Pagare per giocare: lo scandalo che attraversa il calcio minore. Perrotta: “Colpa dei dirigenti ma anche delle famiglie”

Un’inchiesta del ‘Corriere della Sera’ svela i meccanismi che spesso regolano il calcio. Tra i tanti scandali che periodicamente macchiano il calcio italiano, ora emerge anche questo: c’è chi, nelle serie inferiori e nelle giovanili (dalla Serie B – compresa – in poi, tanto per capirci), è costretto a pagare per giocare. E, in caso contrario, viene messo alla porta senza troppi complimenti da dirigenti che non hanno un briciolo di scrupolo.

È lo scenario dipinto dal ‘Corriere della Sera’ in un’inchiesta che in realtà non riguarda soltanto il calcio… Un meccanismo d’illegalità diffusa che si stende da Nord a Sud, attraversando varie realtà del calcio italiano in quello che rischia di essere l’ennesimo bubbone pronto presto a scoppiare.

“Purtroppo non mi suona nuova. È un fenomeno che ha preso piede negli ultimi anni e riguarda i livelli più bassi del pallone, dalla Serie B e dalla Lega Pro in giù” dice allo stesso ‘Corriere’ Simone Perrotta, cosentino, ex centrocampista della Roma e della Nazionale, Campione del Mondo 2006 e oggi componente dell’Assocalciatori.

“Esistono giocatori e allenatori che pagano per giocare e allenare in LegaPro e Dilettanti.
La colpa principale credo sia di dirigenti senza scrupoli: per questo ci battiamo tanto per la formazione etica.
Poi ci sono le famiglie, disposte a pagare un’illusione: ma se devi mettere dei soldi per far giocare tuo figlio, capisci già che non ha un futuro.
Perchè questo accade? Perché il calcio è una forma di riscatto sociale. Ma le aspettative creano solo disagi. Io ho due figli: sui campi vedo e sento cose che mi fanno davvero pensare.
Ci sono poi degli errori a monte: l’obbligo di schierare (ricevendo contributi in cambio) i giovani under 21 in Lega Pro e adesso in serie D.
Siamo di fronte a un fallimento totale, anche se quando è stata introdotta questa regola si era pensato di fare del bene.

Ma nello sport la meritocrazia dovrebbe essere intoccabile.
Con quel sistema, si dava e si dà l’illusione di poter fare i professionisti a ragazzi che per la stragrande maggioranza poi tornano ai livelli più bassi del dilettantismo. Oppure smettono.
Un altro problema che aggrava lo scenario è il cosiddetto “vincolo”: è rimasto solo in Italia e in Grecia ed è una vergogna.
Il genitore firma il contratto del figlio dai 14 anni in poi e fino ai 25 anni il ragazzo è legato alla società.
Per svincolarsi deve pagare.
E questo può chiaramente creare dei meccanismi poco virtuosi.
Sarebbe giusto portarlo a 18 anni.
Risulta che ci sia anche chi paga per andare in panchina, almeno tra i dilettanti: anche per questo la formazione deve riguardare soprattutto i tecnici.
La passione non basta, ci vuole la competenza. E vale anche per le scuole calcio”.

[Simone Perrotta]
Fonte: Corriere della Sera