‘Ndrangheta e massoneria, il patto scellerato tra Pittelli e i boss: ecco perché l’avvocato “appartiene” al clan Mancuso

L’ormai ex procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri aveva chiesto la condanna a 17 anni di carcere per Giancarlo Pittelli, considerato l’imputato principale del processo Rinascita Scott. La sentenza di primo grado lo ha riconosciuto colpevole ma i giudici gli hanno fatto uno sconto di pena: 11 anni di reclusione.

Dopo aver chiarito i rapporti tra l’avvocato Giancarlo Pittelli con il clan Mancuso, la massoneria e pezzi di stato deviato come il colonnello dei carabinieri Naselli e il maresciallo della Finanza Michele Marinaro (condannati entrambi in primo grado, il primo a 10 anni e il secondo a 2 anni e 6 mesi), il gip del Tribunale di Catanzaro, Barbara Saccà, spiegava approfonditamente per quali motivazioni Pittelli debba essere ritenuto a tutti gli effetti intraneo all’organizzazione ‘ndranghetistica-massonica… (http://www.iacchite.blog/giancarlo-pittelli-laffarista-massone-dei-boss-della-ndrangheta/)

SECONDA E ULTIMA PARTE

Tutto quanto finora messo in evidenza, è indicativo del ruolo ben definito e costante del Pittelli in seno alla consorteria, in quella particolare frangia di collegamento con la società civile, rappresentata dal limbo delle logge coperte.
Questo coacervo di relazioni tra i “grandi” della ‘ndrangheta calabrese e i “grandi” della massoneria, tutti ben inseriti nei contesti strategici (giudiziario, forze armate, bancario, ospedaliero e via dicendo), è l’effetto del pactum sceleris in forza del quale il Pittelli si è legato stabilmente al contesto di “‘ndrangheta massona”, stabilmente a disposizione dei boss (e dunque delle sfere più alte della consorteria) alla “mammasantissima” e al “Crimine” dei Mancuso.

Non va nemmeno sottovalutato che nella vicenda Trust Plastron, nel momento in cui si era creata “maretta” tra Basile e il Pittelli per il credito vantato dal primo nei confronti del secondo, interveniva Luigi Mancuso per “imporre” al Pittelli il comportamento da seguire, anche al fine di “rammentargli” l’obbligo di corrispondere una parte del denaro allo stesso Mancuso (in data 19 novembre 2016 Pittelli, trasportato dal Giamborino, avrebbe incontrato Luigi Mancuso e, prima di recarsi all’appuntamento in Nicotera, il Giamborino gli raccomandava di restituire mano a mano i soldi al Basile (“siccome voi siete un galantuomo, lui pure è un galantuomo […] quando avete la disponibilità gli date qualche cosa e chiudiamo la partita”).

Si comprendeva che il Pittelli aveva ricevuto da Di Sora una cifra di 500.000 euro circa e che di questa somma una parte era di Basile e sull’affare, in generale, il Mancuso avrebbe dovuto ricevere pure la sua parte.
Simile discorso, oltre a segnalare la condizione di sottoposizione del Pittelli a Luigi Mancuso, evidenzia anche la condizione di obbligo a cui è tenuto il Pittelli nei confronti del capo che gli impone di versare una parte dei proventi dei suoi affari alla consorteria.

Tutto ciò, per come emerso in maniera incontroversa e placida, porta ad escludere la ricostruzione, rigorosamente alternativa, di un contributo meramente esterno del legale, orientato alla conservazione o al rafforzamento della consorteria.

D’altro canto lo stesso Pittelli riceve dalla consorteria il suo costante contraccambio ove si pensi che: i boss lo nominano avvocato loro e dei loro sodali (in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di “amicizia” con magistrati, come dimostrano le vicende giudiziarie su Salerno già definite e ripercorse nell’ambito della richiesta cautelare; con alte personalità delle forze dell’ordine; con i vertici dell’Accademia e del mondo ospedaliero); lo stesso gestisce i propri grossi affari combinando le conoscenze del mondo civile con quello sotterraneo della criminalità, anche d’ispirazione massonica (vedi vicenda Copanello e Valtur).

In punto di qualificazione giuridica della condotta descritta, giova rammentare che le Sezioni Unite nel 2005 e la giurisprudenza conforme successiva hanno da tempo costruito la figura giuridica del partecipe dell’associazione mafiosa, distinguendola dal concorrente esterno, in termini perfettamente compatibili con la configurabilità del ruolo in capo all’indagato, sottolineando come al primo sia riferibile un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/ 7/ 2005,Mannino,Rv. 231670).

Secondo le Sezioni Unite, la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la “appartenenza” (il ruolo del partecipe, dunque), purché si tratti di indizi gravi e idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione.

In tale ricostruzione “a maglie larghe” quanto alle manifestazioni molteplici nelle quali si può esplicare la partecipazione mafiosa, la giurisprudenza di legittimità ha fatto rientrare la permanente “disponibilità” al servizio dell’organizzazione a porre in essere attività delittuose, anche di bassa manovalanza (Sez. 5, n. 48676 del 14/5/2014, Calce, Rv. 261909), giungendo a ritenere che non sia necessario catalogare in un molo stabile e predefinito la condotta del singolo associato, poiché il sodalizio mafioso è una realtà dinamica, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gli aderenti, sicchè le forme di “partecipazione” possono essere le più diverse e addirittura assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorativa (Sez. 5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, Caccanno, Rv. 266064) e conferendo rilievo alle “frequentazioni” stabili con mafiosi, in presenza di determinate condizioni di riscontro (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 31541 del 30/5/2017, Abbamundo, Rv. 270468).

Né potrebbe essere accolta l’obiezione secondo cui la condotta sarebbe meramente di ausilio ad alcuni degli associati, sia pure di spicco, e, pertanto, non sarebbe idonea a configurare la partecipazione mafiosa a carico del’indagato, essendo evidente che essa si è risolta non già nel reato di favoreggiamento (magari aggravato dall’art. 416 bis.1 c.p.) bensì in una vera e propria partecipazione stabile (Cass.,sez. V. 14 giugno 2018, sentenza n. 45840).
Per gli esposti motivi, allora, va riconosciuta la gravità indiziaria a carico di Giancarlo Pittelli…”.