Petrolmafie, chiusa l’inchiesta: 94 indagati. C’è anche il presidente della Provincia di Vibo

La Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, ha chiuso le indagini dell’operazione nota come “Rinascita 2-Dedalo” – in quanto considerata l’immediata prosecuzione della attività di indagine portata avanti nella operazione “Rinascita Scott” – e denominata “Petrolmafie SPA”. Notificati quest’oggi gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari a 94 persone. Sale quindi il numero degli indagati che, lo scorso aprile, erano invece 56. Molteplici i reati di cui sono accusati a vario titolo i soggetti coinvolti: dall’associazione di stampo mafioso al voto di scambio politico-mafioso, passando per riciclaggio di denaroestorsioniintestazione fittizia di beni e non solo.

Le attività investigative, dirette dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e portate avanti dai Ros dei Carabinieri e dalla componente specialistica in materia di accise del Nucleo di Polizia Economico-Finanziario della Guardia di Finanza di Catanzaro, chiudono il cerchio sulle attività illecite di interesse dell’associazione di stampo mafioso capeggiata dal clan “Mancuso” di Limbadi (in provincia di Vibo Valentia), nell’ambito del remunerativo commercio fraudolento di prodotti petroliferi, colpendo gli assetti organizzativi e logistici del sodalizio.

Gli indagati: c’è anche il presidente della Provincia Solano.
Tra gli indagati di “spicco”, oltre all’ex consigliere comunale di Vibo Valentia Francescantonio Tedesco (coinvolto anche nell’operazione “Imponimento”), e all’imprenditore Giuseppe D’Amico, figura oggi anche l’attuale presidente della provincia Salvatore Solano, accusato dalla Dda di Catanzaro di voto di scambio politico-mafioso. Solano è cugino degli imprenditori D’Amico e “la sua elezione – scrive la Dda di Catanzaro – era stata favorita dal D’Amico Giuseppe, con il quale era in costante contatto”. Giuseppe D’Amico e Salvatore Solano sono accusati di scambio elettorale politico-mafioso. Nello specifico, si legge nel provvedimento, “riceveva ed accettava la promessa di Giuseppe D’Amico – questa la tesi degli investigatori – di procacciare voti presso gli elettori dei Comuni di Vibo Valentia, Capistrano, Filandari, Francica, San Nicola da Crissa, Tropea ed altri, nell’ambito della procedura elettorale relativa alla nomina del presidente della Provincia di Vibo Valentia, in cambio del proprio stabile asservimento agli interessi del D’Amico, realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata nonché contrari ai doveri d’Ufficio”. D’Amico avrebbe procacciato voti a Solano “contattando i singoli elettori ed esortandoli reiteratamente ed insistentemente al voto, anche utilizzando modalità intimidatorie”, scrive l’accusa nel capo di imputazione. Dal canto suo Solano avrebbe favorito il cugino attraverso una serie di illeciti.

I fratelli Giuseppe e Antonio D’Amico sono accusati di associazione mafiosa perché ritenuti imprenditori di riferimento dell’organizzazione criminale che vede protagoniste le cosche vibonesi, capeggiate dalla famiglia Mancuso, e la loro illecita ingerenza nel settore dei carburanti.
In particolare Giuseppe D’Amico viene ritenuto “formalmente affiliato già in passato legato alla cosca dei “Piscopisani” e, più recentemente, uomo di fiducia dei Mancuso di Limbadi e di Luigi Mancuso in particolare”. Fonte: Zoom24