Persona informata sui like (di Claudio Dionesalvi)

Condividere qualcosa significa “essere d’accordo” oppure il semplice affermarlo implica la “corresponsabilità” di un contenuto e si rischia di doverne rispondere davanti a un giudice?

E dichiarare che un oggetto “mi piace”, è ancora un semplice atto di gradimento oppure si commette un reato? La procura della Repubblica di Cosenza, oggi come ieri, è all’avanguardia.

In queste ore sta convocando telefonicamente decine di persone che hanno condiviso o dato il proprio “like” (“mi piace”) ad alcuni articoli pubblicati dal giornale on line iacchite’. Sarebbe roba da non crederci, in un presunto Stato democratico, se questo tribunale non ci avesse già abituato a certe modalità “investigative”.

È presumibile che gli inquirenti cosentini stiano cercando di applicare al web la legge sulla stampa che attribuisce al direttore di un giornale la responsabilità penale di un eventuale articolo oggetto di querela, perché ritenuto lesivo, anche se scritto e firmato da uno dei suoi cronisti. In sintesi, condividendo un articolo censurato sul nostro profilo, o attribuendo un banale “mi piace”, rischieremmo pesanti sanzioni. Così siamo tutti responsabili, anche senza essere direttori.

È chiaro che, ancora una volta, sotto attacco è la libertà di pensiero e d’espressione. Di anomalo e “innovativo”, però, in questo caso è soprattutto la procedura adottata. Nella prassi abituale non si convocano gli “attenzionati” alzando la cornetta, bensì mediante regolare notifica, la famigerata letterina verde, recapitata dalla polizia giudiziaria.

L’uso del telefono allora non è casuale. Di per sé appare terroristico: “Pronto, deve venire in questura”. Il ricevente avverte un brivido lungo la schiena. La convocazione come “persona informata sui fatti” rappresenta un vero e proprio interrogatorio senza garanzie. E questo la procura di Cosenza lo sa bene, per aver spesso fatto ampio uso di tale strumento intimidatorio contro gli attivisti dei movimenti sociali.

A differenza dell’interrogatorio in qualità di indagato o imputato, quando si è interpellati come “persona informata sui fatti” bisogna presentarsi senza avvocato e si è costretti a rispondere alle domande del PM o del delegato, pena la minaccia d’incriminazione per favoreggiamento. Non ci si può quindi avvalere della “facoltà di non rispondere”.

Così gli inquirenti ottengono due risultati. Anzitutto prosciugano “l’acqua in cui nuotano i pesci”, in base a una vecchia metodologia repressiva adottata in Italia negli anni settanta contro i movimenti rivoluzionari. In sostanza, dovrebbero spaventarsi tutti quelli che simpatizzano per iacchite’ e collaborano con i suoi redattori. Inoltre si ripristina il delitto di lesa maestà, cioè si vieta a chiunque di pronunciare i cognomi degli innominabili che a Cosenza detengono i poteri che contano.

Consiste proprio in questo il grande merito di Gabriele Carchidi e Michele Santagata, redattori di Iacchite’: aver dimostrato che si può. È possibile sbeffeggiare ed esporre al pubblico ludibrio, senza timore di rappresaglie, molti degli altolocati o dei malandrini che gestiscono la vita pubblica nella nostra città. E lo si può fare senza avere alle spalle un fruttivendolo o un macellaio o un palazzinaro (con tutto il rispetto per le prime due di queste categorie commerciali) che si improvvisa editore e magari apre un giornale per esercitare pressioni sul potere politico.

Michele e Gabriele non sono pagati da un finanziatore occulto. Lavorano incamerando i soldi degli sponsor assegnati da Google. Che come tutte le multinazionali, non prende neanche in considerazione le acrobatiche procedure repressive escogitate dal sistema poliziesco italiano. Ai siti internet il suo algoritmo elargisce soldi in proporzione ai click giornalieri. Beffa delle beffe: il neoliberismo scavalca e ignora gli stessi fedelissimi guardiani incaricati di difenderne gli interessi all’interno degli uffici giudiziari.

Certo, se dici la verità e sei vulnerabile, in questo Paese i poteri forti ti distruggono! Il lavoro che svolgono Michele e Gabriele lo si può svolgere solo quando non si ha nulla da perdere e si è nullatenenti.

Eppure, si può dissentire con Iacchite’ su alcune delle posizioni che assume, però bisogna essere stolti per non ammirare il coraggio di Michele e Gabriele. In quanto cittadini di Cosenza, dovremmo essere grati a Iacchite’. Se avessimo tutti questa loro determinazione, forse vivremmo in una terra un po’ diversa.

Iacchite’ crede che nella procura di Cosenza operino solo soggetti in malafede. Più che altro, taluni appaiono incapaci e a volte codardi di fronte ai loro compiti. Nella nostra città i commercianti sono talmente abituati a versare mensilmente la tangente, che ormai lo fanno compiaciuti. I palazzinari operano in violazione di qualsiasi norma e non pagano le tasse. Ci sono pure onesti agenti al servizio dello Stato ridotti sull’orlo di una crisi di nervi: ogni volta che si azzardano ad avviare accertamenti patrimoniali su certi intoccabili, pare che dall’alto vengano bloccati e invitati a dirottare le attività investigative su qualche ragazzotto che coltiva la sua bella piantina di marijuana.

Esistono intere aree contaminate, come quelle dell’ex Legnochimica e di Lattarico, sulle quali la procura di Cosenza non ha fatto niente di sostanziale per imporre il rispetto della legalità. Qualcuno potrebbe replicare: non è competente in materia! Intervenire spetterebbe all’Antimafia, ai Sindaci, ai vigili urbani, ai pompieri, alle parrocchie, all’accalappiacani. Insomma, a tutti tranne che alla procura di Cosenza.

Ma allora lì dentro cosa ci stanno a fare? Solo per convocare la gente che mette “mi piace” su facebook?

Claudio Dionesalvi

PS – per amici e compagni che leggono su FB: se vi va, potete tranquillamente condividere questo articolo e/o mettere “mi piace”. Ho già consultato i miei avvocati che sono i migliori del mondo. Mi hanno detto che se la procura di Cosenza censura pure questo articolo, siamo legittimati a denunciarla alla corte di Strasburgo.

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