Reddito di cittadinanza, perché le accuse sono assurde

(DI ALESSANDRO ORSINI – Il Fatto Quotidiano) – Qualunque dibattito sul Reddito di cittadinanza dovrebbe partire dalla constatazione che l’Italia non sarà mai nella condizione di raggiungere la piena occupazione, a causa di una serie di disfunzioni non superabili del suo sistema sociale.

Ne deriva che in Italia ci saranno sempre migliaia di persone che vogliono lavorare, ma non possono perché il lavoro non c’è oppure perché lo sfruttamento è talmente grande che recarsi sul luogo di lavoro diventa più costoso che stare a casa. E non c’è riforma del cuneo fiscale che possa rilanciare seriamente il lavoro. Affinché l’economia italiana possa nutrire almeno la speranza di tornare protagonista in Europa, i partiti dovrebbero approvare un gran numero di riforme. Quelle principali riguardano la giustizia, la burocrazia, la lotta all’evasione fiscale, e siamo a tre.

Poi occorre contrastare il crollo demografico; ridurre il divario Nord-Sud; aumentare la compatibilità tra l’euro e l’economia nazionale, ed espellere la mafia dall’economia: siamo a sette. Arriviamo a otto con la riforma per lottare efficacemente contro la corruzione. Gli studiosi non sono in grado di quantificare esattamente a quanti miliardi di euro ammonti il danno che la corruzione infligge all’economia italiana, ma non dubitano che sia ingente. Non sarà l’accordo sul cuneo fiscale a risolvere il problema della povertà. Cuneo o non cuneo, i poveri rimarranno poveri e i ricchi rimarranno ricchi. La povertà potrà forse essere raccontata come una colpa dei poveri quando i partiti avranno risolto i problemi strutturali relativi a mafia, burocrazia, evasione fiscale, corruzione, euro, giustizia, demografia e Meridione.

Tutti i dati disponibili non lasciano dubbi sulla mancanza delle condizioni strutturali per dare a tutti la possibilità di lavorare. Ecco la domanda: è giusto abolire il Reddito di cittadinanza in un Paese in cui molti poveri sono condannati a rimanere tali nonostante la voglia di impegnarsi? È giusto abolire il reddito di cittadinanza in un Paese come l’Italia in cui Pil è cresciuto in media di 0,2% negli ultimi vent’anni al punto che gli esperti parlano di “crescita zero”?

Lasciamo la risposta ai lettori.

Occupiamoci adesso delle due tesi più diffuse contro il Reddito di cittadinanza.

La prima tesi afferma che dovrebbe essere abolito perché un certo numero di italiani ne ha beneficiato senza diritto. Che cosa dire? Proporre di abolire il Reddito di cittadinanza sulla base di un simile argomento equivale a proporre l’abolizione del profitto per eliminare gli evasori. Così come esistono i “poveri-disonesti”, allo stesso modo esistono i “ricchi-disonesti”. I disonesti esistono tanto nelle classi benestanti quanto in quelle svantaggiate. Entrambe ospitano un certo numero di approfittatori. Tuttavia la pesantezza della sanzione contro i disonesti varia in base alla quantità di potere posseduta da ciascuna classe sociale. La classe dotata di minore potere politico, quella povera, viene colpita nella sua interezza, cioè indiscriminatamente, per il comportamento di alcuni suoi membri. La chiamerò “sanzione-rappresaglia”, la cui logica si può riassumere come segue: “Siccome alcuni bisognosi hanno agito in modo disonesto, allora il Reddito di cittadinanza deve essere abolito per tutti”.

Nel caso dei poveri, la colpa del singolo viene fatta ricadere su tutto il gruppo attraverso la trasformazione mediatica delle colpe individuali in colpa collettiva. Di contro, la classe dotata di maggiore potere politico, quella benestante, viene colpita selettivamente, mai nella sua interezza. La chiamerò “sanzione-garantista”, la cui logica può essere riassunta come segue: “Il fatto che alcuni potenti imprenditori abbiano evaso milioni di euro, non autorizza a colpire tutta la categoria”. Questa strana “alchimia” politica, che poi non è altro che un metodo d’azione fondato sulla falsificazione e sull’inganno, si verifica perché il potere, come il denaro, non si distribuisce in modo omogeneo in tutti gli strati sociali. È evidente: i partiti italiani che difendono gli interessi di coloro che vivono al di sopra della soglia di povertà sono assai più numerosi di quelli che difendono gli interessi di chi vive al di sotto. Nessuno si stupisca, dunque, se è soltanto un partito ad avere indicato la propria linea rossa nella difesa del Reddito di cittadinanza. Qualcuno obietterà che la contrapposizione ricchi-poveri è superata, ma i dati dicono il contrario. Più che un futuro di crescita del Pil, l’Italia è attesa da un futuro di crescita della povertà.

La seconda tesi riconosce che il Reddito di cittadinanza aiuta i poveri, ma ne chiede ugualmente l’abolizione perché, così dice, induce i bisognosi a fare i perdigiorno vivendo di sussidi. I sostenitori di questa tesi propongono di trasferire i miliardi stanziati per il Reddito di cittadinanza alle imprese. In tal modo, sarà finalmente possibile creare lavoro vero con cui aiutare i poveri. Che cosa dire? Sono ormai decenni che sappiamo che la crescita dei profitti delle imprese non comporta automaticamente il miglioramento delle condizioni di vita dei poveri. Il fatto che il Pil cresca, ma abbiamo detto che non cresce, non implica che la nuova ricchezza arrivi in basso. I dati più recenti sembrano dirci che questo è il caso dell’Italia. I soldi si diffondono tra la popolazione, ma poi trovano una strettoia quando devono scivolare nell’ultimo strato sociale. Anche quando il Pil cresce impercettibilmente, ai poveri va male o comunque peggio.

Siccome dichiarare di voler aiutare i poveri è un buon affare per tutti i partiti, è necessario individuare un criterio per distinguere i partiti che fingono di aiutare i poveri da quelli che vogliono aiutarli davvero.

La distinzione, in un Paese che non cresce, è tra chi propone gli aiuti diretti e chi propugna quelli indiretti. Chi propone di aiutare i poveri indirettamente, chiedendo di attendere il rilancio dell’economia, bluffa, sia perché l’economia italiana non può essere rilanciata talmente in alto da far emergere 5,6 milioni di individui dalla povertà assoluta, sia perché un’eventuale ripresa non beneficerebbe i poveri assoluti nella loro interezza per i limiti strutturali indicati sopra, strettoia inclusa. Nell’Italia del 2022, proporre di aiutare i poveri dopo che l’economia abbia ripreso a correre equivale a non aiutarli mai. L’economia italiana ha subito la crisi iniziata nel 2008, la crisi del Covid-19 e la crisi dovuta alla guerra in Ucraina.

In base al campo di forze oggettive che si è creato, o i poveri vengono aiutati subito in modo diretto o non saranno aiutati da nessuno.