“No alla realizzazione di una funicolare nella Vallata dell’Amendolea”. L’appello delle associazioni

£La piega presa nell’attuale delicatissimo tornante della storia dalle vicende umane, segnate oltretutto in questo momento da una pandemia che, lo sottolineiamo, non è un nemico arrivato chissà come dall’esterno ma lo specchio e la conseguenza delle scadenti relazioni ambientali costruite dalle nostre società, impone la moltiplicazione, a tutti i livelli amministrativi, di decisori politici ecologicamente eruditi, responsabili nei confronti dei territori, dei loro paesaggi, della salubrità dell’aria e delle acque, delle funzioni ecosistemiche del suolo il cui ulteriore consumo è da fermare in via definitiva. Nel corpo sociale dovrà nascere e poi consolidarsi un immaginario opposto a quello attualmente imperante, scaturito da un delirio di onnipotenza dell’uomo: si dovrà riapprodare al senso del limite e alla consonanza affettuosa con l’ambiente di insediamento vissuti dalle nostre generazioni rurali del passato, perché il cuore degli obiettivi condivisi da perseguire sia la protezione degli equilibri naturali preesistenti all’uomo stesso e determinanti per la sua vita.

La storia ha ormai condannato la cultura politica, intrisa di neoliberismo tecnocratico e ossessionata dalla crescita economica, di personaggi come Renzi, Berlusconi, Draghi, Cingolani: in modo significativamente divergente rispetto a tale linea di tendenza, ecologicamente nociva e socialmente iniqua, l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, così come l’Accordo di Parigi e l’Agenda strategica delle Nazioni unite al 2030, costituiscono esempi di proposte, anche concrete e articolate, che chiedono il superamento dell’attuale culto idolatrico dell’economia per passare a una fase più avanzata della civiltà umana.

Come associazioni in quest’epoca difficile attive nella Calabria meridionale, impegnate a lavorare per la diffusione del diverso immaginario sociale di cui si diceva poc’anzi, siamo qui a segnalare l’incompatibilità tra un progetto di infrastruttura funicolare, con quattro “torri” e tre “terminal” da spalmare lungo sedici chilometri della Vallata dell’Amendolea, annunciato ufficialmente dai sindaci di Roccaforte del Greco e Condofuri, e l’urgente necessità di abbandonare i comportamenti che stanno mettendo a dura prova la Terra, della quale siamo ospiti e non padroni. Anticipiamo la convergenza tra le osservazioni qui esposte e un documento tecnico delle associazioni ornitologiche e ambientaliste in fase di elaborazione e dichiariamo subito di non avere intenti polemici e divisivi, non vorremmo essere simili a quei soggetti in questo momento intenti a soffiare sul fuoco di una polarizzazione emersa nella nostra vita civile che, al di là delle buone intenzioni di ognuno, di fatto rischia di agevolare pratiche di governo autoritarie e meramente emergenziali proprio grazie al polverone sollevato dalla caccia al capro espiatorio, contro il buon senso e fuori da ogni discussione pubblica degli interventi programmati sul territorio, di fatto impostati sulla riproposta delle medesime ricette che oggi costringono ad inseguire l’emergenza.

A tal proposito non possiamo evitare di ricordare che qualche mese fa davanti al Colosseo, immaginando di non essere ripreso e registrato, Draghi ha detto a Franceschini di avere ormai imparato a evitare i pareri degli esperti “altrimenti le cose non si fanno”. Non è dunque importante come si concepiscono e si realizzano i progetti, con quale utilità sociale e quali risvolti ambientali e paesaggistici, l’importante è fare a tutti i costi eludendo la discussione sul merito con figure competenti e con i cittadini. Noi vorremmo piuttosto provare a coinvolgere davvero gli amministratori della nostra area, portatori probabilmente di visioni e abitudini non adeguate ai tempi, in un processo collettivo tendente al recupero della responsabilità, rimossa negli ultimi decenni, nei confronti dell’ ambiente, del paesaggio e della produzione del cibo.

Al riguardo si tenga presente che, soprattutto per gli effetti energivori e inquinanti dell’agricoltura e dell’allevamento convenzionali e per la crescita continua dell’ urbanizzazione e delle cementificazioni, il problema della sicurezza alimentare è diventato cruciale o, per essere più precisi, esplosivo a livello internazionale. I cittadini e i loro rappresentanti istituzionali con la testa sulle spalle si dovranno battere da ora in poi affinché la produzione del cibo non venga messa in pericolo dalla nostra principale tragedia nazionale: il furioso e autolesionistico consumo di suolo, vero e proprio stupor mundi, spettacolo orrendo di un Belpaese consegnatosi nelle fauci delle colate. Dovranno ripartire dai disegni di legge del 2012 (poi ripresi e unificati ma non approvati l’anno dopo dal successivo governo e definitivamente affossati dal governo Renzi deciso a profondere il suo massimo impegno nella messa a punto del purgante decreto Sblocca-Italia) di un ministro dell’ Agricoltura, Mario Catania, capace di comprendere i termini reali della questione, come si evince già dai titoli dei medesimi: “Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo”; “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione. Perdita di terreni agricoli, approvvigionamento alimentare e impermeabilizzazione del suolo”.

“Anche noi abitanti della Vallata dell’Amendolea, impoveriti dal furto dell’acqua inutilmente convogliata nello scellerato bacino del Menta a beneficio di un capoluogo incapace persino di usarla, non possiamo permetterci ulteriori contrazioni del paesaggio agrario e ulteriore degrado della fisionomia storica del territorio, dei terrazzamenti sostenuti dai muri a secco, degli antichi sentieri e dei pascoli; dobbiamo entrare nella fase del recupero e del restauro, le modalità di uso dei beni comuni ambientali come il suolo, l’acqua, la vegetazione, gli habitat non possono più contemplare la distruzione. Il nostro futuro è connesso alla nostra specificità: i presidi di economia locale legati alle risorse territoriali nonostante tutto presenti (le aziende agrituristiche, il trekking con le cooperative e i gruppi culturali che lo alimentano, i produttori di miele e cibo biologico) sarebbero enormemente danneggiati da un’infrastruttura impattante anche esteticamente, che eserciterebbe sulla Vallata una pressione negativa con la desertificazione dei luoghi attraversati dai cantieri. Lo spostamento veloce degli uomini è una necessità e un mito del vecchio mondo in corso di sgretolamento al quale dobbiamo togliere la possibilità di assestare altri micidiali colpi di coda. Alla morfologia tormentata di siti collinari e montani affascinanti (quando sono ancora come ce li hanno consegnati i nostri meno forsennati e più avveduti predecessori ) non si possono applicare gli standard dei luoghi di pianura (così come è assurdo sventrare ancora una volta l’Appennino per realizzare il collegamento ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria, con un risparmio sui tempi di percorrenza previsto inferiore ai trenta minuti mentre la linea disponibile è sottoutilizzata almeno del 50%): si tratta di contrade e paesi che richiedono passione per uno stile di vita sobrio e basato sulla cura, anche faticosa, di ogni particolare. Potranno resuscitare solo se ripopolati da abitanti pervasi da orientamenti anticonformisti, da gente di nuovo capace di riparare le armacere ( anch’esse ecosistemi), di usare il grassello di calce per i restauri degli edifici e di dedicarsi con i semi antichi all’agricoltura di sussistenza; e allora sarà possibile e bella l’invenzione di nuove iniziative e attività in dialogo con il genius loci, sarà originale, consapevole, di caldo e ampio respiro ogni elaborazione e le trasformazioni culturali non avranno finalmente nulla a che vedere con la colonizzazione di comunità in fuga da se stesse, immolate sull’altare del boom economico. Il turismo sostenibile non si può fare nello sfacelo, ed è molto più attrattivo un posto bello da raggiungere avvalendosi di una viabilità lenta, tortuosa, capace di dare la misura del viaggio con un avvicinamento progressivo all’anima e non alla superficie della destinazione rispetto a una località bruciata dalla banalizzazione richiesta da mentalità e prassi di tipo cittadino. Del resto le poche persone residenti a Roccaforte, anche nel malaugurato caso di necessità ospedaliere, avrebbero bisogno di autoambulanze e presenza medico-infermieristica piuttosto che di funivie, dovrebbero reclamare a gran voce il ripristino delle condizioni operative di qualche lustro addietro del ” Tiberio Evoli” di Melito Porto Salvo, chiedere conto allo stato italiano dei duri colpi inferti ai servizi pubblici (le cosiddette e tanto accanite privatizzazioni), in particolare dei massicci definanziamenti della sanità, della ricerca e della istruzione, e dell’acqua di tutti rimasta a disposizione dei profitti di pochi a dispetto dell’esito del referendum da cui sono ormai trascorsi dieci anni. Sono su altri fronti dunque da cercare le soluzioni ai nostri problemi, gettando nel dimenticatoio le vecchie ricette che ce li hanno procurati e alle quali dobbiamo, per fare un esempio tra tanti, il parcheggio da centro commerciale che ha deturpato per sempre Motta Sant’Aniceto”.

E’ quanto si legge in una nota delle associazioni per il recupero dell’integrità del territorio, ovvero: GRUPPO ARCHEOLOGICO EQUOSUD, CONSERVATORIO GRECANICO REGGIO CALABRIA , COP. TUTELA DELL’ASPROMONTE CONDOFURI, BANDA PILUSA BOVALINO, ALTRO SUD ROMA, SQUILIBRI EDITORE ROMA, LAB. TERRITORIALE CONDOFURI-SAN LORENZO, GRUPPO ARCHEOLOGICO DELL’AMENDOLEA, SENTIERI D’ASPROMONTE CONDOFURI, EQUOSUD REGGIO CALABRIA, GRUPPO ARCHEOLOGICO REGGIO CALABRIA, SERAC.