Paola, il riciclaggio di denaro sporco del clan Muto e lo strano “suicidio” del bancario

C’è un episodio drammatico del quale l’ispezione alla procura della Repubblica di Paola del 1991 tratta diffusamente e che dà la misura dell’atteggiamento del sostituto anziano Luigi Belvedere (recentemente passato a miglior vita) relativamente all’attività svolta presso la filiale di Campora San Giovanni della Banca Popolare di Nicastro, oggi Monte dei Paschi di Siena. Un’attività che lascia ben pochi dubbi circa il riciclaggio di denaro sporco e i rapporti con il clan Muto.

Il cuore del problema è la massa dei prestiti che venivano concessi a Belvedere da parte del direttore della filiale, Francesco Mancini, pace all’anima sua. Suicidatosi proprio mentre si sviluppava questa incredibile matassa che vi raccontiamo. E che avviene dopo aver acclarato che la massa debitoria della famiglia Belvedere ha superato i 2 miliardi delle vecchie lire.

“Proprio questa vicenda – si legge negli atti dell’ispezione – dimostra senza ombra di dubbio la piena consapevolezza nel dottor Belvedere della irregolarità delle procedure adottate per la loro concessione. Quand’anche un dubbio di questo genere si volesse ancora affacciare circa il comportamento di un magistrato che chiede e ottiene da una banca dei prestiti personali per tutta la famiglia senza corrispondere alcuna forma di garanzia”.

Da qui alla paranoia del magistrato Belvedere non appena venuto a conoscenza del tragico suicidio del direttore della filiale Francesco Mancini, il passo è brevissimo.

“Egli – si legge ancora negli atti -, non appena venne a sapere, con qualche giorno di ritardo, secondo quanto si desume dal racconto del testimone Giovanbattista Storace (dipendente della banca, ndr), della morte del direttore Mancini, entrò subito in uno stato di grande preoccupazione e si affannò a telefonare allo Storace stesso, sia per parlare con lui, sia per ottenere il recapito del nuovo direttore della filiale, il dottor Rescigno, che si era da poco insediato (il Mancini era stato allontanato dalla filiale di Campora San Giovanni qualche tempo prima del suicidio, senza attendere l’esito delle ispezioni disposte) e che alloggiava ancora in albergo”.

“Lo Storace racconta che il dottor Belvedere gli telefonò varie volte a casa nel corso della notte ricevendo risposta – la prima volta per caso e poi volutamente – dalla moglie dello Storace medesimo, perchè quest’ultimo si faceva rifiutare. Preferiva non parlare con il sostituto procuratore per telefono, dalla propria abitazione, fuori dal normale orario di servizio e addirittura nel pieno della notte. Si decise, alla fine, a rispondergli, perchè il dottor Belvedere disse alla moglie che avrebbe continuato a chiamare per tutta la notte, in quanto voleva assolutamente parlare con lui…”:

“La ragione di tanta urgenza stava nel desiderio di precisare allo Storace che egli, il giorno prima, aveva regolarizzato con il Mancini la sua posizione, perchè Mancini gli aveva portato da firmare delle “carte” che definivano la situazione nei confronti della banca. Precisò anche di aver saldato l’intero suo debito maturato fino a quel momento con la banca, mandando regolarmente le rate attraverso persona di sua fiducia.

prestiti-bancari

Storace gli fece rilevare che l’unico modo di definizione corretta era quello di presentare le ricevute di versamento di quanto dovuto a restituzione dei prestiti e gli fece anche presente che da tempo non lo vedeva in banca a questo scopo. Al che il dottor Belvedere rispose che c’era con il Mancini un rapporto particolare di fiducia. Lo Storace gli fece anche osservare che al momento della telefonata il Mancini era già morto da quattro giorni e quindi non aveva potuto firmargli alcunchè il giorno prima. E il Belvedere di rimando: “Ma un giorno o l’altro che cosa cambia?”.

Belvedere tuttavia aveva chiamato Storace anche per conoscere il numero di telefono del nuovo direttore Davide Rescigno. Storace gli indicò l’albergo dove alloggiava e così Belvedere mandò i carabinieri di Amantea ad avvertirlo che voleva parlargli”.

Il magistrato ispettore Francescantonio Granero, pertanto, osserva che “questo episodio è rilevante, ai fini dell’inchiesta, sotto vari profili. Dimostra, in particolare, quanto grave fosse la preoccupazione del dottor Belvedere circa la sua posizione bancaria in seguito alla morte del Mancini, che evidentemente lo copriva nei confronti della banca e con il quale aveva instaurato un rapporto in cui gli aspetti personali si intersecavano con quelli bancari. Dà la misura di quanto il dottor Belvedere fosse consapevole della irregolarità della situazione, messa in essere, questa volta, direttamente e soltanto da lui, non per il tramite del figlio. Dà la misura ancora una volta del modo di intendere la funzione da parte di Belvedere e, quindi, di avvalersi della qualità di magistrato per scopi esclusivamente e puramente personali”.

Nella migliore delle ipotesi…

Traendo le prime incredibili conclusioni di questa intensa attività ispettiva, il magistrato Granero sottolinea

“Tutta questa complessa vicenda dell’indebitamento, del poco limpido “commercio” di automobili da parte del figlio, dei “giri” di assegni, è sostanzialmente nota, almeno nelle sue linee generali, in molti strati dell’opinione pubblica e, certamente, negli ambienti giudiziari e in quelli della polizia giudiziaria, che non hanno mai condiviso la supremazia funzionale del sostituto procuratore. Vi è perciò e si trascina da dieci anni (dall’omicidio Losardo, ndr) un calo molto grave di legittimazione nel ruolo del sostituto procuratore e questo, forse, può contribuire a spiegare le forzature di apparente garantismo e le stentoree affermazioni del proprio potere in cui si sostanziano gli eccessi comportamentali riferiti in precedenza”.