Omicidio Scopelliti, il racconto di Falcone: “La mafia uccide solo d’estate”

Il 17 agosto 1991 sulle pagine del quotidiano La StampaGiovanni Falcone illustrò il significato dell’omicidio di Antonino Scopelliti, il primo magistrato ucciso dalla ‘Ndrangheta a cinquantasei anni, appena qualche giorno prima, il 9 agosto 1991. Le parole di Falcone che raccontano la morte del magistrato Antonino Scopelliti anticipano e suggeriscono l’intelligente osservazione di Pif che prende forma, corpo, nel suo film “La mafia uccide solo d’estate” (2003).

Scrive Falcone: “L’ultimo delitto eccellente l’uccisione di Antonino Scopelliti è stato realizzato, come da copione, nella torrida estate meridionale cosicché, distratti dalle incombenti ferie di Ferragosto e dalla concomitanza di altri gravi eventi, quasi non vi abbiamo fatto caso. Unico dato certo è la eliminazione di un magistrato universalmente apprezzato per le sue qualità umane, la sua capacità professionale e il suo impegno civile. Ma ciò ormai non sembra far più notizia, quasi che nel nostro Paese sia normale per un magistrato e probabilmente lo è essere ucciso esclusivamente per aver fatto il proprio dovere”.

Scopelliti, soprannominato il “giudice solo”, è stato descritto come un magistrato inavvicinabile e incorruttibile (tanto da aver rifiutato, così riportano le cronache, una tangente da 5 miliardi di vecchie lire). Soprattutto fu persona dalla grande levatura morale. “Il pubblico ministero deve fare anzitutto il proprio dovere. La popolarità è un privilegio di cui il giudice non deve tenere conto”, diceva Scopelliti in una delle rarissime interviste televisive concesse.

Il suo omicidio si inserisce nella lunga stagione della guerra della mafia allo Stato, almeno a una parte di esso: a quelle istituzioni che avevano portato avanti arresti e processi, infliggendo pesanti condanne ai mafiosi.

Nel 1988 era stato assassinato il giudice Antonino Saetta, insieme al figlio, per aver accolto la tesi del pool antimafia durante il maxiprocesso. Dopo l’omicidio di Scopelliti, una tragica morte sarebbe toccata proprio a Giovanni Falcone e poi a Paolo Borsellino.

Ma torniamo al racconto di Falcone. 

Ma se, mettendo da parte per un momento l’emozione e lo sdegno per la feroce eliminazione di un galantuomo, si riflette sul significato di questo ennesimo delitto di mafia, ci si accorge di una novità non da poco: per la prima volta è stato direttamente colpito il vertice della magistratura ordinaria, la suprema corte di Cassazione.

Non è questa la sede per azzardare ipotesi, né si pretende di suggerire nulla agli investigatori; ma il dato di cui sopra è sicuramente di grande importanza e merita particolare attenzione.

Non importa stabilire quale sia stata la causa scatenante dell’omicidio, ma è certo che è stato eliminato un magistrato chiave nella lotta alla mafia, uno dei più apprezzati collaboratori del procuratore generale della corte di Cassazione, addetto alla trattazione di gran parte dei più difficili ricorsi riguardanti la criminalità organizzata. Queste qualità della vittima, ignote al grande pubblico, erano ben conosciute invece dagli addetti ai lavori e, occorre sottolinearlo, anche dalla criminalità mafiosa.

L’eliminazione di Scopelliti è avvenuta quando ormai la suprema corte di Cassazione era stata investita della trattazione del maxiprocesso alla mafia siciliana e ciò non può essere senza significato. Anche se, infatti, l’uccisione del magistrato non fosse stata direttamente collegata alla celebrazione del maxiprocesso davanti alla suprema corte, non ne avrebbe comunque potuto prescindere nel senso che non poteva non essere evidente che l’uccisione avrebbe influenzato pesantemente il clima dello svolgimento del maxiprocesso in quella sede.

E se tale ovvia previsione non ha fatto desistere dal delitto, ciò significa che il gesto, anche se non direttamente ordinato da “Cosa Nostra”, alla stessa non era sgradito. Non si dimentichi, si ribadisce, che Antonino Scopelliti era un magistrato la cui uccisione avrebbe sicuramente determinato l’addensarsi di pesanti sospetti su “Cosa Nostra”, come in effetti è avvenuto.

Si aggiunga che l’omicidio di Scopelliti è avvenuto in terra di Calabria, in una zona cioè dove finora non erano stati uccisi magistrati o funzionari impegnati nella lotta alle cosche. Ciò è stato correttamente interpretato come un preoccupante “salto di qualità” che non potrà non influenzare il futuro della lotta alle organizzazioni mafiose calabresi e che, già da adesso, suona come un grave segnale di pericolo per tutti coloro che in quelle terre sono impegnati in questa, finora impari, battaglia. Se così è e purtroppo ben pochi dubbi possono sussistere al riguardo le conseguenze sono veramente gravi.

È difficilmente contestabile, infatti, che le organizzazioni mafiose (Cosa Nostra siciliana e ‘ndrangheta calabrese) probabilmente sono molto più collegate tra di loro di quanto si affermi ufficialmente e che le stesse non soltanto ben conoscono il funzionamento della macchina statale, ma non hanno esitazioni a colpire chicchessia, ove ne ritengano l’opportunità; e alla luce dell’esperienza fatta non si può certo dire che finora queste organizzazioni abbiano fatto passi falsi.

Non sembri un caso che il maxiprocesso qualunque ne sia la valutazione che ognuno ritenga di darne in termini di efficacia nella lotta alla mafia sia stato scandito in tutte le sue fasi, a cominciare dalle investigazioni preliminari, da assassinii di magistrati e di investigatori con conseguente pesante e inevitabile condizionamento psichico per tutti coloro che per ragioni di ufficio se ne sono dovuti occupare.

Adesso il maxiprocesso che gronda del sangue dei migliori magistrati e investigatori italiani è approdato all’ultima istanza del giudizio, la Cassazione, ed era stato affidato a chi, Antonino Scopelliti, già più volte, con serenità e coraggio, aveva espresso il punto di vista della pubblica accusa, in ultimo opponendosi alla scarcerazione per decorrenza dei termini degli imputati; scarcerazione poi concessa dalla suprema corte con conseguente intervento governativo per bloccare le erronee scarcerazioni.

Non ci vuol molto a capire, allora, che, a parte le eventuali particolari causali dell’omicidio di Scopelliti, lo stesso sarebbe stato inevitabilmente recepito dagli addetti ai lavori come una intimidazione nei confronti della suprema corte e che se è stato tuttavia consumato, le organizzazioni mafiose non temono le eventuali reazioni dello Stato. Ognuno è in grado di comprendere, dunque, qual è il grado di pericolosità raggiunto dalle organizzazioni mafiose. L’opinione pubblica, nel periodo del terrorismo, ha cominciato a rendersi conto della sua pericolosità con l’inizio degli attentati contro persone che, sconosciute ai più, rivestivano in realtà grande importanza nei meccanismi produttivi del Paese […]. Probabilmente stiamo attraversando adesso, nel campo della criminalità organizzata, una fase analoga”.