Mariano Santo, ennesimo scandalo della sanità cosentina (di Francesca Canino)

di Francesca Canino

Il Mariano Santo, dopo l’evacuazione avvenuta nel 2015 e l’inizio dei deprecabili lavori di ristrutturazione, si presenta oggi come un cantiere semi abbandonato. I lavori sono fermi da tempo, a tratti riprendono per qualche ora e poi vengono di nuovo abbandonati. Da cinque anni ormai, l’ex sanatorio realizzato negli anni ’30, è chiuso e senza speranze. Non interessa a nessuno che ritorni ad essere operativo, nonostante le somme spese finora per la sua ristrutturazione – mai avvenuta completamente – e nonostante rappresenti un presidio utile per la provincia.

La chiusura del Mariano Santo non ha mai convinto chi ne ha seguito le fasi fin dal febbraio 2015. Molte sono state le proteste dei cittadini e dei sanitari contro la chiusura dell’ex sanatorio, si chiedevano tempi rapidi per la riapertura e soprattutto si chiedeva il perché di quei lavori e dello spreco di denaro che ne sarebbe conseguito.

È necessario, a questo punto, fare un passo indietro e ricordare le traversie della struttura sanitaria cosentina: “Con una relazione inviata all’Ufficio tecnico dell’ospedale, la ditta che stava eseguendo i lavori di ristrutturazione del Mariano Santo (2015) informò l’azienda ospedaliera che alcune travi dell’edificio erano a rischio crolli, quindi la struttura risultava pericolante. La ditta esecutrice aveva vinto una gara senza mettere in discussione alcuni saggi effettuati in precedenza, pertanto il reale pericolo, riscontrato solo in un secondo momento, faceva sorgere diversi dubbi. Da una nota diramata in seguito dall’Azienda Ospedaliera, si apprese che le criticità della struttura erano dovute al calcestruzzo utilizzato per la realizzazione dell’ultimo piano della struttura. Erano stati i rilievi predisposti dall’impresa appaltatrice a far emergere il problema e a mettere anche in evidenza alcune limitate situazioni di degrado delle strutture (travi e pilastri) dell’ultimo piano. L’edificio doveva essere evacuato.

Immediate furono le reazioni dell’intersindacale dei medici, di alcuni consiglieri comunali e di qualche sanitario che volevano scongiurare il rischio evacuazione, anche in virtù del fatto che la ditta appaltatrice si era impegnata a compiere i lavori mantenendo i pazienti e il personale nella struttura. I vari interventi sarebbero stati eseguiti realizzando delle paratie per evitare ai pazienti rumori e polvere. La direzione sanitaria dell’ospedale rilevò in seguito che invece delle paratie furono usati dei tendoni, forse per risparmiare tempo e denaro.

Si chiedeva, dunque, una perizia ‘terza’ per conoscere le reali condizioni della struttura e la pubblicazione, sul sito dell’azienda ospedaliera, dei vari atti, visto che non era dato sapere se la perizia effettuata dalla ditta appaltatrice potesse, in qualche modo, essere o meno in contrasto con i risultati dei vecchi carotaggi.

Le ”carte”, in realtà, non furono mai esibite pubblicamente, né durante l’incontro che i sanitari ebbero con il vice Prefetto, né dopo la richiesta pressante di un ex consigliere comunale, l’ingegnere Francesco Caruso (oggi vicesindaco), il quale sosteneva che non si poteva decidere uno sgombero se in nessuna relazione era acclarato un rischio.

La relazione predisposta dalla ditta sembrava descrivere lo stato di una situazione insoddisfacente, forse riferito agli obiettivi del progetto, ma non riportava che esisteva un effettivo rischio per l’incolumità. Mancava, dunque, il requisito di pericolosità imminente, essenziale quando si ordina uno sgombero. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, l’ex sanatorio fu evacuato: la direzione dell’Azienda Ospedaliera programmò il trasferimento delle Unità operative e dei pazienti in parte all’Annunziata e in parte al Santa Barbara di Rogliano, quest’ultimo ben lieto, insieme al suo comitato, di ospitare alcune Unità del Mariano Santo. Da allora i riflettori sul vecchio ospedale cittadino si spensero e successivamente i lavori si fermarono perché si rese necessario rivedere alcuni elementi strutturali.

A distanza di oltre un anno, ed esattamente nei primi di maggio del 2016, fu approvata una perizia di variante, ritenuta necessaria dopo le criticità rilevate dalla ditta appaltatrice. Equivale a dire che a lavori già iniziati – e poi bloccati – si dovette predisporre una variante per il consolidamento della struttura, a causa di problemi che non erano stati individuati o che sono intervenuti in un secondo momento. La ditta “Consorzio Gico srl” accettò di eseguire i lavori suppletivi, poiché era stato completato l’iter amministrativo-tecnico di riassegnazione del cantiere alla società aggiudicataria che convalidò la predetta perizia. I lavori sarebbero dovuti terminare entro 540 giorni, senza comportare alcun aumento di spesa, visto che gli imprevisti rientravano nel quadro economico”.

Di giorni ne sono passati più di 1500 e nessuno sa quanti altri ancora ne serviranno per terminare i lavori, sempre che vi sia la volontà di portare a compimento un’opera che è già costata diversi milioni. È vero che siamo nel paese delle incompiute, dei lavori inventati per favorire le ditte amiche, degli sprechi del denaro pubblico, del disinteresse dei decisori politici per la salute dei cittadini contribuenti, ma il caso Mariano Santo non deve cadere nel dimenticatoio. Merita giustizia per tutti i disagi causati agli ammalati che furono trasferiti nel maggio 2015, data dell’inizio dei lavori, e per tutto il denaro inutilmente speso finora.