‘Ndrangheta e massoneria: i retroscena dell’incontro “segreto” tra Cordova e Di Bernardo

Giuliano Di Bernardo

Nel 1992 il procuratore di Palmi Agostino Cordova avvia una inchiesta sui rapporti tra ‘ndrangheta e massoneria, e chiede al Grande Oriente d’Italia gli elenchi dei massoni calabresi esattamente come stava facendo la Bindi qualche anno fa.

Allora era Giuliano Di Bernardo a capo del GOI. Il Di Bernardo mostra un atteggiamento collaborativo, nonostante le pressioni interne, perché si convince che il lavoro di Cordova era fondato basandosi su elementi concreti.

A tale riguardo, ecco dei particolari interessanti raccontati dal Pinotti nel suo libro Fratelli d’Italia in cui intervista il Di Bernardo.

‘Di Bernardo, in quel momento, si sente in dovere di opporre resistenza all’inchiesta, ma qualcosa lentamente lo convince che il lavoro di Cordova non è infondato, che l’inchiesta del magistrato si basa su elementi concreti. E’ il passaggio più difficile del suo racconto.

«Un giorno mi sono recato a incontrare Cordova in un luogo segreto. Ricordo ancora vividamente quell’incontro. Il magistrato mi guardò fisso e mi apostrofò con queste parole: ‘Professore, lei lo sa di essere un fiore su una palude? Lo sa di rappresentare delle realtà con le quali lei non ha nulla a che fare?’ Cordova disse proprio così».

Come valutò il professore quelle parole?

«Inizialmente reagii male: ‘Come si permette di dire cose del genere? Le può dire solo se è in grado di dimostrarle’». Ma poi qualcosa mutò il suo atteggiamento. Di Bernardo spiega che Cordova gli produsse vasta evidenza empirica dei fatti, che le indagini sulle connessioni tra mafia, ‘ndrangheta e massoneria si basavano su denunce che provenivano addirittura dagli stessi massoni, cioè da liberi muratori onesti preoccupati del dilagare dei comitati d’affari e delle collusioni pericolose con ambienti malavitosi.

Agostino Cordova

Di fronte a queste rivelazioni, avvenute nell’incontro «segreto», Di Bernardo resta senza parole, ammutolito da una realtà molto più complessa di quella che poteva immaginare. Gli addebiti dell’inchiesta Cordova non sono fantasie, ma provengono addirittura dall’interno del Grande Oriente.

Non si trattava delle persecuzioni di un magistrato; ma di «fratelli» onesti, che erano stanchi di essere affiancati a disinvolti affaristi. Di Bernardo deve affrontare un grosso dilemma morale: collaborare con la magistratura, dando così ai «fratelli» l’impressione di averli traditi, o assumere un atteggiamento di cieca difesa, tradendo così la propria coscienza?

Il Gran Maestro, in cuor suo, sente che non può ignorare quanto il magistrato gli sta dicendo; che il suo interlocutore ha delle ragioni serie per indagare. Sceglie così di collaborare con la giustizia, difendendo allo stesso tempo le ragioni della parte pulita della massoneria. Ma è una linea troppo sottile per essere compresa. Attorno a Di Bernardo si scatena un violento scontro, che non può essere percepito dall’esterno ma che scuote dalle fondamenta l’istituzione massonica’

(Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 64-65)

Questa sua collaborazione con Cordova fece dunque infuriare il GOI, che gli si rivolta contro e lo lascia solo per indurlo a dimettersi, e difatti il 20 marzo 1993 durante una assemblea il Di Bernardo quando prende la parola e lancia accuse. Accuse contro gli istigatori dell’ormai evidente progetto. Contro coloro che ne erano diventati portavoce. Contro tutti quelli che si erano riuniti la sera precedente. Contro il governo dell’Ordine. Contro i Gran Maestri Onorari. Di Bernardo precisa e rilancia nuove accuse. Dichiara di essere stato lasciato solo. Isolato. Di non avere avuto alcun appoggio per le richieste di epurazione di alcuni fratelli. Di essere stato ostacolato nel suo progetto di trasparenza. Le accuse sono forti e cadono precise. Nella sala il silenzio è assoluto’.

(Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 70)

Nel libro Oltre la cupola si legge a proposito di quegli eventi.

‘E dentro al Goi si scatena la bagarre. Il Gran Maestro Di Bernardo propone l’operazione trasparenza, ma nessuno lo segue su questo terreno. Anzi, gli fanno poco alla volta le scarpe. Al Vascello, la grande casa del Goi tra villa Pamphili e il Gianicolo, si apre una lotta senza esclusione di colpi. Armando Corona si mette alla testa dei rivoltosi, non perdona a Di Bernardo di essere stato morbido con Cordova. La battaglia si svolge per qualche settimana alla pari, ma il timore di sbragare di fronte ai giudici sposta definitivamente l’ago della bilancia a favore dei ribelli’

(Francesco Forgione & Paolo Mondani, Oltre la cupola: massoneria mafia politica, pag. 218)

Ma quel violento scontro scoppiato all’interno della Massoneria contro il Di Bernardo è fatto anche di gravissime minacce che ricevono sia il Di Bernardo che la sua famiglia, minacce che lo porteranno a decidere di dimettersi e di uscire dal Grande Oriente d’Italia. Egli infatti il 14 Aprile 1993 convoca una riunione dei membri di Giunta del Grande Oriente, in cui afferma: «Volevo comunicarvi le mie decisioni. Ho ricevuto minacce gravissime e con me tutta la mia famiglia. Ho visto mia madre piangere per l’inquietudine che avevano suscitato in lei quelle minacce. Ne hanno ricevute mia moglie e i miei figli. La mia famiglia è spaventata e vive in constante angoscia. Ho quindi deciso di dimettermi’.

(citato in Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 73)