Oliverio come un piccolo Mussolini ma anche come novello Don Ciccio Mazzetta (di Vito Barresi)

Con le accuse di corruzione, abuso d’ufficio e ora anche peculato, Gerardo Mario Oliverio, potrebbe ormai passare alla storia politica della Regione Calabria come il politico di professione che ha seppellito in un secondo, l’intero patrimonio e l’eredità morale, etica, culturale e politica della sinistra calabrese, tenacemente costruita da un popolo di braccianti, operai, donne, contadini poveri, giovani coraggiosi, intellettuali e militanti, antifascisti e democratici, in un lungo, lunghissimo secolo e mezzo di lotta di classe, talvolta anche sanguinosa e durissima, in cui si è temprata un’orgogliosa differenza ideale e sociale dagli agrari, dai mafiosi, dai clericali, dai qualunquisti, dai delinquenti e dagli affaristi, purtroppo miseramente perduta e indegnamente gettata nel fango.

di Vito Barresi

Infrangendo le ‘regole sacre’ di quella che un tempo veniva propugnata da Togliatti, Longo, Natta, Amendola, Napolitano, Berlinguer la supremazia, il primato della diversità comunista, pur appartenuto al ceppo di quella sinistra prima stalinista e poi progressista, Oliverio ne ha purtroppo calpestato i valori fondamentali dimenticando le proprie origini e il proprio passato da cui pure ha ricavato ingenti quanto evidenti benefici personali.

Si sarebbe tentati di paragonarlo ad un piccolo Lula italiano, affetto da una sindrome brasiliana, forse per via della sua biografia ‘elettrica’, per via del fatto che egli fu ed è stato sempre consigliere e assessore regionaleamministratore comunale, parlamentare di lungo corso, legato alla vicenda industriale della Sila e degli impianti Enel che in quelle lande dominano da oltre centro anni, manomettendo l’ambiente, deviando il corso dei fiumi, costruendo dighe, sempre attento allo stretto rapporto tra agricolturapataticoltura e bacini idroelettrici silani, esattamente quasi travolto da un prevedibile destino, la cui mano invisibile lo ha scaraventato nello scandalo per corruzione della Vallata dell’Inferno, stesso ambito geo-politico-energetico, pittoresco in cui far cadere in trappola quest’ultimo tracotante presidente della Regione Calabria (la Santelli non ha fatto neanche in tempo a diventarlo e chi ci sta adesso è solo un “effeeffe” ovvero facente funzioni, ndr).

Ma si potrebbe anche figurativamente assimilarlo a una sorta di piccolo Mussolini, per come anche lui con la pelata, si ritrovava ristretto e confinato nel ridotto di una sua Salò, dalle più modeste dimensioni di una frazione comunale più prosaicamente denominata Palla Palla.

In realtà, dando per a priori che la magistratura non fa politica, e che quindi l’azione della Legge resta sempre e comunque avulsa dagli schemi della politica, succede quasi sempre e ovviamente che lo schema della politica si appropri a suo modo e per i propri fini delle conclusioni oggettive e soggettive postulate dal teorema penale.

Per cui se all’imputazione della Procura Antimafia di Catanzaro, Oliverio ha opposto e continua a opporre una personale quanto logicamente dovuta resistenza di chi si dichiara e si professa innocente, questa nuova situazione ha posto un problema di coscienza e di responsabilità istituzionale non solo a lui, che non si è dimesso, quanto all’intera compagine che lo sosteneva dentro e fuori il Consiglio Regionale, dal Presidente del Consiglio Regionale ai membri dei gruppi consiliari che ne componevano la maggioranza in assemblea, e che sembravano oggi come ieri – tanto tra centrosinistra e centrodestra non c’è nessuna differenza – far parte di un vero e proprio branco di struzzi stabulanti nell’aula di Palazzo Campanella.

Per non dire del Partito Democratico della Calabria con sede a Lamezia e comandi a Cosenza che, in quanto soggetto politico usurpatostrumentalizzato e offeso da una cricca di ‘briganti’ della politica, una sorta di banda dei quattro alla cinese, la stessa che ha rubato il cuore e lo stemma alla sinistra calabrese laica, progressista, cattolica, socialista, democratica, ambientalista, popolare, repubblicana ecc., non ha ancora appellato come sl deve il novello Ragionier “Corrotto” che finirebbe a memoria a far da pari a Don Ciccio Mazzetta, al secolo Francesco Macrì, sindaco democristiano di Taurianova, tratteggiato dal decano collega Pantaleone Sergi nella prosa implacabile di un reporter di classe:

“… lo inchiodarono, facendogli trascorrere i primi 39 giorni in carcere, il procuratore di Palmi, Agostino Cordova, e il sostituto Francesco Neri, che gli contestarono ben 48 capi d’ imputazione. Da tempo don Ciccio ha ingaggiato un braccio di ferro con la magistratura di Reggio e provincia. I magistrati erano andati a indagare tra le carte del comune, dell’ex amministrazione ospedaliera, dell’Usl, del Comitato provinciale caccia e dell’Antimalarico provinciale che Macrì aveva presieduto, dell’Istituto professionale di Stato dove avrebbe dovuto insegnare francese. Sono scaturite tante inchieste e diversi processi. Un commerciante reggino lo accusò di pretendere la tangente su ogni acquisto. Da qui il nome Ciccio Mazzetta, con cui lo indicano anche i carabinieri”. 

Già, è proprio così. La storia del regionalismo, la storia della Regione Calabria, la storia della politica calabrese si riscrive continuamente quasi uguale a se stessa, improvvisamente, e tumultuosamente.