‘Ndrangheta e turismo, le mille facce del Porto di Tropea: i lustrini della tv e i boss alla “festa” con Gratteri

Il Porto di Tropea, secondo la leggenda, fu uno dei cinque approdi prescelti dall’eroe greco Ercole durante il suo viaggio. Ma la leggenda dice anche che Tropea è stata scelta da Ulisse nel suo peregrinare come uno dei porti di approdo per la bellezza della sua natura. A sole 4 miglia dal porto, poi, si trova una delle più belle piscine naturali in mare di tutto il Tirreno, l’area di Formiche, meta frequentata dagli antichi Romani per godersi il panorama e il riposo.

“… Una cornice da sogno, uno spettacolo unico, un panorama incantevole: è ciò di cui si può godere al Porto di Tropea Marina Yacht Club, che sorge ai piedi della bellissima rocca di Tropea. Un vero e proprio paradiso turistico che, per i suoi colori e le sue acque calme e cristalline viene spesso definito “piscine”.

Così si legge sulla brochure del Porto di Tropea, curata dal potente gruppo della Pubbiliemme, oggi Diemme dalle iniziali del suo “padrone” Maduli Domenico, che proprio qui ha celebrato l’evento estivo televisivo al quale ha partecipato anche il procuratore Gratteri. Poi, a distanza di poco più di un anno, il prefetto ha mandato al Comune di Tropea la Commissione d’accesso antimafia, anticamera del secondo scioglimento per mafia in 7 anni. Puntualmente arrivato ieri dopo 6 mesi. E non possiamo fare finta che la “mafia” esista solo quando arriva lo stato mentre prima si faceva bisboccia con i mafiosi con le belle feste al porto, non vi pare?

Tropea è bellissima. Tra la foce del torrente Lumia e lo scoglio S. Leonardo si trovava l’approdo naturale che godeva di una protezione naturale, e qui, nel 1913 fu costruito il primo molo foraneo. Il Porto di Tropea si trova a cinque miglia circa a Nord-Est di Capo Vaticano. Faro di atterraggio è il faro di Capo Vaticano. E a 30 miglia dalle Isole Eolie, ragion per cui dal Porto è possibile raggiungere le Isole Eolie ed in particolare l’isola di Stromboli, che è quasi sempre visibile dalla costa.

E’ un porto turistico di IV classe, si estende su un’area di 120.000 metri quadrati ed è diviso in due zone: ad ovest la zona pescherecci dotata di banchina e scala di alaggio, prevede a terra il mercato del pesce ad un ampio cantiere nautico. La zona est, riservata al diporto, è composta da tre banchine di 140 metri ciascuna, dotata di catenarie ed anelloni di ormeggio, acqua, corrente elettrica e sistema antincendio, ed è predisposta ad accogliere le imbarcazioni. La marina dispone di 600 posti barca fino a 55 metri.
L’assistenza all’ormeggio è h 24 e tutti gli ormeggi sono dotati di colonnine per la fornitura di acqua ed energia elettrica (220/380 V.) erogata con chiave elettronica a consumo e servizio anti incendio in banchina. Il bacino turistico ha un suo scalo di alaggio con ampi parcheggi a terra e locali adatti per attività commerciali e servizi, nonché un ampio bar-ristorante. Tutta la zona porto è illuminata e recintata: l’imboccatura del porto è segnalata da doppio faro verde sovrapposto a dritta, e doppio faro rosso a sinistra di chi entra ed i fondali del bacino sono di circa sei metri. (Circolo Nautico di Tropea).

Nel punto più suggestivo della Marina, quello della torre di controllo, si trova il Marina Yacht Club, cuore della Marina e dal quale partono tutte le sue iniziative e i suoi eventi socio-culturali.

L’AMMINISTRATORE DELEGATO

“Il mio sogno? Trasformare il Porto di Tropea nella Portofino del Sud, un’infrastruttura con servizi di eccellenza, che possa essere un punto di attrazione, oltre che per la diportistica usualmente in transito, anche e soprattutto per i mega-yacht, avvicinandolo a quelli che sono gli standard del Luxury Marina Resort, perché la ‘perla del Tirreno’ ha tutte le caratteristiche per essere un ‘marina’ così concepito”. Con questo sogno in testa, nel giugno del 2018, Vincenzo Aristide Di Salvo, bresciano d’origine ma “calabrese d’animo e adozione”, si è catapultato nell’avventura di rilanciare questa infrastruttura affacciata sulle isole Eolie, diventando il nuovo amministratore delegato della Porto di Tropea Spa, acquisendo il 55% delle quote della società tramite un’azienda partecipata del suo gruppo, l’ADV Consult (un altro 20% del capitale è in mano invece al Comune di Tropea). Una sfida imprenditoriale giocata sul turismo di lusso e di qualità, in una terra, la Calabria, tanto bella quanto difficile.

A gestire questa importantissima infrastruttura, di proprietà della Regione, la società “Porto di Tropea” Spa di cui fanno parte la “Sigep”, che detiene il pacchetto di maggioranza, il Comune e la “Mare Nostrum”. Amministratore delegato, dunque, Vincenzo Aristide Di Salvo, che si trova al timone della società dal 2018.

Ma i sogni ben presto si sono tramutati in incubi. Alla vigilia della stagione estiva 2021, ecco cosa scrive la Gazzetta del Sud: “Sta per iniziare la nuova stagione balneare la società “Porto di Tropea” naviga” in un mare di debiti. L’ultimo bilancio è stato chiuso con perdite che superano il milione di euro. A questa situazione debitoria si aggiunge il mancato finanziamento di 4 milioni di euro promessi dalla Regione per la riqualificazione e l’ampliamento dell’infrastruttura che si candida a diventare, nonostante le difficoltà economiche, uno degli approdi turistici più importanti del mar Mediterraneo… I “conti” in rosso, legati alla gestione dello scalo marittimo, non preoccupano più di tanto l’amministratore delegato Di Salvo il quale, in vista della stagione estiva, ha tirato fuori tutta la sua grinta per rilanciarlo con la creazione di nuovi servizi. Il numero uno della società “Porto di Tropea”, per superare il delicato momento, ha messo in campo un Piano industriale che da qui a qualche anno – assicura – «tirerà fuori dalle sabbie mobili dell’indebitamento lo scalo marittimo”…

LA DENUNCIA E LE INDAGINI DELLA DDA

Le indagini, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, sono partite dalla querela presentata in questura, il 3 settembre 2019, dallo stesso Aristide Di Salvo. Questi aveva riferito agli investigatori di avere acquisito la maggioranza delle azioni della società Porto Tropea spa e di essere diventato amministratore delegato.

L’imprenditore riferisce che nel mese di giugno 2018 «era stato avvicinato da Ferdinando La Monica, responsabile del ristorante Marina yacht club, sito all’interno del porto, il quale gli aveva proposto e suggerito di attivarsi per non subire attentati da parte della criminalità organizzata, offrendo la propria disponibilità a fungere da intermediario in quanto conosceva le persone che gravitavano nell’ambito criminale, ribadendo anche più volte di “non scherzare con queste persone in quanto era gente pericolosa”.

Il consiglio di La Monica si sarebbe tramutata in una vera e propria richiesta di denaro ad Aristide Di Salvo nel settembre 2018: 10mila euro da corrispondere in due tranche di pari importo “facendo finta che stava pagando uno stipendio”.

“Compulsato dallo stesso La Monica – quindi, Aristide Di Salvo aveva autorizzato il referente ad adempiere alla richiesta estorsiva, prelevando 5mila euro dall’incasso del ristorante Officina del pesce di Catanzaro Lido: operazione che il titolare del ristorante del porto di Tropea avrebbe (asseritamente) perfezionato nel successivo mese di dicembre 2018, in un centro commerciale di Pizzo o Vibo Valentia». Poi Di Salvo ha deciso di non pagare più e di denunciare. 

Nei confronti di La Monica viene mosso il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare per essersi “proposto come intermediario tra l’imprenditore Aristide Di Salvo, in qualità di suo collaboratore, e la ‘ndrina dei La Rosa, inducendo il primo a corrispondere denaro in favore della consorteria criminale ed ottenendo dagli esponenti di quest’ultima protezione e sostegno”.

La Monica, responsabile del ristorante” Marina Yacht club”, sito all’interno del porto di Tropea, si rivelava, dunque, “parte attiva del circuito che alimentava la condotta intimidatoria perpetrata in danno della vittima e compulsava Di Salvo paventando una situazione di rischio per lo stesso ed offrendosi di attivare esponenti della criminalità organizzata di sua conoscenza allo scopo di ottenere protezione, previo pagamento di un importo in denaro, da prelevare dagli incassi dei locali di sua proprietà”.

Nonostante tutto, fino a pochi mesi fa, il Porto di Tropea ha continuato a “navigare” come se nulla fosse, con tanto di eventi e di lustrini dal sapore non solo nazionale ma addirittura internazionale. Non più tardi di un anno e mezzo fa, la Pubbliemme, oggi Diemme sempre dalle iniziali di Domenico Maduli, cinguettava così…

“… E la conquista della tanto bramata Bandiera Blu a Tropea fa da tutt’uno con il Porto di Tropea ed il borgo riconosciuto a livello internazionale per la sua bellezza e la sua storia, così come grande è la soddisfazione di sapere la città di Tropea inserita tra le 8 località che hanno il compito di rappresentare l’Italia fra le Bandiere Blu mondiali. Un nuovo “tassello” che si aggiunge al lavoro instancabile del Porto di Tropea SpA impegnato nel rilancio della Perla del Tirreno, in un momento storico in cui è necessario più che mai riscoprire le bellezze turistiche del territorio nazionale e sostenere un settore, quello del turismo appunto, tra i più colpiti dalla grave crisi sanitaria ed economica che il mondo sta attraversando…”. 

Evidentemente non sono bastate le feste, non sono bastati gli eventi e non è bastata la pubblicità a manetta del gruppo Pubbliemme per risollevare la società del Porto perché oggi tutti sanno che dentro il Porto di Tropea c’era e c’è sempre stata… la mafia, Ma ovviamente l’editore e puparo Domenico Maduli – come al solito – non ne era al corrente. Non c’era e se c’era dormiva… E Gratteri? Non solo c’era nel 2022 ma ha fatto passerella anche nel 2023 perché il tycoon ha “raddoppiato” tra Falerna, Vibo Marina e persino Corigliano-Rossano. E sempre con Gratteri “special guest”. Sinceramente non sappiamo cosa pensare. 

GLI IMPRENDITORI VITTIME E QUELLI COMPLICI

Oltre allo strapotere criminale esercitato sul territorio vibonese, c’è poi un aspetto ancora più preoccupante emerso nel corso dell’attività di indagine coordinata dalla Dda di Catanzaro ovvero la tendenza degli imprenditori del luogo di affrancarsi dal ruolo di vittima e percorrere la strategia dell’utile, assecondando gli interessi della criminalità organizzata, guardando dunque al guadagno sia in termini di garanzia occupazionale, sia nell’ottica di “sottrarre” forniture alla regola della concorrenza. Un vero e proprio sistema di corruttela «diffuso e di derive istituzionali» in grado di incidere profondamente sull’azione della pubblica amministrazione, «condizionandone l’operato in funzione di un’apparente “efficienza” scevra, però, dai principi di legalità, imparzialità e trasparenza».

E’ questo il ragionamento che hanno fatto Fernando La Monica e Vincenzo Calafati.
Anche all’imprenditore si contesta il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare per “aver favorito, nella sua qualità di imprenditore attivo nel settore dell’”incoming”, l’infiltrazione delle cosche in iniziative e progetti nel settore turistico/alberghiero, assicurando che le forniture di merci e servizi fossero appannaggio degli imprenditori espressione del sodalizio e favorendo la consumazione di estorsioni in danno degli operatori turistici, secondo le indicazioni dei soggetti apicali dell’associazione cd anche ottenendo, con modalità illecite, contributi ed agevolazioni pubbliche, a tal fine sfruttando le proprie entrature nella politica e nella amministrazione regionale”.

La presunta vicinanza di Calafati alle consorterie locali, inoltre, emerge anche dalla conversazione captata il 24 agosto 2018, tra questi, Davide Surace e un’altra persona non indagata, nella parte in cui “i dialoganti discutono delle criticità insorte a seguito delle modalità di gestione imposte da Luigi Mancuso, meno disposto a riconoscere provvigioni alle compagini affiliate e, perciò, causa di una precarietà degli equilibri consolidatisi nel tempo”.

Pasquale Scordo
Anche per il geometra Pasquale Scordo, ex consigliere comunale di Tropea, il delitto contestato è concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto si sarebbe proposto “come intermediario tra l’imprenditore Domenico De Lorenzo e la ‘ndrina dei Mancuso. Questi compulsava De Lorenzo all’adempimento del “dovere”, consistente nell’elargizione di una somma di denaro, proveniente dagli utili della propria attività, allo scopo di ottenere protezione, ponendosi come intermediario della faccenda. Dai contenuti delle conversazioni emerge allora il ruolo di intermediario dell’indagato quale punto di riferimento delle attività economiche e delle somme di denaro da acquisire da parte dell’articolazione riconducibile al clan di Limbadi”.