. È chiaro che si augura un colpo di fortuna per il proletariato. Non solo. Sceglie sempre di farsi intervistare dal TG2, la rete di sinistra. Di Marzio spiega che lo fa per via di una duplice amicizia: con un cronista dell’Unità, Marino Marquardt, e con Maurizio Barendson. Lauro non si convince. Il Roma attacca ogni giorno il bolscevico, stessa cosa fa Canale 21, all’epoca la televisione del Comandante. Siamo nel 1978, si giocano i Mondiali in Argentina e Di Marzio è confermato alla guida del Napoli. E’ allora che Di Marzio vede per la prima volta Diego Armando Maradona.

La prima volta lo vidi nel ’78 ai Mondiali, ero allenatore del Napoli e c’era un signore calabrese, di Catanzaro (si chiama Settimio Aloisio e in seguito sarà anche il procuratore di Gabriel Batistuta, ndr), che mi cercava molto spesso perché ero stato in Calabria da allenatore e avevo fatto bene lì e voleva farmi vedere questo ragazzino delle giovanili dell’Argentinos Juniors, lui era il presidente della Polisportiva, andai a vederlo e mi bastarono 10 minuti per capire chi avevo di fronte, c’era con me anche un giornalista e un mio carissimo amico che però era tifoso di un’altra squadra, allora io con discrezione mi allontanai e contattai Diego per primo convincendolo a firmare. Il presidente mi portò a casa sua…  Andammo a Villa Fiorito – ricorda Di Marzio – lo conobbi e non mi fece una grande impressione: piccoletto, capelli lunghi. Gli dissi però che avrei fatto di tutto per portarlo a Napoli. Lo feci vedere a Ferlaino, mi disse che ero fissato con i giovani. Io andai poi a vedere Maradona a Ginevra. Il ragazzo era convinto di poter venire in Italia, gli mandai la maglia numero 10 del Napoli, purtroppo però le frontiere erano ancora chiuse, Ferlaino non se la sentì di investire subito su di lui e andò a giocare a Barcellona. Antonio Iuliano poi è stato il vero autore dell’arrivo a Napoli di Diego”.

Il secondo anno di Di Marzio a Napoli sarebbe durato appena due partite. Ferlaino ha comprato Castellini e Caporale, due anni prima campioni d’Italia col Torino, più dal Vicenza Roberto Filippi, premiato con il Guerin d’oro di miglior giocatore del campionato. Una vittoria con l’Ascoli, una sconfitta a Firenze e l’esonero. Di Marzio viene condannato con la colpa di essere difensivista, ma difensivista convinto, tant’è che ancora oggi gli viene attribuita la frase secondo cui davanti al portiere “serve una linea Majoret”. Gli danno la colpa di aver fatto calare gli incassi degli abbonamenti nonostante tutti quegli acquisti. “I successi tecnici – spiega Ferlaino – devono essere confortati anche da quelli economici”. Meglio che torni Vinicio con la sua valigia di bei ricordi. Il Napoli decide l’esonero mentre Di Marzio è ospite in una tv privata di un talk show condotto da Gianni Rivera. Con l’addio arriva un’altra innovazione: la clausola di riservatezza. Il Napoli gli garantisce lo stipendio per il resto dell’anno a patto che non vada in televisione e non scriva per giornali. Di Marzio era stato invitato dal TG2 a condurre Eurogol. Il Guerin Sportivo gli offre una rubrica. Antonio Corbo sul Corriere dell’informazione scrive che le tv locali se lo contendono “quasi fosse Amanda Lear”. I calciatori gli regalano una medaglia. Un esonero alla seconda giornata nel calcio italiano non si era mai visto…

Di Marzio non è mai più diventato il Guardiola del Napoli ma ha portato il Catanzaro e il Catania in Serie A e il Cosenza in Serie B vincendo anche il Seminatore d’oro. Ha fatto l’opinionista per Dahlia e il commentatore per Conto Tv, il direttore generale del Cosenza e del Venezia prima di lavorare anche con Briatore al Queen’s Park Rangers. È l’unico al mondo a poter dire di aver consigliato Maradona al Napoli quando aveva 17 anni e si poteva prendere per 200 milioni (ma le frontiere erano chiuse) e Ronaldo alla Juventus di Moggi quando era allo Sporting e ne aveva 18. Scusate se è poco.