Mattarella stoppa Renzi: niente dimissioni delle ministre e approvazione del Recovery plan

(Carlo Bertini – la Stampa) – Fermate le macchine, prima si approva il Piano da spedire in Europa e poi si può riaffrontare il nodo della crisi di governo: detto in parole povere, è questo il senso dello stop giunto dalle più alte sfere della Repubblica, ovvero dal presidente Sergio Mattarella, al leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Il quale, se pure aveva in animo di far dimettere ieri le sue ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ha dovuto ascoltare quello che è stato ben più di un monito.

E siccome quando il capo dello Stato esercita una moral suasion difficilmente si può far finta di nulla, il risultato è che per almeno una intera settimana, il governo dovrà rimanere con i ranghi al completo. Perché – come spiegano alti esponenti che operano nei Palazzi istituzionali – appena si dovessero dimettere le ministre di Iv, si aprirebbe formalmente la crisi e anche il premier sarebbe costretto a dimettersi: e il Parlamento dovrebbe bloccare i suoi lavori.

Il filo sottile del Conte ter – Quindi una cosa è certa, il piano del Recovery riveduto e corretto, sarà approvato dal consiglio dei ministri (pare mercoledì) e poi approderà di corsa alle Camere, con la speranza di tutti che sia votato entro una settimana. Renzi deve attenersi ai tempi istituzionali e frenare le intemperanze della Bellanova. «Il tempo è davvero finito e questa esperienza per me è archiviata. Arrivi questo benedetto Recovery Plan, ci si dia il tempo di valutarlo e ci si confronti in Consiglio dei Ministri».

Ed è su un mega accordo, tutto da vedere, che si muovono i fili di un esile trattativa che potrebbe maturare, almeno nelle speranze dei Dem. Impegnati a tacitare e blandire sia Renzi, sia Conte: le cui uscite belligeranti non sono granché gradite. «Il Pd – spiegano dalla trincea più esposta del Senato – si è convinto in blocco che il solo punto di ricongiungimento delle sorti della maggioranza sia un Conte ter e non un rimpasto dell’ attuale governo».

Ed ecco che si parla di un patto di legislatura, da stringere dopo il varo del Recovery, mettendo sul piatto un compromesso sul Mes e i soldi alla Sanità, sulla legge elettorale, le riforme e sugli altri nodi, come Autostrade e la Giustizia. Con l’ offerta a Iv del raddoppio della squadra, ingresso della Boschi al Lavoro e di Rosato alla Difesa assicurati.

Un bel colpo per Renzi, che però non si fida.

«Sono mesi che chiediamo di correre, il premier continua a rinviare come suo costume, noi abbiamo detto tutto ciò che vogliamo, nessuno ci cerca, ma noi siamo compatti nel dire che così non si va avanti». E se dice compatti è anche perché all’ assemblea dei gruppi di Iv, solo pochi hanno avuto il coraggio di obiettare che si potrebbe andare a sbattare, gli altri tutti più realisti del Re, che è apparso perfino più cauto sulla strategia da seguire.

Conte deve però accettare di trattare su tutto, mettendo nel conto le proprie dimissioni, previo un patto di ferro con il rottamatore e gli altri partiti.

«Se Matteo prende un impegno formale con Mattarella, che darà la fiducia a un Conte ter, poi non può certo disattenderlo», è l’ argomento con cui i sapienti ambasciatori del Pd provano a convincere Conte a saltare il fosso. «Si stanno creando le condizioni per andare avanti con un accordo», sospira Goffredo Bettini dopo un’ altra interminabile giornata di chiamate ai più alti livelli.

“Ora sanno che si fa sul serio” – «Hanno finalmente capito che noi si fa sul serio», nota Renzi, che a questo punto aspetta i testi completi del nuovo piano per poterli esaminare: arrivo previsto sui tavoli i Iv, oggi pomeriggio, domani sera o mercoledì al massimo cdm per approvarlo.

«Anche se non ci piace dobbiamo evitare di passare per quelli che bloccano il Recovery», ammonisce i suoi parlamentari e le sue ministre l’ ex premier. Consapevole che l’ arma delle dimissioni non è scarica ma solo rinviata di qualche giorno. Visto anche il forte pressing del Pd per far desistere il premier dal proposito di una conta in Parlamento che spaccherebbe tutti i fragili equilibri. «Se si arrivasse alle dimissioni delle nostre due ministre – minaccia Ettore Rosato – è chiaro che Conte per noi non potrebbe più avere un reincarico dal Colle anche se si dimettesse. Sarebbe rotto ogni legame».