Muro di Berlino, 10 cose che ancora non sai sulla sua storia

Dal concerto fantasma dei Rolling Stones alla Terza Berlino, dalle bugie dei leader comunisti alle frasi in tedesco di Kennedy, ecco le curiosità che non sapevate sul Muro più famoso del Novecento, nato come strumento di terrore e diventato, nel corso degli anni, un’architrave della cultura pop occidentale.

MURO DI BERLINO, 10 COSE CHE ANCORA NON SAI SULLA SUA STORIA

di Francesco Cancellato

Fonte: Fanpage

Sappiamo che il Muro di Berlino è stato abbattuto il 9 novembre del 1989, trent’anni fa. Sappiamo che divideva in due quella che oggi è la capitale della Germania unita, e che la sua divisione non era che la rappresentazione della divisione tra le due Germanie, quella dell’Est e quella dell’Ovest. Abbiamo visto mille volte i graffiti sulle sue pareti, e magari ci siamo fatti pure una foto, o un selfie, davanti al disegno di una Trabant che sfonda il cemento, o a quello di Erich Honecker, il padre padrone della Repubblica Democratica Tedesca, quella comunista, che bacia il segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica Leonid Brezhnev. Crediamo di sapere tutto, del Muro di Berlino, tanto l’abbiamo sentito nominare. Eppure ci sono tante cose che probabilmente ignoriamo.

1.La bugia di Ulbricht
Ad esempio, non sappiamo che il Muro di Berlino nacque da una bugia. È il 15 giugno del 1961 e Berlino è divisa in quattro parti, esattamente com’era stata divisa la Germania sconfitta alla fine della seconda guerra mondiale. Tre parti alle potenze occidentali vincitrici – Stati Uniti, Regno Unito e Francia -, una, quella orientale, all’Unione Sovietica. Per Berlino, però, è un problema. Perché pur essendo divisa a metà tra le potenze capitaliste e quella comunista, l’ex capitale tedesca è in mezzo alla Germania Est. Berlino Ovest, di fatto è un enclave occidentale in un Paese socialista.

Non è un dettaglio da poco. Perché per la Germania Est Berlino rappresenta una capitale dimezzata. E per i suoi abitanti l’occasione di fuga perfetta in Occidente. Basta passare un checkpoint e sei nel mondo libero, senza nemmeno dover attraversare la Cortina di Ferro. Per la Repubblica Democratica Tedesca, Berlino Ovest è una terribile minaccia. Provano a prendersela tedeschi dell’est e sovietici cingendola d’assedio, tra il 1948 e il 1949, con quello che passò alla storia come il Blocco di Berlino, ma non ce la fanno. E da allora, 2,5 milioni di tedeschi dell’est – per lo più scienziati, medici, professori universitari, ingegneri – scappano a Ovest, alla ricerca di un futuro migliore.

La Germania Est non ha scelta: deve impedire quel deflusso, altrimenti finirà per rimanere un Paese vuoto, vittima di un esodo di massa. Per impedirlo, bisogna evitare che chiunque abiti nella Germania Est possa andare a Berlino Ovest. Per farlo, serve un Muro. Bisogna costruirlo in segreto, però, per evitare che si scateni il panico, e che tutti vogliano scappare prima. È per questo che Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e Segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, decide di mentire spudoratamente alla giornalista tedesca occidentale Annamarie Doherr affermando candidamente che “nessuno ha intenzione di costruire un Muro” per impedire il passaggio tra le due parti della città. È il 15 giugno del 1961, dicevamo. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno i berlinesi dell’ovest si svegliano circondati da torrette e da rotoli di filo spinato. È l’inizio di una segregazione lunga ventotto anni.

2.Il vero nome del Muro di Berlino
Antifaschistischer Schutzwall, barriera di protezione antifascista. Se i muri avessero una carta d’identità questo sarebbe quel che leggereste sotto la voce “nome e cognome” del Muro di Berlino. Nei paradossi orwelliani dei regimi comunisti dell’est Europa, la muraglia per evitare l’esodo di massa diventa un baluardo contro un’inesistente invasione della Germania Ovest. Fascista, come se di là dal confine governasse ancora Adolf Hitler e non un uomo che al nazismo si oppose strenuamente, per tutta la sua vita, come Konrad Adenauer. Ironia della sorte – si fa per dire – sarà proprio nei lander orientali che faranno proseliti le forze di estrema destra, da Pegida ad Alternative fur Deutschland.

3.I numeri del Muro
Il Muro circonda Berlino Ovest ed è lungo 155 chilometri. Parlare di Muro, tuttavia, è quantomeno improprio. Tanto per cominciare, ci sono ben quattro generazioni del Muro di Berlino. La prima è una recinzione di filo spinato, ma dura solo un paio di giorni. Già a partire dal 15 agosto iniziarono a essere utilizzati blocchi di cemento e pietra. L’anno successivo, viene costruito un secondo muro, all’interno del territorio orientale, per rendere ancora più difficile l’attraversamento verso Ovest. Di muri, insomma ce ne sono due. E in mezzo c’è la striscia della morte, presidiata da 302 torri di guardia con cecchini armati. Nel 1965 inizia la costruzione del Muro di terza generazione, composto da lastre di cemento armato collegate da montanti di acciaio e coperti da un tubo di cemento. La quarta generazione del Muro, datata 1975, è ancora più resistente, più alta e più semplice da assemblare. È questa quella che verrà abbattuta quattordici anni dopo, nel 1989. 4.Checkpoint Charlie
La barriera che divise le due Berlino nel 1961 aveva un solo punto di passaggio. Si chiamava Checkpoint Charlie e costituiva l’unico varco d’accesso al settore sovietico per i diplomatici occidentali, e per i turisti stranieri. Di fatto, era un punto di passaggio unidirezionale: serviva solo per andare da Ovest e Est, e per questo era gestito solamente dai soldati alleati. Il suo aspetto dimesso – una casupola di legno, qualche sacco di sabbia – era frutto di una precisa scelta politica del comando americano, per contrapporlo alle torrette di guardia e all’imponente dispiegamento militare del vicino checkpoint della Germania Est.

Anche solo per questo, per il suo essere una specie di finestra su una parete lunga 155 chilometri, il Checkpoint Charlie divenne una specie di luogo di culto. Soprattutto, inizialmente, fu il principale teatro dei tentativi di fuga da Est a Ovest: nel 1961, un fotografo di nome Horst Beyer allestì un servizio fotografico presso il posto di blocco e poi saltò oltre il confine fingendo di scattare foto. Nell’aprile del 1962, invece, Heinz Meixner nascose la sua ragazza e la madre di lei all’interno di una macchina decappottabile e riuscì a trasportarle a Berlino Ovest attraversando il posto di blocco ad altissima velocità.

Non solo fughe, però: il 22 ottobre 1961 il diplomatico americano Allan Lightner tentò di attraversare il Checkpoint Charlie per assistere all’opera e si rifiutò di far controllare i propri documenti alle guardie di confine sovietiche. Per liberare il loro diplomatico, gli americani schierarono dieci carri armati vicino al confine e per tutta risposta i russi ne schierarono quindici vicino al confine orientale. Per circa 16 ore, le due parti si fissarono a vicenda in uno degli undici incontri ravvicinati armati della Guerra Fredda. Fu una telefonata tra il presidente John F. Kennedy e il leader sovietico Nikita Kruscev a evitare un’apocalisse nucleare.

Negli anni della Berlino divisa il Checkpoint Charlie fu anche d’ispirazione per numerosi artisti: “Non avevo mai visto il Muro e mi feci portare da un taxi al Check Point Charlie, punto di passaggio tra Berlino Est e Berlino Ovest – ha raccontato Lucio Dalla in un’intervista -. Chiesi al tassista di aspettare qualche minuto. Mi sedetti su una panchina e mi accesi una sigaretta. Poco dopo si fermò un altro taxi. Ne discese Phil Collins che si sedette nella panchina accanto alla mia e anche lui si mise a fumare una sigaretta. In quei giorni a Berlino c’era un concerto dei Genesis, che erano un mio mito. Tanto che mi venne la tentazione di avvicinarmi a Collins per conoscerlo, per dirgli che anch’io ero un musicista. Ma non volli spezzare la magia di quel momento. Rimanemmo mezz’ora in silenzio, ognuno per gli affari suoi. In quella mezz’ora scrissi il testo di Futura, la storia di questi due amanti, uno di Berlino Est, l’altro di Berlino Ovest che progettano di fare una figlia che si chiamerà Futura”.

5.“Ich bin ein Berliner”: il discorso di Kennedy
John Fitzgerald Kennedy arrivò a Berlino Ovest la mattina del 26 di giugno. Nel testo ufficiale del discorso, l’ultimo scritto da Ted Sorensen, non c’erano frasi in tedesco. Nella copia che il presidente portava con sé, invece, di frasi in tedesco ce n’erano ben due, aggiunte a mano. Quando arrivò al Municipio di Schoenberg, a sud-ovest della città, lontano dal Muro, c’erano 450mila persone ad attenderlo. Era la prima volta che un presidente americano metteva piede a Berlino dalla fine della seconda guerra mondiale. La prima a Berlino Ovest, enclave murata dell’Occidente dentro la Germania Est: “Duecento anni fa, l’urlo più orgoglioso che si poteva levare era “civis romanus sum”, sono cittadino romano. Oggi, nel mondo libero, il più orgoglioso dei gridi è “Ich bin ein Berliner”, sono berlinese”.  La folla esplose in un boato di gioia e in una altrettanto fragorosa risata, quando lo stesso Kennedy, da navigato showman della politica, si prese in giro da solo: “Apprezzo l’interprete che traduce il mio tedesco”, disse.

Su quel discorso si sono moltiplicate le leggende. C’è chi dice che Kennedy chiese all’interprete di tradurgli in tedesco “Io sono berlinese” prima di salire sul palco, quando invece pare lo stesse provando da mesi nello Studio Ovale della Casa Bianca, pur con scarsissimi risultati. Di sicuro, c’è che quel discorso era un usato sicuro: Kennedy aveva già pronunciato un discorso simile pochi mesi prima, il 4 maggio 1962, a New Orleans e aveva deciso di riproporre quel passaggio tale e quale a Berlino. Di sicuro c’è pure l’effetto che ebbero quelle parole: con quel discorso Kennedy rese palese agli occhi del mondo che Berlino Est era ufficialmente parte del blocco sovietico e Berlino, nella sua interezza, non era più una città libera, occupata dalle quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Quel giorno, in tutto il mondo, ognuno si chiese se fosse berlinese o meno.

6.La metropolitana contesa
Chi è stato a Berlino recentemente avrà sicuramente preso un treno della S-Bahn, la grande linea ferroviaria metropolitana sopraelevata, che taglia in due Berlino da Est a Ovest. Tutto normale, oggi. Ma al tempo delle due Berlino, come fu gestita questa infrastruttura? Non fu così semplice: la ferrovia urbana della S-Bahn era sempre stata gestita dalla Reichsbahn, la cui sede si trovava accidentalmente nella parte orientale della città ed era quindi finita sotto il controllo della Ddr. Chi saliva sui vagoni della S-Bahn nel tratto di Berlino Ovest si ritrovava pertanto su treni di proprietà di Berlino Est, con personale di bordo di Berlino Ovest che indossava però le uniformi di Berlino Est e che veniva pagato da Berlino Est con marchi tedeschi dell’Ovest, frutto dei biglietti acquistati all’Ovest ma che riempivano le casse di un’azienda dell’Est. Piccola, ulteriore follia: in Bernauer Strasse, nel pieno centro di Berlino, l’ingresso della fermata della metropolitana era a Ovest, mentre la banchina era a Est.

7.La grande fuga in mongolfiera
In molti, nei ventisette anni precedenti, avevano provato a superare il Muro. I numeri raccontano di circa cinquemila tentativi riusciti e di duecento persone morte mentre azzardavano l’impresa. Nessuna fuga, tuttavia, fu spettacolare come quella di Hans Strelczyk e Günter Wetzel, rispettivamente meccanico e muratore. Grazie alle loro abilità manuali, ad alcuni volumi presi in biblioteca e alle loro mogli, che cucirono tra loro pezzi di vestiti e lenzuola a formare un pallone, riuscirono nell’impresa di costruire una mongolfiera che li trasportasse dall’Est all’Ovest. Il primo tentativo non andò a buon fine, e nemmeno il secondo, ma nessuno si accorse di ciò che stavano cercando di fare. Ci provarono una terza volta, nella notte del 16 settembre 1979, e stavolta riuscirono ad alzarsi da terra. Volarono per due chilometri e mezzo sopra una distesa buia fino a che non furono costretti ad atterrare di nuovo, a causa del malfunzionamento della mongolfiera. Nel tornare a casa, ormai arresisi, incrociarono una guardia che indossava la divisa della Repubblica Federale.  Ce l’avevano fatta. Da quel momento, la Repubblica Democratica Tedesca bandì l’uso delle mongolfiere su tutto il territorio nazionale.

8.Il concerto fantasma dei Rolling Stones
Era il 1969, e i giovani di Berlino Est erano, a modo loro, fortunati. A differenza di tutti gli altri abitanti della Repubblica Democratica Tedesca potevano ascoltare il rock n roll occidentale intercettando le radio di Berlino Ovest. Peccato che questo li esponesse anche a scherzi piuttosto crudeli, dalle conseguenze talvolta tragiche: durante il programma musicale Treffpunkt, ad esempio, uno speaker radiofonico di Berlino Ovest chiamato Kai Blömer aveva annunciato infatti che il successivo 7 ottobre, nel giorno delle celebrazioni per i vent’anni della Repubblica Democratica Tedesca, i Rolling Stones si sarebbero esibiti sul tetto della sede della casa editrice Axel Springer, un palazzo talmente vicino al Checkpoint Charlie che al concerto avrebbero potuto assistere anche i tedeschi dell’Est.

Raccontano le cronache che Blömer avesse specificato già durante la diretta che si trattava di uno scherzo e che non ci sarebbe stato alcun concerto, ma, si sa, la gente tende a credere a ciò che desidera: il giorno delle solenni celebrazioni della Ddr, mentre la parata militare sfilava ad Alexanderplatz sotto gli occhi severi del presidente Erich Honecker, migliaia di giovani si erano radunati nei pressi del Muro in attesa degli Stones. Gli scontri tra i giovani e la polizia iniziaro- no verso le 17, quando si scoprì che il concerto non ci sareb- be stato: furono arrestati 383 ragazzi. Uno di loro, il sedicenne Eckard Mann, sorpreso a urlare «Freiheit», libertà, si ritrovò a scontare 762 giorni di carcere. Il Politburo della Ddr parlò di «una chiara provocazione del nemico di classe».

Dopo quel giorno i Rolling Stones, già allora all’indice, divennero materiale sovversivo e controrivoluzionario: «È davvero necessario copiare qualsiasi schifezza che viene dall’Occidente?» affermò a tal proposito Walter Ulbricht, capo del Comitato centrale del Partito comunista della Germania Est dal 1950 al 1971. «Credo, compagni, che la monotonia di questo yeah-yeah-yeah debba essere fermata.» Essere sorpresi ad ascoltare gli Stones significava essere davvero nei guai, a Berlino Est.9.La terza Berlino
Le due Berlino, Est e Ovest, le conosciamo tutti. In pochi sanno, però, che di Berlino, per un mese esatto, ce ne fu anche una terza: il Triangolo Lenné, altrimenti detto Kubatstan, o anche rechtsfreier raum, territorio al di fuori del diritto. La storia comincia nel 1984, quando arriva sul tavolo del sindaco di Berlino Ovest il progetto di un’autostrada urbana, la Westtangente. Il progetto piace molto, ma c’è un problema: l’ultimo maledetto territorio conteso nel centro di Berlino – a Ovest del Muro, ma di proprietà dell’Est – che nessuno aveva mai considerato. Si tratta di un’area di forma triangolare tra il Tiergarden e Potsdamer Platz, che si situa esattamente nel punto in cui sarebbe dovuta passare la strada, a sud del parco. Incastonata tra Ebertstrasse, Bellevuestrasse e Lennenstrasse, era una distesa incolta in cui nessuno metteva piede da decenni e che, complice la vicinanza del Tiergarden, era diventata una foresta. O, meglio ancora, una piccola oasi di biodiversità, con 168 specie diverse di flora e fauna che crescevano in pace, libere dall’intervento umano, incuranti che lì a due passi ci fosse il cuore della guerra fredda. Quell’area si chiamava Triangolo Lenné.

Le trattative iniziano nel 1984 e, come da tradizione berlinese, durano ben quattro anni, fino al 31 marzo 1988, quando tra le due amministrazioni viene raggiunto un accordo: dal successivo 1 luglio il Triangolo Lenné sarebbe diventato parte di Berlino Ovest, mentre altri quattro territori contesi sarebbero stati annessi a Berlino Est, assieme a un indennizzo di 76 milioni di marchi. Il condizionale è d’obbligo, perché qualcuno non ci sta. Più precisamente, si tratta di tutti quei gruppi di antagonisti, ecologisti, punk e anarchici, vera e propria sottocultura egemone nella Berlino Ovest degli anni Ottanta.

Il 1 maggio del 1987 questi gruppi antagonisti diedero vita, a Kreuzberg, a uno dei più feroci episodi di guerriglia urbana che si ricordi in una città occidentale: un supermercato fu incendiato, vetrine e negozi saccheggiati, un quartiere intero venne messo a ferro e fuoco. Uno dei contestatori, Norbert Kubat, che fu arrestato per il presunto coinvolgimento nel saccheggio di un supermercato a Kreuzberg, si suicidò in carcere il 26 maggio. E fu proprio durante la commemorazione in suo onore, esattamente un anno dopo, che uno dei leader degli antagonisti berlinesi, il carismatico capo degli ecologisti Stephan Noë, propose di occupare il Triangolo Lenné per impedirne la distruzione e il passaggio dell’autostrada. In onore del compagno morto suicida, disse, quel territorio si sarebbe chiamato Kubatdreieck, Triangolo Kubat. E sarebbe stato proclamato rechtsfreier raum, territorio al di fuori del diritto.

L’occupazione iniziò il successivo 1 giugno. Quando la polizia della Repubblica Federale Tedesca arrivò sul posto, si trovò di fronte a una grande scritta su un muro, con una freccia che indicava il Triangolo Lenné. Durchs wilde Kubatstan, diceva: per di là, attraverso il selvaggio Kubatstan. Nel mezzo della foresta, squatter, punk, anarchici ed ecologisti stavano ricreando un piccolo villaggio fatto di baracche e capanne di legno, orti da coltivare e piccoli recinti per l’allevamento di animali.  All’occupazione del Triangolo Lenné il governo della Repubblica Federale rispose col pugno di ferro, facendo la più berlinese di tutte cose, perlomeno per quell’epoca: circondò l’area col filo spinato e mura l’enclave per sorvegliarla a vista. Anche perché, piccolo dettaglio, non poteva intervenire militarmente su un territorio che, almeno formalmente, era ancora di proprietà della Germania Est fino al 1 di luglio. Nel frattempo anche la Ddr si guardava bene dall’intervenire e si godeva lo spettacolo di una Germania Ovest finalmente dalla parte dei cattivi agli occhi dell’opinione pubblica.

È l’alba del 1 luglio quando novecento poliziotti occidentali fanno finalmente il loro ingresso nella Terza Berlino in tenuta antisommossa, con cartuccere piene di munizioni e camionette rinforzate, e distruggono tutto quel che si trovano davanti, dalle capanne agli orti alle gabbie per allevare gli animali da cortile. Distruggono tutto, ma non trovano nessuno. Nella notte, a loro insaputa, i tedeschi dell’Est hanno disposto una serie di scale lungo il tracciato del Muro e radunato decine di camionette per portare gli occupanti lonta-no da lì, per offrire agli abitanti del Triangolo Lenné una comoda via di fuga verso Berlino Est.

10.Il Bacio e la East Side Gallery


Il Muro di Berlino non è stato solo una barriera che divideva due città e due mondi. È stato, anche, una galleria d’arte a cielo aperto. Il lato occidentale del Muro, infatti, fu coperto di graffiti e opere d’arte dei più (e meno famosi) street Artist del mondo, nel tentativo di togliere un po’ di grigiore, perlomeno sul lato in cui era concesso, a quel monumento alla segregazione.

Fu dopo l’abbattimento del Muro, tuttavia, che anche il lato orientale venne colorato dagli street artist più famosi del mondo. Così nacque la East Side Gallery, la galleria del lato orientale, ancora oggi visibile sulla riva orientale del fiume Sprea, nel quartiere di Frierichshain. La chiamata alle armi – pardon: alle bombolette – fu opera dell’artista francese Thierry Noir, che attrasse ben 129 artisti da 20 Paesi del mondo accorsero per la realizzazione dei famosi graffiti sul Muro di Berlino.  L’immagine simbolo del muro di Berlino è oggi il bacio “socialista” fra Erich Honecker e il segretario del PCUS Leonid Brežnev. L’artista Dmitri Vrubel ne fu l’ideatore e il realizzatore. “MeinGott, hilfmir, diesetödlicheLiebezuüberleben” o “Mio Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale”, è la famosa frase che accompagna il cosiddetto “bacio mortale”. “Test the Rest”, cioè “sperimenta il resto” è la scritta che, invece, accompagna la mitica Trabant, targata 9 novembre 1989. Rappresenta l’auto simbolo della Germania divisa e fu ideata e firmata da Birgit Kinder, nel suo desiderio di debellare il buio opprimente del muro.