‘Ndrangheta e politica, quando Tursi Prato spiegava la “rete” della Calabria a De Magistris

Qualche tempo fa, raccontando la storia della massomafia calabrese, ricordavamo i tempi in cui Paolo Romeo, il “Salvo Lima reggino” e Pino Tursi Prato, il faccendiere cosentino eterno capro espiatorio dei politici corrotti, al bar “Cordon Bleu” di Reggio Calabria, insieme a Marilina Intrieri (che ha sempre avuto un grande feeling con Tursi Prato), pianificavano l’elezione di Scopelliti a Governatore della Calabria.

Tutto ciò accadeva nel 2009. Due anni prima, mentre Tursi Prato si trovava ancora in carcere a scontare una condanna definitiva per voto di scambio, gli era venuto lo schiribizzo di collaborare con la giustizia. Incontra De Magistris (erano i tempi di “Why not”) e parla con il pm Eugenio Facciolla che indagava sull’affaire “Eolico”, ma rinuncia al suo proposito quando l’attuale sindaco di Napoli viene sollevato dall’incarico.

Il superteste Tursi Prato e la Rete

Pino Tursi Prato all’epoca spiega a De Magistris (anche e soprattutto per uscire prima dal carcere…) che cos’era “la Rete”.  Nel verbale di 43 pagine redatto l’11 ottobre 2007 nell’ambito dell’inchiesta Why Not, il faccendiere cosentino non aveva esitato a gettare fango e diffidenza sul meccanismo dell’assegnazione degli appalti pubblici e sulla trasparenza delle istituzioni.

Un verbale esplosivo in cui il testimone, sentito come persona informata sui fatti, descrive minuziosamente il sistema di collusione e spartizione dei finanziamenti pubblici alla cui testa ci sarebbe stata una cupola e che ha coinvolto trasversalmente i più importanti esponenti della politica calabrese a livello locale, nazionale ed europeo.

Pino Tursi Prato

Compaiono i nomi di Abramo, Gentile, Morelli, Loiero, Minniti, Mastella, Prodi.

Un sistema che, non a caso, Tursi Prato chiama “rete” per spiegare il grado di penetrazione, la vastità, la pervasività di un’organizzazione alla cui base ci sarebbero forti legami di solidarietà e mutuo soccorso. Un sistema che sfruttava la società Why not per il drenaggio di fondi pubblici, il piazzamento di uomini ad hoc e lo scambio di voti tra imprenditoria e politica. Con contatti assolutamente influenti anche a Bruxelles dove pare che Antonio Saladino si occupasse direttamente di seguire la questione del P.O.R. Calabria.

Agazio Loiero

Ed in merito al meccanismo di voto di scambio dà la sua lineare spiegazione: “Io ti finanzio un progetto, te lo finanzio a condizione che tu mi assumi le persone che dico io, le persone che ti dico io mi fanno i voti…”. Cioè, voglio dire poi, siccome poi lui deve accontentare tutti e lui è il centro, il perno del sistema poi, nel momento in cui si tratta di fare una campagna elettorale di tipo Loiero-Abramo, lui mette in moto una struttura a servizio del Presidente – in quel caso è stato LOIERO – ha messo tutta la struttura…”.

Ma il 22 ottobre 2007, giorno in cui avrebbe dovuto essere risentito, l’incontro risulta annullato a seguito del provvedimento di avocazione sull’inchiesta. Insomma, De Magistris fermato esattamente come Cordova negli anni Novanta. Troppi “pezzi grossi” nel calderone.

La vicenda TelCal

E proprio nell’ambito di questa inchiesta viene tirata in ballo anche la vicenda della TelCal, un consorzio a partecipazione pubblica deputato alla costruzione delle infrastrutture informatiche in Calabria.

Il Consorzio TelCal era costituito da Regione Calabria con una partecipazione del 40%, Telecom Italia con il 20%, Intersiel con il 24% e Italeco con il 12% (queste ultime controllate da Telecom) e competente per l’attuazione del nuovo Piano Telematico Calabria. Il progetto fu finanziato con una pioggia di miliardi dal Ministero per la Ricerca Scientifica e tecnologica (oggi MIUR) con lo scopo di realizzare un’efficiente rete infotelematica regionale su cui fare viaggiare una vasta gamma di servizi di Information and Communication Technology.

Dice ancora Tursi Prato: “Il progetto TelCal era un’operazione di centinaia e centinaia di miliardi. Produsse, secondo me, effetti minori rispetto a quelle che erano…”. Precisamente 409 miliardi. Che non si sa né dove siano finiti né tantomeno che benefici abbiano portato alla comunità. 

Dal 2003, infatti, “con la chiusura di tutti i servizi del Piano Telematico Calabria operata dalla Regione e la mancata certificazione da parte di questa delle competenze acquisite dal personale ex TelCal (la costosissima quanto inutile “formazione Consiel” effettuata con il placet regionale), la società diretta da Enza Bruno Bossio, moglie del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Nicola Adamo, “alcuni dipendenti della TelCal vengono assorbiti da Why Not in qualche centinaio e questi dipendenti per un passaggio, diciamo, di qualche mese… poi non gli rinnovarono il contratto e alcuni di questi rimasero a lavorare nel giro della Regione in diversi dipartimenti. Li facevano girare con contratti a tre mesi, a due mesi, però gli davano, diciamo, la certezza, la garanzia: “Vediamo di sistemare la cosa…” E questo discorso parte proprio dal… Chiaravalloti…. Franco Morelli, il quale era il tramite di questo gruppo, dove anche la Bruno Bossio seguiva questo…”.

Un consorzio che viene sciolto, con il primo abbandono di Telecom e delle controllate. perché non ci sono più fondi disponibili da sfruttare secondo quanto dichiarato da Tursi Prato.

Quando compare una nuova società di gestione del personale concorrente alla Why Not, che “praticamente comincia a far firmare dei precontratti a questi ragazzi, lì succede la fine del mondo”.

Tursi Prato (lo immaginiamo col suo inseparabile sigaro in bocca) non va per niente leggero nella sua ricostruzione e afferma testualmente: “Figuratevi che Saladino li minacciò, dicendo: “Guardate che questa società non avrà nessun finanziamento, il finanziamento ritornerà a noi e noi poi non vi garantiremo nessun tipo di lavoro… nessun tipo di posto di lavoro”.

E poi affonda “Quindi questa vicenda della TelCal è passata anche tramite Why Not, una parte dei dipendenti TelCal sono passati anche nel progetto Why Not, poi sparita la Why Not, sono andati a finire nelle nubi, alcuni hanno operato con contratti senza capire chi erano le società, anche questo, una cosa stranissima, pagati dalla Regione, sarebbe opportuno sapere chi sono”.

Già, chi sono. Immaginiamo clienti fedeli di Madame Fifì e di Nicola Adamo, non serve avere molta fantasia. E scorrendo ancora il verbale viene messa in mezzo la società TESI, fondata da Adamo ed in cui lavorano la stessa Bruno Bossio, assieme ad altri personaggi, ed il gruppo CLIC con il presunto intento di arrivare a gestire tutte le commesse dei poli informatici calabresi.

Una storia che abbiamo raccontato tante volte e che non è mai stata approfondita dalla magistratura onesta perché ci si è messa di mezzo la massoneria.