‘Ndrangheta e turismo. I La Rosa di Tropea e la “federazione” della Costa degli Dei

Era il mese di gennaio 2023 (poco più di un anno fa) quando la Dda di Catanzaro era intervenuta di nuovo sui clan del Vibonese, che evidentemente erano riusciti a riorganizzarsi anche dopo operazioni “pesanti” come quelle denominate “Rinascita Scott”, “Rimpiazzo” e “Imponimento”. E c’è chi ancora oggi dice – e aggiungiamo con cognizione di causa – che neanche con l’operazione denominata “Olimpo”, il procuratore Gratteri, ormai partito a Napoli, è riuscito a fermare il “meccanismo”. Anche se è arrivata la buona notizia che il prefetto ha mandato la Commissione d’accesso antimafia al Comune di Tropea e quindi – dopo altri tre mesi di proroga – sta per mettere fine allo schifo di Mangialavori (capo effettivo) e Macrì (sindaco pupazzo o prestanome). 

Secondo la Dda – ma non ci voleva certo uno “scienziato” per capirlo -, non c’è il controllo, bensì l’egemonia della ‘ndrangheta lungo tutta la Costa degli Dei: le varie articolazioni criminali avrebbero fatto così riferimento alla potente cosca dei Mancuso, vera e propria organizzazione di stampo “federale” che riusciva così a mantenere un controllo capillare dei vari territori grazie all’aiuto di differenti famiglie.

In particolare, le investigazioni si sono focalizzate sulla ‘ndrina dei La Rosa, operativa ed attiva prevalentemente nell’area di Tropea. Il clan avrebbe garantito un pervasivo controllo dell’intero territorio tramite estorsioni ad imprenditori turistici e strutture ricettive oltre che a cantieri sia pubblici che privati. Nel totale silenzio, che sa tanto di complicità e connivenza, del Comune di Tropea. 

Atteggiamento che avrebbe permesso alla cosca di consolidare la propria posizione nell’organigramma criminale della provincia, e documentato dalla consegna di pizzini e di somme di denaro destinate al “crimine” vibonese. Secondo gli inquirenti, i La Rosa avrebbero messo in piedi una accurata attività di investimento, concordata e condivisa sia con i Mancuso sia con alcuni esponenti di spicco della famiglia degli Accorinti di Briatico e Zungri, dei Lo Bianco-Barba di Vibo e Il Grande di Parghelia (oltre agli Anello, già colpiti dall’operazione Imponimento) volta all’acquisizione di beni, servizi ed attività legate proprio al turismo. Le consorterie criminali infatti si sarebbero avvicinate ad un tour operator estero, subentrando così nella gestione di un noto villaggio turistico di Pizzo Calabro.

Un lavoro “di fino”, possibile grazie alla predisposizione di una clausola contrattuale ideata ed inserita appositamente per garantire il subentro delle famiglie nella gestione e nella fornitura di beni e servizi. Un modo pratico ed efficace per dissimulare il versamento di tangenti. Per raggiungere tale obiettivo la cosca avrebbe fatto riferimento ad una serie di intermediari – che, come appurato dalle indagini, si sarebbero spesi per garantire l’accreditamento dell’investimento e per incentivare l’attuazione del progetto – ritenuti vicini al management del Dipartimento Turismo della Regione Calabria. Il tutto con l’obiettivo di favorire l’erogazione e l’aggiudicazione di fondi pubblici.

Francesco La Rosa, detto “Il Bimbo”, fratello del boss Tonino, opera in qualità di “vertice e capo della consorteria e contribuisce ad individuare i soggetti da sottoporre ad estorsione, impartendo direttive e curando direttamente le condotte delittuose da porre in essere”; Domenico, padre di Antonio e Francesco, costituisce “punto di riferimento della famiglia, dinanzi al quale vengono svolte riunioni ed affrontate le questioni di maggior rilievo, relativamente non solo alla pianificazione delle estorsioni, ma anche riguardo alla definizione delle criticità ritenute strategicamente di rilievo per l’organizzazione interna della famiglia”; Alessandro La Rosa, figlio di Francesco, fungerebbe infine da “braccio operativo del sodalizio, ponendo in essere condotte estorsive su mandato dei maggiorenti e detenendo armi nell’interesse del sodalizio”.

In ultimo, un’altra attività fiorente per la cosca si sarebbe basata sul furto e sul trasferimento all’estero di mezzi da lavoro, in particolare verso la Romania e Malta. Un business che sarebbe stato possibile grazie ad un sodalizio dedito proprio al traffico internazionale, che oltre a gestire le esportazioni era anche in grado di farsi restituire i veicoli appartenenti ad imprenditori “protetti”. Ebbene, nonostante tutto questo ci sono voluti altri otto mesi per mettere fine quantomeno alla gestione “politico-mafiosa” del Comune…