‘Ndrangheta stragista, Lombardo: ”Tra Graviano e Piromalli c’erano gli interessi della Fininvest”

“Strategia stragista si innesta in una serie di vicende politiche”
di Aaron Pettinari

Fonte: Antimafia Duemila (http://www.antimafiaduemila.com/)

L’immagine della “guerra totale” allo Stato, con le stragi e gli attentati organizzati e perpetrati contro l’arma dei Carabinieri tra la fine del 1993 ed i primi mesi del 1994, si intravede un altro piano della storia del Paese, tratteggiata da uno “sfondo piduista e gelliano che ruota attorno ai progetti politici separatisti”. Anche di questo si è parlato nel secondo giorno di requisitoria del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel processo ‘Ndrangheta stragista.
Il magistrato, dopo aver evidenziato i motivi che si nascondevano dietro al “massacro dei carabinieri” in Calabria e nel cuore di Roma con la strage dell’Olimpico (“Si destabilizzava la tenuta di uno Stato democratico colpendo i rappresentanti di quella sicurezza per i cittadini che ognuno di noi identifica con le forze dell’ordine”), ancora una volta ha evidenziato i contorni di un disegno criminale che partiva da lontano.

L’asse Graviano-Piromalli e il comune denominatore imprenditoriale
Nella ricostruzione del pm un ruolo importante viene rappresentato dall’asse Cosa nostra-‘Ndrangheta che si concretizza anche sul fronte imprenditoriale. Lombardo ha ricordato le parole di Giuseppe Graviano rispetto all’esistenza di rapporti preesistenti nel tempo tra la sua famiglia e un determinato gruppo imprenditoriale, con tanto di riferimento ad una presunta scrittura privata da cui questi rapporti dovrebbero essere confermati (nello specifico il boss di Brancaccio aveva fatto riferimento a venti miliardi di lire che sarebbero finiti a “Milano 3, e nelle televisioni Mediaset”, ndr). Quindi ha evidenziato alla corte come vi fosse un “comune denominatore imprenditoriale tra la famiglia Graviano, come lui stesso ha raccontato, e la famiglia Piromalli. E questo comune denominatore imprenditoriale è il gruppo Fininvest”.

Il dato viene rimarcato dal pm partendo dalla vicenda che ha visto protagonista l’imprenditore Angelo Sorrenti, una figura da ritenere a tutti gli effetti come “un uomo di Pino Piromalli“. “E’ a quest’ultimo – ha ricordato il pm – che il giovane imprenditore si rivolge per portare avanti il proprio progetto imprenditoriale. E per farci capire come si colloca la figura di Pino Piromalli in quegli anni Sorrenti lo paragona al Procuratore della repubblica di Palmi dicendo, sostanzialmente, che sul territorio ci sono due autorità. Uno che rappresenta l’antistato e l’altro lo Stato”.
Il processo “Tirreno” mise in evidenza i rapporti tra il Sorrenti e la famiglia Piromalli e fece luce sulla causale di una serie di attentati che a partire dal dicembre del ’93 Sorrenti (gestore di ripetitori tv per conto di Mediaset, all’epoca Fininvest) iniziò a subire agli impianti per essere venuto meno a dei pagamenti. “La sentenza Tirreno – ha ricordato Lombardo in aula – afferma che l’estorsione ai danni di Sorrenti non esiste e che quello altro non era che un dividendo mafioso tra il prestanome ed il suo dominus”. Dunque si afferma che Angelo Sorrenti è un Piromalli”.
Nel corso della requisitoria Lombardo ha anche ripercorso la storia e l’evoluzione della ‘Ndrangheta, che ha attraversato le guerre di mafia e che in un dato momento ha visto trionfare le famiglie dei Piromalli e De Stefano. Le stesse famiglie che, ha ricordato il pm, “ci dicono i collaboratori di giustizia, sono Cosa nostra”. Un discorso che vale per “tutti i discendenti di questi storici capimafia. Un livello più alto di tutto il resto, insieme a pochissimi altri, che coincidono con i nomi fatti da Giuseppe Di Giacomo“.

L’eversione dell’ordinamento democratico
Secondo il magistrato calabrese “questa solida alleanza di organizzazioni criminali si traduce in una complessiva intesa sul tema dell’eversione dell’ordinamento democratico con strategia che opera su più piani”.
Un evoluzione che si manifesta all’interno di una situazione di “instabilità politica e della caduta di una serie di stabili riferimenti, non soltanto ideologici”.
“Guardando al ruolo della ‘Ndrangheta e Cosa nostra in quegli anni – ha proseguito Lombardo – avrete questa immagine davanti agli occhi: la componente politica vacilla, mentre Cosa nostra e ‘Ndrangheta sono al massimo del loro splendore. In quel momento storico dei primi anni Novanta sono potentissime, ricche, inserite in tutti i gangli vitali di un sistema economico e politico che ovviamente è fortemente inquinato dalle mafie. Però questo rischia di crollare”.
Per questo motivo vi è la necessità di intervenire, di evolvere i rapporti per non interrompere il circuito di potere di cui esse facevano parte.
“Tra le iniziative – ha concluso Lombardo – quelle dei movimenti separatisti, di cui Calabria Libera sarà la prima componente già nel 1991; e poi le leghe meridionali”. A tal proposito il magistrato ha anche ricordato le parole dell’ideologo della Lega Nord, Gianfranco Miglio, che in un’intervista a Il Giornale arrivò ad affermare che “non tutto era male di quello che ruotava attorno alle mafie. E che quasi quasi era il caso che alcuni aspetti andassero costituzionalizzati. Un discorso che, raccontava, aveva fatto con Giulio Andreotti“. Un argomento che verrà approfondito alla prossima udienza.