Open Fiber, imprenditori anconetani comprano un capannone con i soldi della ‘ndrangheta: il ruolo di Laurendi

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Operazione “Open fiber”, imprenditori anconetani comprano un capannone con i soldi della ‘Ndrangheta

di Gino Bove

Fonte: Ancona Today (https://www.anconatoday.it/cronaca/ndrangheta-ancona-marche-clan-alvaro.html)

ANCONA – La ‘ndrangheta finanzia le operazioni commerciali nel territorio marchigiano. L’inchiesta denominata “Open Fiber” (che nulla a che vedere con l’omonima società) coordinata dalla procura di Ancona e portata a termine dai carabinieri del ROS ha portato alla luce il meccanismo con cui i soldi della malavita calabrese venivano ripuliti passando via Svizzera e Marche.

Sono 4 le persone fermate: Domenico Laurendi, imprenditore di Sant’Eufemia di Aspromonte ma residente da tempo a Fabriano e ritenuto dagli investigatori il regista locale dell’operazione, oltre a due geometri fabrianesi di 67 e 58 anni e un broker 44 enne fabrianese di nascita ma residente in Romania e fermato a Bologna. Le accuse sono quelle di riciclaggio e autoriciclaggio commessi con l’aggravante mafiosa. I dettagli sono stati spiegati in una conferenza stampa dal procuratore della Repubblica Monica Garulli e dal sostituto procuratore Daniele Paci insieme al vicecomandante del ROS Giancarlo Scafuri, il comandante provinciale dei carabinieri Cristian Carrozza e il comandante del ROS di Ancona, Francesco D’Ecclesis. 

Il modus operandi 

Ad attivare il riciclaggio dei soldi, secondo la tesi accusatoria, è stato lo stesso Laurendi. L’imprenditore, attivo nel settore delle fibre ottiche e secondo gli investigatori affiliato al clan “Alvaro” di Sinopoli (figura tra i 65 arrestati in Calabria nella più vasta operazione “Eyphemos”), avrebbe aiutato i due geometri ad acquistare un capannone industriale alla Baraccola dal valore complessivo di 1,5 milioni di euro. Come? Attivando il trasferimento verso le Marche di ben 320mila euro. I soldi, dicono gli investigatori, facevano parte di un tesoro che il clan aveva in Svizzera e, tramite il broker, erano tornati in Italia per finanziare parte dell’acquisto da parte di uno stock di società anconetane, riconducibili ai geometri e agli altri tre indagati a piede libero. Ci guadagnava anche la ‘Ndrangheta, che così poteva recuperare del denaro ripulito.

C’era un problema, però. Quei soldi dovevano tornare effettivamente nelle tasche del clan. Come? Secondo gli investigatori lo stock di società avrebbe ripagato una parte di quell’ “anticipo”, 140mila euro, con una serie di false fatturazioni relative a lavori mai effettuati sul capannone. Per saldare il resto, i geometri avrebbero impegnato un terreno di Genga in un preliminare di vendita. A dare il via all’indagine, che ha portato a 15 perquisizioni in diverse regioni d’Italia, sono state le segnalazioni per operazioni sospette arrivate ai militari dalla Banca d’Italia. Il capannone anconetano è ora sotto sequestro preventivo.