‘Ndrangheta e massoneria, Lupacchini: “C’è una rete familistica tremenda che ingabbia la Calabria e va combattuta diversamente”

Il procuratore generale della Corte d’Appello di Catanzaro, Otello Lupacchini, è un magistrato che non ha bisogno di presentazioni, specie per chi segue da tempo Iacchite’. Lupacchini ha condotto tra le più importanti indagini della storia della Repubblica occupandosi della Banda della Magliana, degli omicidi del banchiere Roberto Calvi, del generale americano Lemmon Hunt e del professore Massimo D’Antona, nonché della strage di Bologna e della strage brigatista di via Prati di Papa.

Ma i lettori di Iacchite’ lo conoscono soprattutto perché, nella qualità di ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, ha scandagliato a lungo tra le pieghe del “sistema Calabria” che ormai da trentanni ammorba la nostra regione. Gli atti della sua relazione ispettiva del 2005, ovviamente “off limits” per tutti i media servi del potere del nostro Paese e soprattutto della nostra regione, sono stati e sono tuttora gli articoli più importanti pubblicati sul nostro giornale.

In questi atti si parla, con tanto di nomi e cognomi, di com’è stato possibile che questa tremenda “rete” di inestricabili rapporti familiari, ‘ndranghetisti, politici e massonici abbia ingabbiato e ingabbi ancora la Calabria. Di conseguenza, la sua opinione sull’ultimo blitz di Gratteri non solo è importante ma è fondamentale per capire che cosa stiamo combattendo e soprattutto come lo stiamo facendo. E Lupacchini, che non è mai andato d’accordo con Gratteri, mandava una serie di messaggi essenziali a tutti i calabresi che, come lui, conoscono fin troppo bene, subendola sulla loro pelle, la potenza devastante di questa “rete”. Purtroppo, i poteri forti di questa nazione non hanno tardato a mettersi in moto e proprio ieri hanno reso nota la decisione di trasferire d’ufficio Lupacchini a Torino avendo peccato di “lesa maestà”. Nel salutarlo e ringraziarlo per quello che ha fatto e speriamo continuerà a fare, ricordiamo a tutti perché è stato “eliminato” dopo aver osato spiegare a Gratteri come si combatte la ‘ndrangheta, al di là dei giochi di prestigio che non incantano più nessuno.

Otello Lupacchini ha affidato le sue considerazioni ad una intervista rilasciata a Tgcom24. Noi l’abbiamo vista ed ascoltata con qualche giorno di ritardo e riteniamo che la sua pubblicazione sia necessaria per capire fino in fondo la gravità della situazione. Anche perché, a 15 anni di distanza da quell’ispezione ministeriale, è la prima volta che Lupacchini commenta pubblicamente quelle drammatiche e quasi incredibili circostanze.

“Quindici anni fa – ricorda Lupacchini – svolsi un’inchiesta di carattere amministrativo relativa a delle anomalie riscontrate all’interno degli ambienti della magistratura. In quella occasione ebbi modo di segnalare (ma poi la cosa non ebbe seguito perché evidentemente venne gestita a livello politico) che vi erano delle connessioni, che vi era una sorta di “rete” addirittura familiare, dove all’interno della stessa famiglia trovavamo dal prete al funzionario di polizia, dal massone allo ‘ndranghetista, dal politico al magistrato… e chiaramente operavano insieme meravigliosamente…“.

“Allora il problema era l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e le infiltrazioni sui lavori autostradali. Successivamente scoppiò lo scandalo Why Not e oggi arriva, buon’ultima, l’operazione di Vibo Valentia. In tutti i casi – al di là di quella che è l’assoluta non conoscenza di quanto c’è dietro all’ultima operazione – c’è questa “rete” tremenda che ingabbia l’intera Calabria“.

Qui il problema, signori, non è quello di smontare la Calabria come un Lego, il problema è l’inverso, cioè RICOSTRUIRE la Calabria laddove tutte queste operazioni di cui stiamo parlando, altro non fanno che segnalare il FALLIMENTO DELLA PREVENZIONE. In pratica, sono la celebrazione dell’insuccesso di quella che è la funzione fondamentale di polizia a cui la magistratura in qualche modo è chiamata a mettere una toppa in termini repressivi”.

“Occorrerebbe intervenire non quando il danno è già evidente, è necessario intervenire in una situazione di normalità. Abbiamo una classe politica fortemente inquinata e infiltrata dalle organizzazioni mafiose. Questo può dipendere da carenze di carattere legislativo, non necessariamente penale; da carenze di carattere educativo, non necessariamente condotte nelle carceri; da carenze di carattere culturale, che fanno sì che determinati soggetti comunque collocati in questo ambito familistico, in una organizzazione amministrativa, giudiziaria e politica, riescono ad esprimere soltanto il peggio di se, il peggio della Calabria e non innalzano invece il livello di consapevolezza del proprio ruolo, di importanza della propria funzione e della legalità, non intesa come foglia di fico da mettere sempre davanti a qualsiasi discorso… Per poi non affrontare mai il discorso in termini di politica criminale piuttosto che di politica penale o di politica penale dell’ordine pubblico“.

Ce n’era abbastanza per “consigliare” a Gratteri di confrontarsi? E’ del tutto evidente che a Lupacchini – come a tanti altri – non sia piaciuta per niente la metafora della Calabria da smontare come un trenino Lego. Qui il problema, per dirla con Lupacchini, è esattamente l’inverso: la Calabria va ricostruita e non smontata, possibilmente intervenendo in maniera diversa dalla “solita” operazione mediatica che non risolve un bel nulla. E c’è bisogno di magistrati che abbiano una visione complessiva del problema, senza niente togliere a Gratteri, con il quale si poteva e si doveva invece aprire un canale importante di dialogo e comunicazione, che andasse al di là di faide che adesso – una volta scoperto dove si trova il marcio – non hanno più motivo di esistere.  Ma evidentemente i poteri forti non la pensano allo stesso modo. Amen.