Mareggiate, crollo dei lungomari e crollo delle politiche ambientali in Calabria (di Francesco Cirillo)

di Francesco Cirillo

La natura si riprende sempre ciò che le viene tolto. E’ una legge che vige da millenni, ma da sempre inascoltata dagli uomini. Il Tirreno Cosentino e la Calabria, dopo l’ultima ondata di maltempo, si svegliano con il mare nelle case. Fioccano i servizi nei telegiornali e sulle prime pagine dei giornali. Le foto sono sconvolgenti. Case spostate dalle frane, lungomari distrutti, spiagge scomparse, ristoranti inghiottiti dal mare e dalle onde alte fino a nove metri, porti devastati. Leggendo però un po’ su tutta la stampa non si trovano le motivazioni di tutto ciò. Anzi si tende sempre a colpevolizzare la natura di quanto avvenuto con frasi quali, onde assassine, montagna assassina…

La colpa è solo e solamente dell’uomo e della sua avidità nello sfruttare le risorse della natura a proprio profitto. Alla natura, le è stata tolta la spiaggia, le dune, la Posidonia, rotte le correnti, spezzati i flussi delle onde. E’ stata imbrigliata con muraglioni di cemento, bracci di massi messi alla rinfusa, stabilimenti balneari e ristoranti, villaggi turistici e alberghi, che le hanno spianato e fatto scomparire spiagge millenarie. Le è stato tolto l’apporto della sabbia proveniente dai fiumi. Le è stato inquinato il mare con le navi ed i bidoni radioattivi. Perché non dovrebbe incazzarsi ora?  Perché non dovrebbe riprendersi ciò che è stato sempre suo?

Invece, a preoccuparsi, come al solito, sono sindaci e imprenditori che vedono in pericolo, non la natura e le sue bellezze, ma le proprie attività commerciali. Attività poste nei punti sbagliati che una politica speculativa sin dagli anni ’70 ha permesso che si costruissero, spesso in modo abusivo, lungo le nostre coste avanzando di centinaia di metri verso il mare, piuttosto che tenersene a debita distanza. Il governatore Oliviero e tutti gli staff istituzionali, in ogni ordine e grado, qualche anno fa, sono subito accorsi, sui luoghi del delitto per valutare i danni e preparare nuovi finanziamenti.

Non lo hanno fatto neanche durante la breve stagione delle navi dei veleni. In quella occasione hanno preferito muovere le loro pedine. Il caso era troppo scottante e le elezioni regionali troppo vicine per bruciarsi su cose che poco fruttano dal punto di vista elettoralistico. Qui invece, nel disastro cosiddetto naturale ci si guadagna eccome, fa parte di quello che Naomi Klein chiama la “shock economy”. Il primo passo è la dichiarazione dello stato d’emergenza e di calamità naturale, cosa che nessun governatore della Calabria ha mai voluto dichiarare a seguito dell’affondamento delle navi dei veleni (per loro mai esistite e che continuano a non esistere). Ed ecco in arrivo finanziamenti regionali e l’apertura di canali speciali per ottenere finanziamenti nazionali ed europei. E così i sindaci accorrono tutti al capezzale della politica e insieme a loro costruttori, ruspisti, camionisti, albergatori, portualisti. Si muovono finanche i sindaci dei paesi dell’interno. Anche per loro qualcosina potrebbe uscirci. Già negli anni ’80 comuni come Buonvicino e Maierà, paesi posti a diversi chilometri all’interno della costa tirrenica, non si sa come riuscirono ad ottenere finanziamenti per le mareggiate. Repetita juvant. E le ruspe intanto sono già al lavoro. Con il mare ancora in piena si buttano massi a mare sapendo di non fermare niente. Le mura si sbriciolano, i lidi franano, gli alberghi vengono allagati, i lungomari crollano. Ma gli interventi restano sempre gli stessi. Nuovo cemento, nuove barriere, nuovi massi. Ricostruzione di quanto abbattuto dalla furia dei marosi… Tutto per ricominciare l’anno prossimo alla solita nuova mareggiata.

Ma le cause? Nessuno parla mai delle cause in queste plenarie di sindaci e istituzioni regionali. Chi oserebbe farlo verrebbe subito fischiato e zittito dalla platea questuante. Non è tempo per i guastatori, né per ricordare che una ben più grave minaccia è sepolta sotto i silenzi del Ministero dell’Ambiente e di tutti i sindaci, e sono le navi dei veleni ed i loro rifiuti tossici sparsi per la nostra regione. Oggi si deve parlare solo delle mareggiate senza chiedersi perché. Perché oggi il mare è più forte e potente. Eppure il mare è sempre quello, sempre lo stesso, da sempre. I paesi della costa sono lì dal 1500. Come mai, se lo chiedono questo i nostri scienziati-geometri, i nostri brillanti sindaci, i nostri esperti della Regione, tutto questo avviene negli ultimi venti anni e perché prima non è mai avvenuto? Una risposta c’è ed è molto semplice. Perché l’uomo, il potere dell’uomo, è meglio dire, quello che ha speculato sulla nostra costa, da venti anni ha rubato spazio alle spiagge, al mare, ha imposto nuove barriere, ha limitato la forza delle dune sottomarine, stravolgendo le correnti, rafforzando quindi ancora di più la forza delle onde.

Elenco a mo’ di comprensione per i sindaci ed il governatore alcune di queste cause:

1) La portualità prima di tutto. Il porto di Cetraro e quello di Diamante hanno spezzato dagli anni ’70 le correnti con i loro bracci a mare. Questo è dimostrato da studi fatti da geologi marini.

2) La difesa dura dei massi a mare operata dalle Ferrovie dello stato ha spezzato correnti e distrutto fondali. I lavori costati miliardi di vecchie lire, oltre cento di sicuro, vennero contestati da subito dagli ambientalisti e dalla Legambiente in particolare che fece venire un esperto mondiale di erosione costiera, il quale nella Comunità Montana di Paola, nel dicembre del 1990, disse a tutti, inascoltato, come sarebbe finita. Nuovi massi, nuove erosioni, nuove spiagge sparite. E così avvenne e così sta avvenendo.  Uno degli ultimi atti della Giunta Scopelliti/Gentile fu l’approvazione di un intervento di 40 milioni di euro che ha cementificato di massi tutta la costa calabrese, senza uno studio e senza una cognizione di causa se non quella di buttare massi da Tortora fino a Trebisacce.

3) Lo strascico sottocosta che continua indisturbato da anni, ha distrutto intere praterie di Posidonia che servivano, quali sono i boschi, a rallentare la forza del mare e modellare le dune sottomarine. Lo strascico nonostante la legge continua indisturbato ed anche quando la capitaneria di Porto viene allertata, da cittadini, per la presenza a pochi metri dalla riva di “paranze a strascico” questa ha difficoltà ad intervenire per mancanza di mezzi. E lo strascico continua senza sosta.

4) Il prelievo delle spiagge con l’avanzamento della linea di costa per farvi costruire case abusive, villaggi, campeggi, alberghi, stabilimenti, non ha più permesso al mare di portare e togliere la spiaggia così come avveniva fino agli anni 60/70.

5) Il blocco dell’apporto della sabbia dai fiumi a causa dei prelievi selvaggi avvenuti negli anni ’80, e grazie anche alle continue opere di costruzione di opere di cemento lungo gli argini. Solo qualche anno fa la Provincia permise il prelievo lungo il fiume Lao, ad una ditta privata, di 1 milione di metri cubi di sabbia!

Cosa fare allora?  Di cosa si dovrebbe discutere? Prima di tutto della revisione di tutto il piano della costa iniziando opere di decementificazione. Via tutto quanto c’è di abusivo vero e abusivo autorizzato dai vari enti. Via tutto quanto è stato costruito in zona rossa segnalata dalla stessa regione in carte geografiche. Stop alla portualità ed al suo ampliamento. Stop alla difesa dura. Via ad un piano di ripascimento di tutta la costa iniziando da Tortora e fino a Lamezia con tecnologie nuove usate in California, Israele ed anche in Italia ad Ostia. Stop al movimento delle dune sabbiose ed al livellamento di piante sulle spiagge causato dagli stabilimenti balneari e dagli alberghi. Stop allo strascico lungo la costa. Ripiantumazione della Posidonia. Protezione della costa tramite l’avvio del Parco Marino in questa funzione. Solo andando in questa direzione sarà possibile rimettere ordine nella natura e ristabilire le cose naturali. Altrimenti tutto andrà nella solita direzione , dei soliti finanziamenti che l’unica cosa che produrranno saranno solo voti.

Senza dimenticare quello che c’è sotto i nostri mari -e sono le navi affondate – e che saranno queste a dare il colpo finale alla nostra fragile attività turistica piuttosto che qualche lungomare crollato costruito sicuramente anche in modo abusivo oltre che con materiali e progettazioni scadenti.