Napoli, il film di Rubini e la “rivoluzione” di Eduardo

“Napoli è un teatro all’aperto, il popolo è una compagnia in cui ognuno recita una parte, una caricatura. E lo fa lasciandosi guardare”.

di Giorgio Amadori

Fonte: Sentieri Selvaggi

Eduardo De Filippo deve uccidere, artisticamente parlando, suo padre, il grande Eduardo Scarpetta. Ha in mente un nuovo teatro, che abbia nell’osservazione delle persone la principale fonte da cui attingere. Un teatro dell’umorismo, che sappia far ridere ma con amarezza. È rimasto folgorato da Quattro personaggi in cerca d’autore e ha capito che la novità è rappresentata dal teatro di Pirandello. Per questo, propone al fratello Peppino e alla sorella Titina quella che, a tutti gli effetti, è una vera e propria rivoluzione nei confronti del teatro tanto amato (fino a quel momento) del padre. Un padre che, certo, non ha fatto mancare nulla ai tre fratelli ma che non li ha mai riconosciuti come suoi figli legittimi: “La fortuna nostra è che nostro padre non c’ha lasciato nulla, a partire dal nome…”

Sergio Rubini mette in scena quello che, a detta sua, è il primo capitolo di una epopea sul geniale trio napoletano, “I fratelli De Filippo”, andato in onda in prima serata su Raiuno il 30 dicembre. Il film è la solida base su cui poggiare un progetto, in lavorazione da circa 7 anni, che acquisterà nei prossimi anni la forma della serie tv. Destino ha voluto che il film, presentato alla Festa del cinema di Roma, sia uscito a pochi mesi da Qui rido io, opera di Mario Martone, proprio su Eduardo Scarpetta, presentata, invece, al 78esimo Festival di Venezia.

I due progetti nascono e si sviluppano su due binari paralleli, formalmente e concettualmente. Il film di Martone è il ritratto di (una) famiglia/compagnia guidata da un capo(comico) che pretende che tutti rispettino il copione. Questa unica grande famiglia, nella vita come nel teatro, è destinata a scindersi nel film di Rubini che anzi accentua il grado di separazione tra gli Scarpetta e i De Filippo. L’Eduardo Scarpetta capo-tribù, interpretato dall’istrionico Servillo, lascia la scena ad un autoritario Giancarlo Giannini, tanto pieno d’amore nei confronti degli Scarpetta, quanto pieno di risentimento e rimproveri nei confronti dei De Filippo. Quello che, però, non può evitare di fare è riconoscere il talento di Eduardo: “Ti sei arrubbato l’arte”.

È un film di divisioni e scontri quello di Rubini, dove il conflitto tra i due rami della famiglia si estende lentamente all’interno del trio di fratelli. Litigi e risentimenti (soprattutto tra Eduardo e Peppino) non si pacificheranno mai, anzi, esploderanno nel dopo guerra.

Ma I fratelli De Filippo è il racconto all’origine della leggenda. Un racconto sulla giovinezza dei tre fratelli, sul loro desiderio di riscatto, pazientemente celato. Il regista di Colpo d’occhio cerca di catturare l’entusiasmo giovanile di Eduardo, Titina e Peppino, i loro sacrifici e il loro spirito rivoluzionario. Il sipario del loro teatro si apre sulle strade di Napoli, sulla vita di tutti giorni, come la tenda della loro cameretta, dalla quale sbirciavano lo “zio” e la madre. La visione di Rubini è estremamente incoraggiante. Dal dolore, dalla povertà, dalla discriminazione è possibile rinascere e creare dell’arte. Ecco la risposta alla domanda di Peppino: “Che cos’è il teatro?” Gioie e dolori. È rubare dalla vita, perché come confida Eduardo al fratello “la vita è una commedia dove il pianto e la risata sono ammogliati…”.